Il Saluto del Parroco
     

 

IL SALUTO DEL PARROCO

 

“Francesco, va e ripara la mia casa, che, come vedi, è tutta una rovina”

Così si rivolse al santo di Assisi il crocifisso della chiesa di san Damiano nella visione che il santo di Assisi ebbe nel 1205.

Egli interpretò il sogno come un espresso invito a restaurare la cadente chiesa che ancor oggi è uno dei luoghi francescani per eccellenza. Ben presto però il Signore aiutò il poverello di Assisi a capire che cosa intendeva realmente con quella frase: era l’invito a restaurare la chiesa intesa nel suo significato più profondo: la comunità dei credenti, che viveva in quei frangenti storici un momento non certo felice e facile.

Il movimento francescano, infatti, si rivelerà importantissimo nel rivitalizzare la vita della chiesa di quel tempo.

L’invito ricevuto da Francesco è un invito valido anche per noi, oggi, che formiamo la chiesa agli inizi del terzo millennio. Ma pure noi come Francesco, spesso, ci fermiamo a un concetto di chiesa che si limita agli edifici, alle cose.

Anche noi abbiamo dato (giustamente) spazio e attenzione alle cose, ai nostri edifici di culto che in larga parte sono stati recuperati e riportati alla loro giusta dignità; basti pensare alla luminosità della chiesa parrocchiale di Casotto. Ci siamo impegnati in opere di restauro di segni cari alla nostra tradizione religiosa come, in quest’ultimo anno, le due statue della Vergine conservate nella parrocchiale di Pedemonte.

Tutte queste cose sono segno del lavoro e dell’impegno di tutti e ne dobbiamo andare fieri ed orgogliosi. Ma non ci deve bastare, non ci dobbiamo accontentare. È tempo di impegnare ancora maggiori energie per costruire quella chiesa di “pietre vive” che è la comunità cristiana.

Non ci possiamo accontentare di avere delle belle chiese nelle quali si radunano delle comunità stanche e assopite.

“La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, ci ricorda il documento conciliare “Lumen Gentium” focalizzando il fatto di come, a fondamento del nostro essere chiesa, ci sia la stessa fede, quella fede che ogni domenica professiamo recitando il Credo.

Ci apprestiamo ad iniziare, tra poco più di un mese, un nuovo anno pastorale che si presenta a noi come una sorta di sfida a rifondarci nella fede. In questi ultimi anni, la nostra chiesa vicentina ha impiegato energie e risorse nella riflessione sui sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione ed Eucaristia) nella consapevolezza che c’è bisogno di riprendere in mano radicalmente i nostri cammini di fede, non solo per quanto riguarda i bambini ma soprattutto per quel che concerne gli adulti. Troppo spesso ci accontentiamo di una fede fatta di abitudine, di formalità e soprattutto ci spaventa una fede che ci chiede un po’ di tempo per formarci come cristiani. Seguaci di Gesù Cristo non si nasce, si diventa. Non bastano il battesimo e gli altri sacramenti che abbiamo ricevuto a renderci degli arrivati nella fede. Nessuno, oltretutto, può considerarsi tale perché la fede è relazione e come tale deve essere in continua evoluzione, in continua crescita. Se una relazione non cresce è destinata, prima o dopo, a soccombere, a finire.

Costruire la chiesa significa incamminarsi su questa strada di duplice relazione: con Dio e con la comunità.

La nostra relazione con Dio trova il suo sviluppo in una vita spirituale significativa che non si accontenta della semplice, e magari saltuaria, celebrazione dell’Eucaristia domenicale, ma che cerca e vive momenti di approfondimento e di preghiera che ci permettono d crescere in questa relazione con Dio Padre e di esprimere nella carità questa comunione. Per questo il nuovo anno vedrà nascere alcune nuove e significative proposte per chi vuole intraprendere un serio cammino di fede. Proposte che si svilupperanno su tre fasce: per i genitori dei ragazzi in età prescolare; per i genitori che hanno i figli che si stanno preparando alla Cresima; per i giovani sopra i 18 anni (questo a livello vicariale).

Anche per quanto riguarda l’amministrazione dei sacramenti, progressivamente, verrà chiesto di impegnarsi seriamente in un cammino di formazione e di preparazione. Questo non per rendere la vita difficile a chi vuole ricevere un sacramento ma per la consapevolezza che bisogna essere preparati per riceverlo. Del resto non è una novità! Se, in qualsiasi settore della vita, vogliamo acquisire una competenza o una qualifica (per esempio la patente di guida) dobbiamo prepararci e dimostrare che siamo pronti e condividiamo i valori che stanno alla base. Se, tornando all’esempio della patente di guida, io non condivido assolutamente il codice della strada che senso ha che io abbia la patente?

Se non condivido nulla della fede in Gesù Cristo, che senso ha che io riceva un sacramento? È necessario più che mai accompagnare le nostre scelte di fede con motivazioni forti e cammini adeguati che ci permettano di essere poi, con la carità, dei cristiani che camminano veramente alla sequela di Gesù Cristo.

Per quanto riguarda la nostra relazione con la comunità credo dobbiamo imparare a sentirci parte di essa. Questo senso di appartenenza trova la sua radice, come già abbiamo detto, in Gesù Cristo che attraverso la sua passione, morte e risurrezione ci ha resi tutti figli di uno stesso Padre, che nella preghiera chiamiamo “nostro”.

Cosa significa sentirsi appartenenti alla comunità? Non è una semplice questione formale, tantomeno un fatto campanilistico perché, lo sappiamo bene, Gesù Cristo è sempre lo stesso.

Sentirsi parte della chiesa significa essere protagonisti della vita della comunità contribuendo alla sua crescita mettendoci qualcosa di nostro. Scrive Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto: “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune”.

Che rende ricca una comunità è proprio la differenza tra le persone. Ognuno ha delle doti che altri non hanno. Possiamo pensare alla chiesa come ad un grande mosaico formato da tante piccole tessere che nell’insieme formano qualcosa di splendido; ma se ne manca anche una sola essa resta incompleta.

Bisogna togliersi dall’indugio e dalla pigrizia per essere protagonisti con una maggiore disponibilità ma anche superando un concetto assistenzialista nei confronti della comunità parrocchiale che spesso vediamo, semplicemente, come erogatrice di servizi sacramentali e sociali.

Possiamo ringraziare il Signore per le ricchezze umane di cui dispongono le nostre comunità ma credo che non possiamo stare lì, alla finestra, a vedere quello che fanno gli altri. È giunto il tempo di condividere le energie, le idee, anche le preoccupazioni o le angosce non solo per realizzare qualcosa di nuovo ma anche per progettare il cammino dei nostri prossimi anni. Impariamo a condividere il nostro cammino di fede con gli altri superando una concezione privata della nostra esperienza di Dio. Anche attraverso questi piccoli gesti riusciremo a ricostruire la comunità cristiana e a camminare efficacemente sulle vie del terzo millennio.

Don Giacomo

 
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