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Il giorno dell’Assunta è
per tradizione grande giorno di festa per la comunità di Pedemonte perché la
chiesa parrocchiale di Brancafora è stata a Lei dedicata il 19 luglio 1877 e
perché è sempre occasione di incontro con chi torna al paese dai luoghi di
emigrazione in Italia o all’estero. A questi motivi di festa
quest’anno si è aggiunta la presenza del nostro vescovo, S.E. Mons. Pietro
Giacomo Nonis che proprio in questa occasione ha presieduto il rito di
consacrazione del nuovo altare e dell’ambone istallati pochi giorni prima,
alla fine di luglio. Con questo lavoro, che
impreziosisce ulteriormente la chiesa parrocchiale si è voluto dare la giusta
dignità al presbiterio attuando le norme ormai decennali espresse in materia di
liturgia dal Concilio Vaticano II . Il progetto è stato
elaborato dall’architetto Michele Anderle di Trento che si è rifatto
prettamente alle indicazioni che vengono in materia dalla Conferenza Episcopale
italiana, dando risalto al concetto delle due mense, quella della Parola e
quella del Pane, espresse dalla similarità delle forme e della grandezza
dell’ambone e dell’altare. Infatti sono quasi grandi uguali. Pregevole anche
l’idea dell’ambone che “esce” sulla navata attraverso la modifica degli
scalini di accesso al presbiterio. Scrive la nota della CEI al proposito:
“L’ambone è il luogo della proclamazione della Parola di Dio: esso ha la
necessità di sporgere dal presbiterio verso l’aula, poiché la parola di Dio
“deve essere come una spada che penetra nel cuore dei singoli e
dell’assemblea”. Estremamente semplice nella
forma l’altare, proporzionato alla possibilità degli spazi a disposizione e
realizzato come l’ambone in pietra di Veseille, richiama ai vari simbolismi
biblici sull’altare e soprattutto appare come “segno” di Cristo e luogo in
cui si compiono i misteri della salvezza e centro dell’assemblea. Scrive a
questo proposito P. Sorci: “Cristo
Signore, istituendo nel segno di un convito sacrificale il memoriale del
sacrificio che stava per offrire al Padre sull’altare della croce, rese sacra
la mensa intorno alla quale dovevano radunarsi i fedeli per celebrare la Pasqua.
L’altare è quindi mensa del sacrificio e del convito; su questa mensa il
sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, fa ciò che il Signore stesso fece e
affidò ai discepoli perché lo facessero anch’essi in memoria di lui”. Oltre a questi due elementi
fondamentali, nell’area presbiteriale è stata anche ridisegnata la sede che
ora guarda direttamente all’assemblea con tre scranni che riprendono le linee
dell’altare; inoltre sei nuovi candelabri in stile sono stati collocati
sull’altar maggiore. I lavori, dopo la lunga
attesa del nulla osta da parte degli uffici della Sovrintendenza di Verona, sono
stati eseguiti dalla ditta Barbieri di Piovene Rocchette e grazie al
preziosissimo lavoro dei volontari che hanno posato in opera le due consistenti
strutture. Un grazie grande va a Mario Carotta, Onorio Munari, Daniele Leoni,
Renato Dal Bianco, Luigi Munari e ai tanti altri che hanno dato una mano. Del
resto un grazie va alla trentina di persone che poi si son date da fare per
ripulire a cima fondo la chiesa, visto che la polvere di certo non mancava. Grazie alla disponibilità
del vescovo sono passati solo pochi giorni dall’istallazione alla
consacrazione. La celebrazione dell’Eucaristia con il rito della dedicazione
si è svolta al mattino alle 10.00 davanti alla chiesa gremita. Davvero bello e
significativo il rito con la lunga preghiera di dedicazione che richiama i
grandi eventi biblici riguardanti l’altare da Noè fino alla vita della
Chiesa. Attraverso i segni dell’acqua, dell’olio del crisma e dell’incenso
si è svolta una vera e propria catechesi che ci ha permesso di ripercorrere le
tappe del nostro battesimo e del nostro essere cristiani. Hanno concelebrato con il vescovo l’arciprete e mons.
Alberto Carotta, vero e proprio
motore di quest’opera. È stato lui per primo a lanciare l’idea
incoraggiando e sostenendo la validità di un impegno di questo tipo, idea che
si è rivelata davvero preziosa soprattutto ora che la possiamo guardare non
tanto con gli occhi dell’arte o della soggettività, quanto piuttosto con
quelli della fede. |