Caròte
     

Le nostre contrade sono uno scrigno di ricordi "… dove i sassi sa le storie", per usare alcune celebri parole di Bepi De Marzi. Se potessero parlare le pietre con le quali fu costruito "el Maule", termine cimbro che significa «il muretto», dove gli anziani di Carótte erano soliti sedersi per conversare, potremmo riempire migliaia di pagine con le loro vicende, ma purtroppo dobbiamo invece accontentarci di ciò che ricaviamo dalle foto e dagli scritti che abbiamo a disposizione.

La prima citazione di Carótte che troviamo nel nostro archivio parrocchiale risale addirittura al 1597: "Addi 8 10bre 1597. Elisabetta fig.a di Christan dalla Charotta et di Catharina sua Consorte nata li 6 corrente mese fu battezatta da G. Lunardo Toldo" (Liber Baptizatorum piccolo). Probabilmente a quell'epoca c'era solo una famiglia che abitava al Maso Carótta, perché nel 1571, cioè solo una generazione prima, l'insieme degli abitanti di Pedemonte, Casòtto, Luserna e le frazioni Lastebasse situate in valle, assommava a meno di 60 persone!

La toponomastica ci dice che la lingua da essi usata era il cimbro, l'idioma germanico che si parlava nella Baviera meridionale intorno all'anno 1000 quando, a causa di continue carestie, alcune famiglie, prime di molte migliaia che le seguirono, furono chiamate a colonizzare la zona montana posta a cavallo dell'odierno confine meridionale tra Veneto e Trentino.

Dopo qualche secolo queste popolazioni furono, da altri, chiamate «cimbre», ma impropriamente, perché i veri Cimbri furono sconfitti da Mario ai Campi Raudii, nel 101 a.C. e degli eventuali superstiti non se ne seppe più nulla. Usiamo quindi pure ad il termine «cimbri» per indicare i colonizzatori del nostro territorio, ben sapendo però che ci si riferisce ad altro, allo stesso modo con cui, in omaggio ad un errore di Cristoforo Colombo, si definiscono "indiani" i nativi del Nord America, anche se sappiamo che non hanno nulla a che fare con l'India.

Troppe volte si erano visti eserciti barbari scendere da nord per mettere a ferro e fuoco la nostra penisola, ma questa volta si trattava di poveri contadini e di minatori, armati solo di braccia e buona volontà, che

fuggivano dalla miseria in cerca di una nuova patria dove poter sopravvivere: erano un po' gli extracomunitari del tempo. Tuttavia

arrivavano col beneplacito dei Principi che intendevano così rendere produttive, quindi assogettabili a tassazione, le vastissime zone disabitate che cadevano sotto la loro giurisdizione. Toponimi come Ràut, Ràutele e simili indicano che da noi giunsero soprattutto roncatori, perché non c'erano miniere e la poca terra coltivabile doveva essere ricavata disboscando, strappando le radici e togliendo i sassi. Quando gettiamo uno sguardo svogliato sulle nostre «vanèze», sui nostri prati e campi, oppure sulle grandi praterie di Lavarone e Folgarìa, pensiamo che non sono solo opera di Dio ma vi ha concorso anche il duro lavoro di uomini venuti da lontano, che vi hanno profuso molto sudore.

I nomi di luogo usati ancora oggi dai Carottari, come ad esempio le Clèr, la Cnust, le Làmar, el Léch, el Lénz, el Lèr, le Lèz, el Lóch, el Mìterech, el Prùchele, el Prul, el Rozàcar, la Stùabant, el Stùtal e, fortunatamente, molti altri, non lasciano spazio a dubbi circa la loro origine cimbra. Questo venne confermato anche dallo studioso Andrea Schmeller che nel 1833 passò di qui e con sua grande sorpresa, a Lastebasse, a Carótte ed a Brancafóra udì donne, e soprattutto bambini, che parlavano il cimbro.

Verso la fine del XIX secolo Ottone Brentari nella sua famosa "Guida del Trentino" scriveva che a Carótte c'erano 29 case e 201 abitanti e, pur essendo la frazione più piccola di Pedemonte, era molto animata, certamente più di adesso. La gente si trovava al centro del paese presso l'osteria di Alfonso Munari e dei suoi fratelli, mentre ai Molini la macina del Molin del Fàica girava a tutta birra. A proposito… esisteva perfino una "birraria", quella di Giuseppe Maggi e lì vicino, su di un grosso masso, era piantata la bandiera. Prosegue il Brentari: «…Da Giacconi un piccolo ponticello di muro (confine di stato) porta alla contrada che è tosto al di là dal torrente, cioè a Carotte, nel Trentino. Notisi qui che i versanti di questo tratto della valle dalla Val Torra in su, e perciò Regno d'Italia ed Austria, sono unite da cinque ponti sull'Astico: 1. Ponte della Ghena, di fronte a Casotto. 2. Ponte al Maglio più a nord. (…) un piccolo ponticello mobile di legno 3. Ponte agli Scalzeri, fra Posta e Scalzeri. 4. Ponte prà dei Fondi. 5. Ponte fra Giaconi e Carotte. Il 1, 2, 4 sono soltanto pedonali, gli altri due anche carreggiabili». A quell'epoca l'Àstico segnava il confine tra Impero Austroungarico ed Italia, ma i Pedemontani ed i Lastarolli, da sempre fratelli nella lingua e nei costumi, non vi facevano molto caso e passavano di qua e di là per lavorare i campi, per tagliare legna, per cercarsi la «morosa», o più semplicemente per far filò nelle stalle. I gendarmi erano tolleranti con le persone, ma si mostravano invece estremamente fiscali con il transito delle merci attraverso il confine. Qui come altrove, abbondano le storie di signore che passavano il ponte celando sotto le «vèste» un po' di merce di contrabbando. Un decreto del Ministero delle finanze del 6 gennaio 1869 ci informa che «…in Carotte, nel Tirolo, fu istituita una succursale della Ricevitoria sussidiaria di Casotto, dirimpetto all'Ufficio doganale italiano di Lastebasse». Nella sua qualità di estrema propaggine austriaca, Casotto conobbe infatti la prima dogana, il primo ufficio postale e, probabilmente, anche il primo telefono dell'alta Valle dell'Àstico.

Al centro del Ponte de le Caróte c'era un'edicola sacra, un piccolo «capitèlo» dedicato alla Madonna, ma verso la fine del XIX secolo, «…avvenne un dì che transitando sullo stesso di quelli della famiglia Carotta Davide (setti) un carro di legni, urtassero nel detto capitello e dalla scossa andava demolito. Subito allora si pensò di non riedificarlo più nel luogo di prima ma provvedervi in una cappellina» (documento 29.07.1924). Tuttavia, prima per insorte difficoltà economiche, poi a causa della Grande Guerra, tutto rimase a livello di intenzioni. Ma i Carottari non si persero d'animo ed il 13 luglio 1921 inaugurarono la loro chiesetta dedicata al Sacro Cuore di Gesù, sorta su un terreno donato da Fioravante Carotta fu Raimondo, utilizzando il progetto della cappella di San Rocco, da poco sorta a Scàlzeri. Oggi vicino all'entrata della «ceséta» riposa, adorna di fiori, la vecchia fontana scavata nella pietra che precedentemente era sistemata in prossimità della "Val de la fontana", alla quale aveva regalato il nome; per molti anni, quando sopra i «seciàri» al posto dei rubinetti c'erano ancora i «séci» e le «cazze», aveva fornito gratis la sua ottima acqua, senza limite di quantità, a tutti i Carottari. Il confronto con la moderna Società A.V.S., che esige gravose gabelle per rivenderci un po' del «nostro» oro bianco, vede nettamente in testa la generosa fontana. Ma questa è un'altra storia.

Fino al 1918 chi attraversava il Pónte de le Caróte con della merce doveva pagare un dazio, e la ricevuta qui riprodotta ne è una interessante testimonianza. Alle 9 di mattina del 5 agosto 1892 Antonio Carotta di Carótte importò dall'Italia 420 chilogrammi di granoturco e 12 chili netti di candele di cera. Tra dazio, diritto di pesatura, aggio ed oneri vari, pagò più di 4 fiorini. Nel timbro ovale in basso a sinistra, attorno all'aquila imperiale bicipite, sta scritto: "I. R. ESPOSITURA DOGANALE IN CAROTTE". (doc. 05.08.1892)

Sul Lèr, dove ora sorge l'abitazione di Fabiano Carotta, c'era un'edicola in pietra, con una raffigurazione della Santa Croce. Nessuno è in grado di ricordarla, nemmeno i più vecchi, e quindi oggi ci restano solo questa immagine, ricavata da una foto prestataci da Roberto Piccinini, ed un toponimo che ha superato indenne la prova del tempo: «el Capitèlo».

 

Alberto Baldessari

Fonti

Pro memoria di Don Giovanni Albertani, Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, Oratorio S. Cuore di Gesù, 29.07.1924

Quitanza doganale nr. 185, Teca 20, doc. 05.08.1892

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