Lectio Divina

XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

 

Domenica del giovane ricco

 

Tema: Gesù sapienza del Padre dona di valutare con saggezza i beni di questo mondo per essere liberi e perfetti nel dono di sé stessi.

I Lettura: Sap 7,7-11

Dal Salmo 89(90) –Donaci, o Dio, la sapienza del cuore.-

II Lettura: Eb 4,12-13

Alleluia: “Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ci conceda lo spirito di sapienza perché

possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata.” (Ef 1,17-18)

 

Vangelo: Mc 10,17-30

 

ANNOTAZIONI

v. 17 - Un tale: Né Mc né Lc precisano l’età di questa persona, che invece tradizionalmente si designa come il giovane ricco, in base a Mt 19,20.

- Vita eterna: Questo tale domanda a Gesù che cosa fare per una vita qualitativamente diversa, che abbia le caratteristiche del “tempo di Dio” (cfr. Dt 30,15-20; Salmo 139(138),24; Sap 6,18; Pr 8,32-36; 11,19; Gv 3,13-16; 17,3).

v. 19 - Comandamenti: Vengono ricordati i comandamenti che riguardano i rapporti con il prossimo (cfr. Es 20,12-16; Lv 19,18), in più si aggiunge non frodare, tale prescrizione riguarda la condotta verso un povero al quale deve essere dato il salario prima del tramonto del sole e che non deve essere privato dell’aiuto necessario (cfr. Dt 24,14; Lv 19,11). Si insiste sui comandamenti del prossimo come condizione preliminare per poter amare Dio (cfr. I Gv 4,7.20-21).

v. 21 - Fissatolo: Letteralmente: “guardò dentro”. Mc ricorda spesso lo sguardo di Gesù in momenti particolarmente importanti dei suoi incontri con la gente (cfr. 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11).

- Lo amò: Solo Mc ricorda l’affetto che Gesù porta per l’uomo ricco.

- Una cosa sola ti manca: Quest’unica cosa da una parte sembra riecheggiare l’unico Dio buono (cfr. Dt 6,4) dall’altra si realizza pienamente nell’adesione al segui me.

- Dallo ai poveri e avrai un tesoro: Dare tutto ai povero significa farsi povero, cioè dare ad una folla illimitata che non potrà mai restituire, dare a fondo perduto è qualcosa di irreversibile. Spogliarsi di tutto riguarda l’essere prima del fare; è per la salvezza dei fratelli, non è un modo come un altro per disfarsi dei propri beni (cfr. Mt 6,21).

- Seguimi: E’ la stessa chiamata rivolta ai primi discepoli (cfr. 1,17) e a Levi (cfr. 2,14).

v.22 - Rattristatosi...se ne andò afflitto: Il ricco si fa scuro in volto come il cielo nuvoloso che minaccia tempesta (cfr. Mt 16,3), perché il suo animo è triste.

v. 24 - I discepoli rimasero stupefatti: Nell’AT la ricchezza era considerata segno della benedizione di Dio, sulla bocca di Gesù diventa un ostacolo alla salvezza.

v. 25 - La cruna di un ago: L’iperbole dell’impossibilità fa risaltare di più l’onnipotenza divina. L’evangelista contrappone i ricchi ai bambini (cfr. 10,14-15).

v. 27 - Tutto è possibile a Dio: Bisogna che i discepoli capiscano che la salvezza non è alla portata della ricchezza né dello sforzo virtuoso, non compete all’uomo in quanto tale, ma è un dono gratuito di Dio (cfr. Rm 3,28; Ef 2,8-10; I Tm 2,4).

v. 29 - Lasciato...a causa mia e a causa del vangelo: Gesù precisa che l’abbandono concerne non solo i beni materiali, ma anche persone e affetti familiari più cari. Si tratta di un distacco liberamente compiuto e motivato.

v. 30 - Cento volte tanto...insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna: Escludendo ovviamente il senso matematico si intende esprimere una contropartita abbondante. La ricompensa non è generica, ma consiste nel ritrovare una ricchezza di rapporti umani non identici ma analoghi (cfr. 3,31-35) soprattutto con gli altri membri della comunità cristiana. La comunità non è in primo luogo un rifugio o un cantuccio tranquillo e appartato dal mondo, ma un luogo di crescita e fortificazione della propria fede insieme ai fratelli che condividono la stessa missione di andare verso il mondo. Una comunità perseguitata ha bisogno del conforto di queste parole di Gesù (cfr. I Pt 5,9).

 

Dal trattato “Quis dives” di San Clemente di Alessandria(11-14)

 Significato spirituale delle parole del Signore: «Vendi ciò che hai»

"Vendi ciò che hai" (Mt 19,21). Che significa? Non quello che alcuni ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall’anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell’esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l’essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita. Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti l’han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete. Cos’è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio, che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos’è la rarità, cos’è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d’altro, più grande, più divino e più perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l’anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. E’ questa la scienza propria dell’uomo di fede, è questo l’insegnamento degno del Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che alimentarono così le passioni dell’anima. Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette? Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l’anelito alle ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l’uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto. E’ impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l’animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare. Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore? "Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne" (Lc 16,9). "Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano" (Mt 6,20). E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: "Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo" (Lc 19,9). Loda dunque l’uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l’ignudo. Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio. Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa. Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell’anima, che non permettono l’uso migliore dei beni, non lasciano che l’uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza. L’ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell’animo.

 

Per la “Collatio” e la “Deliberatio”

 1) A quali cose, persone, preferenze, pregiudizi, abitudini, necessità, ecc. siamo legati, così che esse ci tengono quasi prigionieri e ci impediscono di seguire Gesù, il suo esempio e la sua volontà?

 

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