VIVERE LA MORTE?

 

“In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo…Il germe dell’eternità che l’uomo porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte”

(Costituzione pastorale sulla Chiesa e mondo contemporaneo n°18)

Come si può parlare di vivere l’avvenimento che ci fa uscire dalla vita?

Poche persone hanno il desiderio di “vivere la propria morte”. Ci si augura generalmente una morte improvvisa e indolore e non si vorrebbe conoscere l’esperienza di un periodo in cui ci si sa “condannati”. Questo rifiuto di morire lucidamente è nuovo. Nella tradizione cattolica, nelle litanie dei santi si cantava: “Dalla morte subitanea e improvvisa, liberaci, Signore”. Allora si temeva molto di morire improvvisamente senza avere il tempo di esprimere il proprio pentimento e di prepararsi all’ultimo Giudizio. A dire il vero è difficile preparare un avvenimento di cui nessuno ha potuto dire in che cosa sia consistito. Ma se è difficile vivere veramente la propria morte, il suo avvicinarsi può essere intensamente vissuto. Bisogna dire però che vi sono tante morti quante sono le persone che l’hanno vissuta o dovranno viverla. Del resto, come potrebbe una morte non essere segnata dalla storia personale del morente? Perciò l’appropriazione spirituale della morte è un compito decisivo per ogni uomo, che può fare dei suoi ultimi istanti un vertice di umanità. La morte può allora diventare la “sua” morte personale, e per ciascuno di noi la “mia” morte.

Il Libro dei morti del buddismo tibetano prescrive che all’orecchio del moribondo siano pronunciate le seguenti parole: “ Nobile figlio, è venuta per te quella che si chiama la morte; adesso fa tua questa convinzione: questa è l’ora della mia morte”.

Il modo migliore di prepararsi alla morte è forse semplicemente quello di accettarla, di riconoscersi mortali, di accettare quindi la propria finitezza. Lungi dal rinchiudersi nella tristezza e nella paura, è meglio vivere al massimo quanto ci è dato di vivere, assumendosi tutte le proprie responsabilità di uomini.

Per il cristiano questo passaggio si compie al seguito del Signore come la Pasqua definitiva, il passaggio da questo mondo al mondo della risurrezione che, invece, non passa.

Vi invito a leggere questo brano di cui non conosco l’autore, ma che invita ad andare oltre e a riflettere:

 “L’amore non scompare mai, la morte non è nulla.

Io sono soltanto passato nella stanza accanto.

Io sono io, tu sei tu.

Ciò che eravamo l’uno per l’altro, lo siamo sempre.

Dammi il nome che mi hai sempre dato. Parlami come hai sempre fatto.

Non usare un tono diverso, non assumere un aspetto solenne o triste.

Continua a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.

Prega, sorridi, pensa a me. Prega per me, il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato, senza enfasi di sorta, senza traccia d’ombra.

La vita significa tutto ciò che ha sempre significato. E’ ciò che è sempre stata.

Il filo non è tagliato.

Dovrei essere fuori dal tuo pensiero semplicemente perché sono fuori dalla tua vita?

Io ti aspetto, non sono lontano, appena dall’altra parte della strada.

Vedi, tutto è grazia.”

 Giovanna Balsamo