Corso quaresimale di catechesi

PARROCCHIA “S.Giovanni Ev.”

Montecelio (Rm)

di  P. ADRIANO CIMINELLI, C.R.

 

- Sesto Incontro -

 

LO  SPIRITO  E  LA  CHIESA         

Una delle cose che mi arreca maggiore frustrazione è sentire alcuni battezzati che parlano male della Chiesa. Quasi sempre accade per ignoranza, ma questo non elimina il problema. Essi guardano alla Chiesa come se non vi appartenessero, considerano solo quello che appare, l’aspetto umano, che mai potrà essere perfetto, anche se essa è chiamata alla perfezione. Ovunque si associano uomini e donne carenti si hanno società carenti: difetti, peccati, contraddizioni. Anche i Padri della Chiesa affermavano che la Chiesa è allo stesso tempo santa e peccatrice. E’ necessario, quindi, essere obiettivi e guardare ad essa secondo verità. La Chiesa è santa perché il suo Capo è santo, perché lo Spirito, che ne è l’anima, è santo, i mezzi di cui il suo Fondatore l’ha dotata sono santi, santi sono molti dei suoi membri che si sono riuniti definitivamente al Capo, santi sono i principi e le regole che la governano, il Vangelo di Gesù. Il resto è l’aspetto umano, che non può essere eliminato, perché è attraverso l’umano che la Chiesa appare visibile e raggiungibile. Questo umano della Chiesa è lo stesso umano dell’uomo, che non solo deve essere redento, ma deve andare incontro ad una profonda trasformazione, che dura nel tempo. La differenza che c’è tra l’uomo che è fuori e l’uomo che è dentro la Chiesa è molto semplice: chi è fuori è irredento, ancora separato da Dio e per questo non comprende; chi è dentro, invece, è stato salvato, fa parte del Regno e sta passando attraverso il fuoco della purificazione (1 Pt 1:3-9).

La Chiesa ha una storia che la fa vecchia e giovane allo stesso tempo: vecchia perché già da duemila anni naviga nel mare turbolento della storia, giovane perché porta in sé tutta l’energia dello Spirito, che la spinge continuamente ad esaminare se stessa, a mettersi in discussione e a convertirsi ancora, incessantemente. Se è vero che la prima conversione avviene quando si accoglie Gesù nella propria vita, è anche vero che la conversione continua fino alla perfezione. La Chiesa è peregrinante: ogni volta che si lascia alle spalle il peccato di ieri entra in una nuova fase di avvicinamento alla meta. La Chiesa di oggi è diversa e, allo stesso tempo, è la stessa di ieri: è diversa, perché ha già duemila anni, è passata attraverso tanta sofferenza e ha subito tante ferite dalla storia; è diversa, perché costituita da pochi uomini agli inizi, ora sta diventando un’immensa moltitudine: miriadi di miriadi ! (Ap 5:11). Ma la Chiesa è anche e ancora la stessa, perché conserva le caratteristiche iniziali, come accade al bambino che diventa adulto. La Chiesa, corpo del Cristo, è in continuo ricambio delle sue membra. Anche se appare sempre lo stadio iniziale del Regno, tuttavia, man mano che matura nel suo grembo i suoi figli, li passa allo stadio definitivo del Regno in attesa che essi vengano rivelati nella gloria. Ogni membro della Chiesa dovrebbe poter dire: “Signore, non permettere che per causa mia qualche naufrago si rifiuti di entrare nella tua barca per ottenere la salvezza”. Tuttavia, se da una parte la Chiesa nel suo insieme non può evitare tutto ciò che è imperfetto, dall’altra abbiamo la certezza che Gesù, per mezzo del suo Spirito, lavora continuamente in noi per completare la sua opera (Fil 1:6). Ricordo sempre con molta simpatia quella signora che portava al collo un medaglione dove era scritto: “Abbiate pazienza con me, il Signore non ha ancora terminato !”

Quando consideriamo la Chiesa non possiamo fare a meno di vedere in essa questo senso di incompiutezza, però non possiamo ignorare il fatto che tanti nostri fratelli nel corso dei secoli sono entrati nella parte stabile e definitiva della Chiesa, che è il Regno. La Chiesa di cui abbiamo esperienza è in continua purificazione e perfezionamento nel tempo, però è orientata verso la realizzazione totale e completa; del resto questo fa parte della fede stessa della Chiesa. Il Capo della Chiesa, reso perfetto mediante quello che patì (Eb 2:10), si è reso invisibile, mentre il suo corpo è ben visibile e ancora imperfetto, ma in costante purificazione per essere alla fine degno del Capo. Tutto questo è l’unico e medesimo Spirito che lo opera.

Lo Spirito Santo è l’anima, l’ispiratore, la luce che illumina i figli della Chiesa, che li convince di peccato, li porta alla conversione continua e li istruisce, li sostiene nella tribolazione, li forma perché diventino luce; quella parte di tenebre che è ancora in loro è destinata a scomparire gradatamente.

La Chiesa che noi oggi sperimentiamo e che noi siamo, insieme a tutti i credenti, non è slegata da quella degli inizi, ma è la stessa che cammina lungo la storia. Così, corroborati dalla nostra identità e dallo stesso Spirito, possiamo identificarci facilmente con gli inizi per capire meglio quel che dobbiamo essere oggi.

Quando lo Spirito venne a Pentecoste, per prima cosa radunò e tenne insieme i discepoli di Gesù, dando forma alla struttura iniziale. Era necessario acquisire una nuova mentalità, una nuova ottica, un nuovo modo di aderire a Dio, perché la visione di fede data da Gesù offriva un panorama completamente nuovo, sia per i pagani che per i giudei. I discepoli, usciti dal cenacolo, cominciarono ad agire e a parlare in una mirabile unità, tale da sbalordire gli ascoltatori. “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2:42-48).

L’unità dei credenti, come fu agl’inizi il segno del cambiamento di cuore, della conversione, della presenza attiva dello Spirito, così deve essere oggi. Lo stesso Spirito di sempre ci fonde nell’unità o rimuove gli ostacoli che impediscono di conseguirla. Ciascuno però deve volere quello che vuole lo Spirito, rinunciando alla propria durezza di cuore, alle proprie resistenze, rendendosi sempre disponibile all’incontro. La Parola che circola in mezzo a noi deve essere un costante punto di riferimento non solo per proclamare la verità di Gesù, ma anche per smascherare le nostre ipocrisie e i nostri sotterfugi e darci un profondo senso di umiltà e di appartenenza. I primi cristiani si sentivano parte di Gesù, di cui erano discepoli e si sentivano parte della Chiesa totale, di cui essi erano allora l’evidente manifestazione. Il Capo si era eclissato tornando al Padre, ma il Corpo era rimasto ben visibile. La testimonianza vera e forte della Chiesa deve essere quella di manifestare se stessa, il Corpo visibile, per dare almeno un’idea del suo Capo invisibile. Quando il Corpo cessa o non è più all’altezza di annunciare il suo Capo, viene meno la sua efficacia e il motivo di essere.

La necessità di questa nuova e profonda unità veniva annunciata con una parola nuova: Koinonìa, che significa: solidarietà, comunione, partecipazione profonda alla vita dell’altro: questa è la vita del Corpo Mistico. Dobbiamo procedere insieme, animati dallo stesso Spirito. Dice ancora la Scrittura: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4:32). Un cuor solo, perché tutti erano d’accordo e in tutti c’era lo stesso desiderio di testimoniare il Signore e di lasciarsi portare dallo Spirito: infatti la Chiesa di Gesù, quando è nello Spirito, va insieme; quando in essa si creano divisioni, significa che l’uomo ha fatto prevalere la carne. La preghiera di Gesù è molto esplicita: “Padre, che siano una cosa sola”. Un’anima sola, perché sentivano allo stesso modo, facevano propria la verità della Parola.

Come lo Spirito fa la Trinità, nel senso che il Padre e il Figlio sono nell’unità per mezzo dell’unico Spirito, così avviene nei credenti, che sono chiamati ad essere una perfetta unità per mezzo dello stesso Spirito, che è stato dato loro. Così lo Spirito è allo stesso tempo la forza vincolante di Dio e della Chiesa. Quanto più siamo nello Spirito tanto più sperimentiamo l’unità e la comunione. Bisogna essere molto attenti ed essere pazienti, perché tutto è in formazione, però le finalità devono essere molto chiare. Nella storia della Chiesa e delle comunità ecclesiali spesso sono avvenuti dissidi e  disaccordi, però la conoscenza della volontà di Dio manifestata, la penitenza e la preghiera comune avrebbero potuto riportare tutti alla docilità dello Spirito, placando, magari, gli spiriti dirompenti; per poter superare ogni problema è necessario voler essere sempre parte della soluzione.

L’esempio classico è S. Francesco. Al tempo suo molte cose non andavano bene nella Chiesa, ma lui non ha incolpato mai nessuno. Seguendo lo spirito del Vangelo, pagando di persona, ha riformato la Chiesa del suo tempo. Quello che egli avrebbe voluto dagli altri ha incominciato a farlo lui stesso. Per questo il francescanesimo è ancora una tale incarnazione del Vangelo da essere ancora forte e universalmente accettato, nella Chiesa e fuori. Francesco volle vivere il Vangelo senza compromessi, come era agli inizi, senza l’inquinamento della storia; per questo dimostrò, insieme ai suoi compagni, come il Vangelo poteva e doveva essere vissuto.

Gesù vuole che siamo un cosa sola perché siamo la sua famiglia: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17:11). Dobbiamo capire questa volontà, questo sogno di Gesù, lasciandoci compenetrare dalla vera Chiesa, perché ognuno, nel suo tempo, possa contribuire a farla vivere nella sua integrità e purezza. La Chiesa è vincolo di comunione nell’unità dello Spirito, per cui noi siamo chiamati già da ora ad adoperarci per dare almeno un sentore di quello che sarà la comunione nel Regno stabile e definitivo.

La comunità dei credenti esprime la sua dimensione di Chiesa soprattutto nel giorno del Signore, quando si raduna per celebrare l’Eucaristia, quando il Capo diventa nutrimento per la vita del suo corpo. In questo modo il Capo diventa comunione col corpo, rendendo al Padre il culto in Spirito e Verità.

Forse l’unica esperienza che abbiamo di Chiesa è quella della domenica, quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia. Dalla partecipazione, dalla fede, dal fervore si deduce la consistenza di quella comunità cristiana nel discernimento della Parola e del Pane. Sia la Parola  che l’Eucaristia sono sempre lo stesso Gesù, sono due momenti ugualmente importanti. E’ nella partecipazione a questi due momenti che dobbiamo manifestare pienamente la fede, il fervore, l’entusiasmo e la gioia. In questo contesto dobbiamo sperimentare Gesù in noi e negli altri; è lo stesso Gesù che ci lega insieme. Se avendo partecipato all’Eucaristia non ne usciamo più uniti, siamo stati carenti. Quanto più riusciamo ad essere una cosa sola con Gesù, tanto più lo siamo tra noi.

Fare comunità nello Spirito significa stare così bene insieme da voler fare qualcosa di sempre più stabile, significa incontrarsi per gioire insieme per ciò che abbiamo in comune. Avremo volti diversi, idee diverse, storie diverse, ma quello che è veramente importante lo abbiamo in comune, perché siamo tralci della stessa vite, membra dello stesso corpo e tutti animati dallo stesso Spirito, che vuole fonderci insieme. Abbiamo un solo Capo, un solo Maestro e Signore, un solo Dio che vuole essere tutto in tutti.

La comunità che si riunisce lo fa veramente nello Spirito, se aiuta gli individui a vivere il Vangelo senza compromessi. Quando stiamo insieme è più facile comprendere, applicare e vivere il Vangelo. Potremmo aiutarci molto di più. Possiamo esortarci a perseverare e a difenderci contro il nemico che è sempre pronto a distruggerci. Egli non può distruggere la Chiesa, ma può far deviare molti; però finché si ha la volontà di stare insieme, si è al sicuro.

La Chiesa degli inizi è rimasta un modello per noi anche per come i suoi membri si comportavano quando stavano insieme: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera” (At 2:42).

Essi, prima di tutto, ascoltavano insieme l’insegnamento degli Apostoli. Questo ci spiega come la Chiesa sin dall’inizio dipendesse dalla Parola. Essa contiene tutta la storia della salvezza e la rivelazione del piano di Dio, racchiude tutte le promesse a nostro favore, la volontà di Dio per noi in questo momento e nelle circostanze della nostra storia. La Parola di Dio è preziosa quanto Dio stesso, perché è lui che ci parla, che si esprime, che ci fa comprendere la sua mente e il suo cuore. Così, lo stesso rispetto che abbiamo per Dio dobbiamo averlo per la sua Parola. Tutti dovremmo apprezzarla molto di più di quanto facciamo, per vivere veramente “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4:4). Io ho spesso questo timore: si ascolta molto, ma si applica poco. Sentii parlare di un tale che guidava una comunità. Egli, dopo aver dato un insegnamento, per farne un altro aspettava fino a che tutti davano evidenza di averlo assimilato e messo in pratica. Nutrirci della stessa parola insieme, ha un significato particolare: è come se dessimo contemporaneamente del nutrimento all’unica vita nuova che condividiamo.

I primi cristiani vivevano l’unione fraterna, che è la koinonìa. E’ uno stare insieme fraternamente per esprimere in modo singolare l’appartenenza al Signore e la sua presenza di risorto in mezzo ai suoi. La Chiesa riunita esprime come può la comunione dei santi, a condizione che si mantenga unita e viva secondo lo Spirito, cercando di superare la propria carne. “Tutti coloro che erano divenuti credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2:44-45). L’ingresso nella vera fede ci dà il senso della precarietà delle cose che passano e l’urgenza del Regno da costruire. C’è un’infinità di modi di vivere il Vangelo, però l’essenzialità della koinonìa, del distacco e del coinvolgimento nel Regno non possono essere omessi senza manomettere l’essenziale.

L’Eucaristia agli inizi si celebrava in modo più semplice, ma non con minore fede. Allora l’agape fraterna avveniva nelle case: si condivideva il pane per il corpo per poi spezzare il pane del cielo. Si conservava l’essenzialità dell’ultima cena. “Spezzavano il pane nelle case, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio” (At 2:46). L’esperienza dello spezzare il pane noi pure l’abbiamo, però non sempre sono così evidenti l’unione fraterna, l’accoglienza reciproca e la gioia.

La preghiera. E’ la sintesi di tutte le espressioni della fede. Ogni singolo credente ha una sua esperienza di preghiera, proporzionata alla sua fede. Questa, però, matura e si approfondisce in particolare con la preghiera comunitaria. Quelli tra noi che non sono più giovani hanno imparato a “recitare” da soli le preghiere, senza lasciarsi coinvolgere nella fede e nella preghiera degli altri; ci si ritirava nel proprio intimismo e con Dio ognuno se la vedeva da solo. Se prego lo faccio da solo e se mi va, mi reco in chiesa quando non c’è nessuno. Quando partecipo all’Eucaristia mi sistemo al mio posto e guardo dritto davanti a me, senza curarmi di quelli che mi sono a fianco. Finita la celebrazione me ne torno a casa; non ho visto nessuno !  Così manca la dimensione comunitaria della fede e quindi della preghiera. Questo ovviamente non ci fa pervenire a capire la Chiesa e a farne esperienza.

“Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio per la preghiera” (At 2:46). La vera Chiesa deve essere una comunità orante. Chi prega cresce e gode un’ottima salute spirituale. Chi non prega o prega poco e male dà segno di malattia interiore. La preghiera serve sia per prevenire le malattie dello spirito, sia per curarle. Quando poi una comunità prega con fervore, è segno che Gesù ne è il centro.

Consideriamo un intenso desiderio di Gesù che ci riguarda direttamente: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu sei in me, Padre, e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17:20). Se nella Chiesa non c’è il segno dell’unità, il mondo non crede; chi è fuori, non entra. Noi Chiesa dobbiamo riflettere molto su questo punto. Se comprendiamo questa parola di Gesù e vogliamo ad essa sottometterci, dobbiamo cercare di realizzarla con tutte le nostre forze, perché anche noi, come agli inizi, diamo evidenza dell’unità, come è nella Trinità. Questo certo è impossibile agli uomini, ma non a Dio (Lc 1:37). L’unica cosa che lo impedisce è di non volere quello che lui vuole.

Ogni comunità cristiana deve avere almeno due caratteristiche: vitalità ed efficacia. La prima è la capacità di crescere, per cui si deve tendere più alla qualità che alla quantità. Penso che la Chiesa sia stata voluta da Gesù non perché alla fine tutti gli uomini vi entrino, ma perché rimanga per tutti, attraverso i secoli, segno della salvezza che egli offre, come punto di riferimento, come mezzo per conseguire facilmente la meta. Così, sino alla fine la Chiesa rimarrà contenuta nel numero, ma non potrà essere limitata nella qualità. Gesù l’ha voluta perché essa sia sale per dare sapore (è la sapienza divina con cui essa parla: 1 Cor 2:6-15), lievito per far fermentare la massa, vale a dire smuovere tutti per orientarli verso la meta, luce non solo perché si faccia conoscere, ma soprattutto per indicare all’uomo il tragitto verso il fine ultimo.

La seconda caratteristica è l’efficacia della comunità, che dipende dalla volontà di dedizione di ognuno dei suoi membri. E’ necessario l’impegno di tutti: avere una visione comune, andare nella stessa direzione, organizzarsi e armonizzarsi. La visione comune ci sospinge sempre oltre, mentre quando si comincia a dissentire, si logora lo sforzo collettivo, si ritorna all’individualismo e si blocca il processo.

I credenti sono chiamati, per loro natura, ad esprimere una caratteristica ben definita. Il contrassegno di ogni individuo e di ogni comunità è Gesù. La Chiesa esprime la sua peculiarità quando mette Gesù al centro della sua vita, della sua attività interna ed esterna. Lo scopo di ogni comunità, quindi, è di essere in Gesù, di vivere lui e per lui; sia che viviamo, sia che moriamo apparteniamo al Signore (Rm 14:8).

Una comunità cristiana cresce in qualità non in base alle molte cose che in essa si potrebbero fare (attivismo), ma in proporzione all’importanza che Gesù ha per essa.

Dobbiamo volere una Chiesa come la sognava Gesù. Questo è possibile solo se arriviamo ad essere profondamente uniti a lui e ai fratelli e se siamo disposti a pagarne il prezzo. Quando abbiamo l’impressione che dei membri della Chiesa non si comportano come dovrebbero, facciamo come S. Francesco: cominciamo noi a fare bene, rimanendo obbedienti e sottomessi allo Spirito. Egli, poi, a suo tempo, ridurrà all’obbedienza anche gli altri.