Corso quaresimale di catechesi

PARROCCHIA “S.Giovanni Ev.”

Montecelio (Rm)

di  P. ADRIANO CIMINELLI, C.R.

 

-Terzo Incontro-

 

DIO  CI  SALVA  IN  GESÙ    

 

Aspetto negativo della salvezza:

Non riusciremo mai a comprendere fino in fondo il disastro che si è abbattuto sull’uomo con il peccato originale. La croce di Gesù però ci aiuta a farci un’idea più completa. Se per rimuovere il peccato è stato necessario il sacrificio e il sangue del Figlio di Dio (Lc 24:7) significa che la sciagura è stata veramente incalcolabile.

Nonostante tutto, noi rimaniamo ancora con un grosso problema, causato anch’esso dal peccato: la durezza di cuore. Il Signore ci ha salvati, ma difficilmente ci apriamo alla pienezza del suo dono. Un cammino di fede fortemente impegnato potrebbe aiutarci moltissimo a scoprire ciò che appesantisce il nostro cuore, ci rende pigri, incostanti e insensibili; potremmo così accogliere la salvezza con maggiore partecipazione.

Dopo la caduta, Dio ha escogitato un programma per restaurare le sorti dell’uomo, devastato dal peccato e diventato tenebra e disperazione. Sin dal paradiso terrestre Dio ha fatto balenare sul cammino dell’uomo una speranza. Rivolgendosi a satana gli dice: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa” (Gn 3:15). Cfr. anche: Gn 12:3/ 49:10/ Dt 18:15/ Is 11:1-2/ Ger 23:5-6/ Dan 7:13-14. La donna è Eva. La sua stirpe è l’uomo Gesù. Nella donna tuttavia, vediamo giustamente anche Maria, la nuova Eva, attraverso la quale è giunto il frutto della stirpe che avrebbe schiacciato il capo al serpente.

       “Ora, nella pienezza dei tempi, è apparso (il Salvatore) per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” (Eb 9:26). E’ il progetto di Dio, che doveva realizzarsi nel tempo stabilito. Israele pensava ad un Messia guerriero, potente, irresistibile, sempre vittorioso su tutti. Appare invece un Messia povero e debole, che serve e si lascia sconfiggere. Contro ogni logica umana Dio vince lasciandosi sconfiggere. Se vogliamo apprendere la vera sapienza dobbiamo imparare la lezione. 

Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4:4-5). Basterebbe solo rinunciare al nostro modo di pensare per accogliere e apprezzare l’enorme dono e la dignità che Dio ci conferisce salvandoci.

Disse l’angelo a Giuseppe: ”Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1:20-21).  Ci troviamo nella fase di realizzazione del piano di Dio. Dobbiamo imparare a lasciar Dio operare a modo suo, cercando di capire, se ci è possibile, ma in ogni caso fidarci di lui.

Nella lingua di Gesù il suo nome è detto Jeshu’a, che vuol dire: Jahvé è l’aiuto. Nel nome di Gesù c’è tutto il programma di Dio. Gli angeli, apparendo ai pastori, dissero: “...oggi vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2:11). Dio aiuta l’uomo salvandolo. Nessuno si accorge che Dio è sceso tra gli uomini, se non gli umili pastori, ai quali viene rivelato. Il Salvatore nato è il Cristo, il Messia atteso, l’Unto di Jahvé; ripieno di Spirito Santo, ha tutta la pienezza di Dio.

Chiediamoci ora in che cosa sia esattamente consistita la salvezza che Gesù ci ha procurato. Isaia, sette secoli prima che Gesù apparisse, lo vide nella sua visione profetica, come il servo sofferente di Jahvé: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui” (Is 53). In Gesù siamo riconciliati con il Padre, mediante il suo dolore e la sua morte. La Pasqua di Gesù è il grande mistero dell’amore di Dio, che riversa sul Figlio il castigo che doveva gravare sulle nostre spalle per l’eternità, così da liberarcene. In Gesù siamo riconciliati con il Padre, mediante il suo dolore e la sua morte. Gesù “...annullò il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce...” (Col 2:14). Coloro che sanno di essere salvati non dovrebbero distogliere più lo sguardo da Gesù. “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue... a lui la potenza e la gloria...” (Ap 1:5-6).

Tutto questo è accaduto perché Dio è buono e ci ama. Tutti coloro che hanno creduto a quanto Gesù ha fatto, sanno che “non c’è più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù” (Rm 8:1). Consideriamo attentamente come sia semplice ed efficace l’operato di Dio. Come ci ha reso facile conseguire la salvezza mediante la remissione del debito. Basta credere che Gesù ha già pagato il nostro debito; se accogliamo il prezzo del nostro riscatto, siamo salvati e liberati per sempre. Si riscontra a volte una fede carente, come se dovessimo fare chissà quali sacrifici per essere perdonati e salvati, mentre la salvezza è un dono d’amore. Gesù ha già compiuto tutto. A volte ci comportiamo come se dovessimo guadagnarci il paradiso o meritarci il perdono. Allora a che è servito il sacrificio di Gesù, il prezzo da lui pagato ?  Dobbiamo solo pentirci e convertirci, accogliendo quanto Gesù ha fatto per noi. Così, se siamo in Gesù e l’abbiamo accettato nella nostra vita, non c’è più per noi alcuna condanna (Rm 8:1). Non importa quali e quanti peccati si siano commessi; se ci si pente e ci si rifugia in Gesù, egli ha già espiato per tutto e per tutti. “Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 5:1). Se c’è pace con Dio è segno che siamo stati accolti da lui, l’inimicizia è stata cancellata, ora possiamo accostarci “con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia” (Eb 4:16). Gesù è il garante di questa riconciliazione e del fatto che il Padre ci accetta come figli. “Colui che non aveva commesso peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5:21).

Quella di Gesù è detta espiazione vicaria, cioè si sostituisce a noi nel pagare il prezzo del nostro debito. Noi eravamo in una situazione di peccato e di condanna, ma lui ci ha riscattati a prezzo del suo sangue.

Come mai la croce per il Figlio ? Noi pensiamo che sarebbe bastata una sua preghiera al Padre, o magari che versasse solo una goccia del suo sangue. Perché, invece, il Padre ha preteso da lui una prova così tremenda, così orrenda, quasi infernale ?  Come mai una tale passione per il Figlio? Non poteva accontentarsi e salvarci ad un prezzo più modico ?  Eppure Gesù stesso guardava alla sua croce, alla sua passione e morte come ad una necessità. Diceva: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ?” (Lc 24:26-27, 44-45). Ma da dove scaturiva questa necessità ? Forse è una esigenza della giustizia, ma soprattutto dell’amore. L’amore del Padre nell’offerta del Figlio e l’amore del Figlio nel dono totale e appassionato di sé, sono il segno più grande possibile, che solo Dio poteva dare. L’amore vero non si contiene, non si risparmia, è “effusivum sui”. Paga anche quel che non deve; supera la giustizia.

L’esperienza di sentire il Padre lontano l’ha fatta anche Gesù. Proprio sulla croce, immerso in un oceano di dolore e di angoscia, grida: ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” (Mc 15:34; Sal 22:2). Anche se Gesù è stato sempre pienamente unito al Padre, tuttavia lo sente lontano; è la lontananza dei reprobi, dei condannati all’inferno che lui sta redimendo, assumendo su di sé la loro pena. Questo grido è la certezza della creatura di essere stata abbandonata da Dio per l’eternità, senza la possibilità di poter ritornare sui propri passi. Per questo, dinanzi al grido del Figlio, il Padre non risponde, come Abramo che cerca di distogliere la sua attenzione dalla voce del figlio, che sta per essere immolato. Noi vediamo quel che è successo esteriormente a Gesù nel corpo, ma non comprenderemo mai quel che è accaduto nel suo cuore, nel profondo del suo essere durante la sua passione e morte.

L’eredità dei credenti è la gioia contenuta nella buona novella: Il prezzo del peccato è stato pagato, i condannati per l’eternità sono stati liberati, la pace con il Padre è stata fatta, le porte del Regno sono state aperte. Per coloro che sono coinvolti in questo mistero di salvezza e d’amore  che rimane se non la gioia ?  Questa gioia sarà vera in noi se diventerà contagiosa, fino ad essere trasmessa, come la notizia più bella che si possa mai udire, che si possa mai annunciare. Condividere la gioia è portare la certezza della salvezza a coloro che ne sono ancora privi e in grave pericolo se non si accorgono per tempo che il prezzo del riscatto è stato già versato.                                 

 

Aspetto positivo della salvezza:

Finora abbiamo parlato dell’aspetto negativo della salvezza: Gesù che ci libera dal peccato, dalla condanna, dall’eterna separazione da Dio. Però c’è anche l’aspetto positivo della salvezza, che è contenuto nell’espressione “Nati di nuovo”.

L’aspetto positivo della salvezza, non è più ciò da cui Gesù ci libera, ma ciò che il Padre ci dona a causa di Gesù. Così, questo secondo aspetto della salvezza è molto più grande del primo, anche se il primo è il più necessario. E’ necessario innanzi tutto che Gesù ci liberi; dopo, ci riempie di sé: “Io sono venuto perché (le mie pecore) abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10:10), affermava Gesù. Quando parliamo di questa pienezza ci riferiamo alla vita divina, a tutti quei beni provveduti per coloro che si lasciano salvare.

Gesù ci dà una vita nuova, perché quella con la quale siamo nati è impregnata di peccato e di morte. Gesù ci dà la sua stessa vita, ci divinizza. Anche se non riusciamo a sperimentare e a capire che cosa significhi tutto questo, però deve essere certamente qualcosa di straordinario. In pratica Dio ci dona gratuitamente quel che i nostri progenitori volevano conseguire con le loro forze. Quando si parla di conseguire la vita eterna, significa non solo di avere una vita che duri sempre, ma avere la vita di Dio, l’Eterno.

Questo processo di pienezza inizia col battesimo. Il battesimo è il segno della salvezza che Gesù ci comunica; lo Spirito opera profondamente nel nostro cuore e nella nostra natura. Nel battesimo, oltre ad avere la rimozione del peccato con le sue conseguenze di separazione da Dio e di morte, riceviamo, come in un seme, la vita stessa di Gesù, che viene a sostituire quella vecchia di peccato.

Gesù, in opposizione ad Adamo, è l’uomo nuovo, quello che il Padre aveva in mente quando creò Adamo ed Eva. Dio voleva l’uomo e la donna così: puri, obbedienti, sottomessi, capaci di fidarsi di Dio. Egli già aveva preparato per loro qualcosa di meraviglioso. Il paradiso terrestre così lussureggiante, rappresentava quella ricchezza divina che Dio voleva condividere con le sue creature.

Dice Gesù: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose “ (Ap 21:5). L’uomo ricreato è nuovo, ma non senza il vecchio, ed emerge dalle sue macerie. L’uomo vecchio è come una placenta, che dopo aver fatto nascere l’uomo nuovo, si butta. Per far parte di questa nuova creazione è necessario credere in Gesù e accoglierlo nella propria vita. L’uomo nato a suo tempo dalla carne e dal sangue, ora nasce dall’alto, dallo Spirito, come diceva Gesù a Nicodemo, per far parte della nuova creazione.

Tutto questo accade con il battesimo, che è il segno di ciò che in quel momento lo Spirito opera nell’intimo. Vediamo dell’acqua scorrere e udiamo delle parole che esprimono il significato da dare all’acqua che scorre. L’acqua serve prima di tutto per lavarsi, per eliminare lo sporco, ma è anche il segno della vita. Dove giunge l’acqua c’è la vita, dove non c’è acqua, manca la vita. Lo Spirito quindi ci irrora della sua acqua, affinché siamo purificati e scorra in noi la vita divina.

Nel Battesimo Dio deposita in noi, come in un seme, la sua vita divina, come fece in Maria nel momento dell’Incarnazione. Per questo Gesù, pur avendo lasciato questo mondo, si rende di nuovo presente ogni volta che qualcuno viene battezzato. Gesù vive di nuovo in chiunque è fecondato dalla sua vita divina. E come, dopo essersi incarnato, nacque e crebbe, fino a raggiungere la piena maturità, così ora, incarnandosi di nuovo e identificandosi con ciascuno di noi, vuole crescere e raggiungere la maturità. Paolo a proposito dice che dobbiamo raggiungere “lo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4:13). Per questo la santità nella Chiesa è come le stelle del cielo, di varia grandezza e luminosità. Però tutti siamo chiamati a crescere per raggiungere la nostra misura, usando quei mezzi che Gesù ha messo a nostra disposizione. Paolo, che aveva compreso bene il portento della vita divina in noi, affermava: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 4:20). Questa vita nuova in noi deve crescere fino a sostituire la vecchia. Gesù non ripara la vecchia natura corrotta dal peccato, ma la sostituisce con la sua. E’ importante comprendere con chiarezza questo grande mistero d’amore e il dono che egli ci fa. Più cresce la vita nuova e più diminuisce la vecchia. Così al termine della nostra esistenza dovremmo essere completamente liberati dalla nostra natura corrotta e riempiti della natura divina e umana di Gesù, fonte della gloria.

“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5:17). La novità di Gesù in noi è che egli vuole riprodurre in noi il mistero trinitario. Come nella Trinità vi sono tre Persone, che condividono una sola vita, una sola natura, così succede in noi. Gesù condivide con noi la sua vita, così che, pur essendo molti, viviamo tutti di un’unica vita, dell’unica natura divina e umana di Gesù. In tal modo entriamo a far parte della vita trinitaria. Questo spiega anche la necessità dell’amore fraterno, perché siamo tutti legati insieme per sempre nel Corpo Mistico, animato dallo stesso Spirito, che è l’Amore di Dio. In un unico corpo le membra non si fanno guerra, anzi, ogni membro si mette a servizio di tutte le altre. Gesù vuole che in questo modo esprimiamo la carità, proprio come avviene nella Trinità. Ognuno si consideri  parte del tutto e viva per il bene di tutti. “Ora  siete corpo di Cristo e sue membra” (1 Cor 12:27), membra gli uni degli altri” (Ef 4:25), “in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (1 Cor 12:13). Questa realtà Gesù la esprime in modo suggestivo nella parabola della vite e i tralci (Gv 15:1-8). La linfa della vite si diffonde nei tralci, perché vivano e portino frutto. Diceva Gesù: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Gv 15:1-2). Il Padre vignaiolo taglia i rami secchi o senza frutto. Questo ci fa riflettere su come è necessario vivere intensamente e assorbire quella linfa per portare frutto. Non possiamo essere spiritualmente sterili e inattivi.

Gesù chiarì questa verità parlando con Nicodemo, con le affermazioni: “nascere dall’alto”, “nascere da acqua e da Spirito”, “quel che è nato dalla carne è carne - che alla fine depositeremo nel sepolcro - quel che è nato dallo Spirito è Spirito”. Dice ancora Gesù:  “Chiunque è nato dallo Spirito” è inafferrabile come il vento (Gv 3:1-9), non sai mai da dove viene né dove va. Questo mistero noi lo accettiamo e lo viviamo nella fede, a differenza di chi non crede, che non ha in sé questa realtà stupenda. Anche se l’ha ricevuta nel battesimo, quando gli viene a mancare la fede perde tutto. Coloro che nell’età adulta rinnegano il proprio battesimo o non lo accettano, perdono il dono. I credenti, invece, diventano “familiari di Dio” (Ef 2:19), cioè figli (Rm 8:14-17), quindi “partecipi della natura divina” (2 Pt 1:4).

Dio aveva un solo Figlio e ha voluto dargli tanti fratelli e sorelle, così da diventare una grande famiglia. Nel Figlio siamo diventati figli. “Che siete figli ne è prova il fatto che  Dio  ha  mandato  nei nostri  cuori  lo  Spirito  del  suo  Figlio, che  grida: Abbà, Padre !  Quindi non sei più schiavo, ma figlio, sei anche erede per volontà di Dio” (Gal 4:6-7). Lo Spirito viene ad animare in noi la vita che animava in Gesù. E’ lo Spirito che prega per noi e ci aiuta nella nostra debolezza a gridare: Abbà! Lo Spirito ci forma e ci istruisce perché impariamo ad assumere la nostra identità di figli e ad agire come tali. S. Leone Magno esclamava: “Considera, o cristiano, la tua dignità!” Come dovremmo custodire questa dignità! eppure basta un solo peccato grave a spazzar via tutto. Se sei figlio sei anche erede di tutti i beni di Dio. Nella parabola del figlio prodigo, il padre dice al figlio maggiore, che lo rimproverava di essere stato troppo buono e misericordioso: “Figlio, tu sei sempre con me, e tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15:31). Ecco l’eredità del Padre.

Noi sintetizziamo tutta questa magnifica realtà con la parola grazia, che significa qualcosa che viene dato gratuitamente, cioè un dono. E’ il dono che Dio ci fa di se stesso. Non siamo ancora riusciti a coniare una parola più appropriata per esprimere questo bene stupendo.

Dio ci ripropone il frutto dell’albero della vita del paradiso terrestre. Quest’albero è la croce e Gesù è il frutto che da esso pende. Gesù è il frutto di vita che il Padre propone ad ogni uomo di tutti i tempi, sino alla fine. C’è chi ancora, come i nostri progenitori, commette lo stesso errore, rifiuta il frutto della vita, rimanendo nello squallore e nella morte. Chi si nutre di questo cibo è la Chiesa, adunata attorno a Gesù, “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che egli si è acquistato, perché proclami le opere meravigliose di lui, che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1 Pt 2:9). L’attività più grande del credente dovrebbe essere quella di proclamare le meraviglie di Dio, quello che egli ha fatto e vuole ancora fare in tutti, se glielo permettiamo. Quale grande scopo ha la nostra esistenza: entrare nella luce inaccessibile di Dio, accesso reso possibile da Gesù.

La nostra visione cristiana dovrebbe mirare prima di tutto a possedere un forte senso di identità. In secondo luogo dovremmo considerare la nostra grande dignità. Quel che possediamo è più grande dell’eredità degli angeli, che non hanno in loro la vita divina, mentre noi viviamo della vita di Dio. Da tanta miseria a tanta grandezza!

Se siamo coerenti, poiché siamo uomini e donne nuovi, dobbiamo inventare un mondo nuovo. Se portiamo con noi tanta ricchezza, a contatto col mondo pagano dobbiamo lasciare il segno del nostro passaggio, altrimenti mostriamo di essere inconsistenti. Per questo Gesù diceva: “Risplen-da la vostra luce davanti agli uomini” (Mt 5:16). Se Gesù, luce, è in noi, deve risplendere, non può essere occultato dall’umano che ancora è in noi. “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5:15).

 Per questa società nuova il Vangelo dovrebbe essere il codice di comportamento, soprattutto per vivere la carità. L’amore fraterno dovrebbe essere la regola che disciplina i nostri movimenti.

Maria è il modello di ogni cristiano. Lei, che ha concepito il Figlio di Dio, è stata trasformata in lui come nessun altro. Lei ci assicura che questa trasformazione è possibile. Maria è l’immagine perfetta del Figlio. Diciamo che nel battesimo Gesù si è incarnato in noi, per trasformarci in lui. Anche noi dobbiamo avvicinarci a lui il più possibile. Maria non è nostra Madre solo perché, mentre stava ai piedi della croce Gesù le disse: “Donna, ecco tuo figlio”, accennando a Giovanni: questa era solo la proclamazione di un fatto. Maria è nostra Madre perché abbiamo in noi la vita che lei ha generato, Gesù. Generando il Figlio ella ha generato anche noi. La proclamazione di Maria Madre della Chiesa, ha questo senso: sono suoi figli tutti coloro che vivono della vita del Figlio.

Come possiamo avere la certezza di possedere questa vita ?  La Scrittura dice che Gesù “ven-ne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1:11-12). Pertanto basta

 - credere e accogliere la parola che il Padre ti ha fatto conoscere attraverso il Figlio;

  - riconoscere quello che Gesù ha fatto per te e come egli ti ha meritato la salvezza;

  - aprire il cuore a Gesù e accoglierlo nella tua vita.

A questo scopo potresti utilizzare la preghiera che segue o una simile:

 

Signore Gesù,

riconosco di essere un peccatore,

di avere un estremo bisogno di te,

di un tuo intervento nella mia vita.

Ti riconosco e ti accetto

quale mio Salvatore.

Sono pentito dei miei peccati,

li metto tutti davanti a te.

Ti prego di perdonarmi.

Lavami col tuo sangue prezioso

e riconciliami con il Padre.

Grazie, Signore Gesù!

 

Ti apro la porta della mia vita,

ti prego di entrare.

Sii il Signore della mia esistenza,

prendine il totale controllo.

Sostienimi con il tuo Spirito

per essere sempre nella volontà del Padre.

Tienimi per mano e guidami.

Non permettere che io abbia

a separarmi da te.

Ti ringrazio per il tuo amore e la tua compassione.

 

     Essere salvati significa raggiungere la pienezza di Dio. Il processo salvifico iniziato, accogliendo Gesù nella propria vita, si concluderà con la risurrezione finale. Paolo afferma che ora “gemiamo interiormente aspettando... la redenzione del nostro corpo” (Rm 8:23). Il corpo che abbiamo ora finirà nel sepolcro, mentre quello che ci sarà dato alla risurrezione della carne sarà un corpo nuovo, frutto anch’esso della salvezza operata da Gesù; egli infatti ha salvato tutto l’uomo e solo alla fine contempleremo la pienezza di questa meraviglia.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

   Concludo con la metafora del baco da seta. Tutto inizia con un bruco, che pian piano si trasforma in crisalide, che si riveste di seta formando un bozzolo. Progredendo nella metamorfosi, pratica un foro nel bozzolo e ne esce farfalla, la quale dovrebbe volare al di sopra delle miserie della terra e pascersi tra i fiori. Anche in noi è in atto questa metamorfosi. Il seme divino che è stato seminato in noi si sta sviluppando: andiamo verso la totale trasfigurazione. Ora stiamo praticando il foro per uscire e volare verso la luce inaccessibile.