Le nostre Chiese

La vecchia parrocchiale di S. Antonio Abate

La vecchia chiesa parrocchiale di S.Antonio Abate (vista frontale)Situata nella parte più elevata dell'abitato oltre le ultime case della "Villa", il più antico insediamento di Montà adiacente al castello, la chiesa parrocchiale dedicata a S. Antonio Abate potrebbe avere occupato un sito cultuale più remoto, come a S. Giacomo. Si ritiene che sia stata inclusa in un perimetro fortificato dopo che i Roero, a partire dal 1363, vi eressero il castello.

Cogliamo l'occasione per fornire alcuni cenni storici del castello anche per la sua importanza che ebbe nei confronti della chiesa di Montà, essendo stato all'origine dell'oratorio che divenne in seguito la parrocchiale di S. Antonio Abate.

L'attuale Castello di Montà sorge isolato, entro un vasto parco, nella parte più alta del paese. In tempi remoti era una costruzione fortificata munita di fossati e ponte levatoio, eretta in posizione elevata per il controllo e la difesa del feudo, come lo erano tutti i castelli di epoca medievale. Dovendo controllare i percorsi che dalla valle di Canale raggiungevano il territorio superiore di Montà, il sito più adatto poteva essere quello dell'attuale parrocchiale di S. Antonio.

Nel 1363 i Roero acquistano il feudo con il castello e lo ristrutturano rendendolo più confortevole, ma nessuna notizia ne chiarisce l'ubicazione. Ceduto ai Malabaila di Asti verso il 1441, esso viene ricostruito probabilmente nel sito attuale. Passato agli Isnardi De Castello verso il 1587, il castello venne notevolmente ampliato ed arricchito, come testimoniato da una iscrizione datata 1647 che era posta all'ingresso dell'edificio. Il vasto parco che lo circonda risale a quell'epoca. Successivamente venne ceduto ai marchesi di Parella e infine a Bonaventura Morra di Lavriano, ultimo feudatario della Montà, il quale abbellì notevolmente l'edificio e il parco circostante.

Particolare del Castello visto dalla piazza della ChiesaAll'interno è degno di rilievo un salone riccamente decorato di stucchi e di affreschi, circondato da una loggia e da corridoi che immettono negli appartamenti. Gli affreschi originali rappresentavano le costellazioni e i dodici segni dello Zodiaco. Anche gli appartamenti interni erano in parte affrescati con scene che ritraevano i fasti della nobile e potente famiglia degli Isnardi De Castello. Nel fianco a nord mostra ancora il suo fiero aspetto tardo-medievale, ingentilito all'angolo di ponente da una torricella sporgente mentre l'angolo più vulnerabile è rafforzato da una robusta torre rotonda.

Secondo la tradizione, la chiesa parrocchiale ebbe origine dall'antico oratorio del castello costruito in epoca imprecisata e che fu poi ingrandita, verso il 1500, sul terreno donato dai Malabaila, feudatari del tempo. L'edificio sacro è citato nel testamento del consignore Filippo Malabaila, del 1517, che richiede la celebrazione di messe.

Notizie certe sui luoghi di culto in generale si hanno a partire dalla prima visita pastorale postridentina, che per Montà, come abbiamo già anticipato, avvenne il 24 gennaio 1585.

Il visitatore apostolico mons. Peruzzi annotava:

"Di poi (dopo avere visitato la parrocchiale) si portò a visitare l'Oratorio nello stesso luogo, nel quale per comodità dei fedeli vi è cura delle anime al posto della Chiesa (...). In detto Oratorio si conserva il Santissimo Sacramento in un bellissimo tabernacolo tutto indorato, dono dell' Ill. Conte Sanfredi ".

L'oratorio svolgeva in pratica, anche se non ancora in forma ufficiale, tutte le funzioni parrocchiali spettanti alla chiesa di S. Michele, per la "cura delle anime che sono di comunione 456", di cui era responsabile il rettore don Gio. Secondo Volpe, che si sottoscriveva "Curato della Montà di fangi" fin dal 1551, e che talvolta, nei registri di battesimo e di matrimonio nominava la "chiesa di santo Antonio". Cinquant'anni dopo il parroco don Bricio "Curato della Montà" specificava il titolo di "parrocchia di S. Antonio Abate".

La relazione del visitatore prosegue con la menzione dei tré altari:

"L'Altare Maggiore costruito in materiale laterizio (...) senza titolo, sia ornato come per disposizione testamentaria dell'Ill.mo Sig. Conte deceduto da poco, e che dotò di 200 scudi da essere impiegati in beni immobili, i cui redditi siano per far celebrare una Messa la settimana. Comandò che sia provvisto di tutto il necessario, ricordando agli eredi le disposizioni del testatore alle quali sono tenuti.

L'Altare di S. Sebastiano, di spettanza, come si dice, della Società delle Vergini, al quale fanno celebrare ogni tanto qualche Messa, siano provveduti candelieri decenti (...).

L'Altare della Madonna sia provvisto di ogni cosa a norma dei Decreti".

Sulla struttura della chiesa sappiamo solo che era a tré navate, era pavimentata e imbiancata, inoltre aveva alcune finestre mancanti di serramenti e non aveva la sacrestia. Nei pressi sorgeva la casa canonica dove abitava il rettore.

Notevoli lavori di ristrutturazione e di ampliamento ebbero luogo intorno al 1650 a opera degli Isnardi che, come già i precedenti Signori, vi avevano una cappella laterale e la camera sepolcrale; risulta infatti, dagli Atti di morte del 1631, il "Nobile Gerolamo Isnardi de Castello, sepolto nell'Oratorio di S.Antonio di questo luogo con licenza del Vicario Foraneo di Canale, Ottaviano Malabaila".

In quell'epoca era parroco don Casetta, che lasciò memoria di sé nella pietra di un lavabo in sacrestia e di un'acquasantiera in fondo alla chiesa; entrambe portano scolpite la data 1663 e il nome "Thomas Casetta Archipresbyter".

La prima fonte attestante le modifiche strutturali e funzionali apportate alla Chiesa la troviamo negli Atti della visita pastorale fatta da mons. Rotario, vescovo di Asti il 6 novembre 1656. Egli nomina sette altari, gli stessi che vengono in seguito descritti in dettaglio nella citata relazione di don Tagliano del 1705, di cui riportiamo uno stralcio:

"La Chiesa Parochiale è sotto il titolo di S. Antonio Abate (...) alla cui amministrazione sono stato deputato io Gio. Steffano Tagliano nativo del medesimo luogo da Mons. Ill.mo e Rev.mo Migliavacca l'anno 1695 et questo beneficio annuo da beni stabili lire cento circa oltre gli incerti".

Prosegue con un lungo elenco di beni immobili appartenenti alla chiesa, consistenti in gerbidi, boschi, vigne, prati, la casa canonica nella "villa" e una casa in "Bricco dell'Arcione". Tra i numerosi beni, qualcuno già citato trattando delle chiese scomparse, troviamo "ai confini di Canale in regione Anterisio (lontano ricordo dell'antico insediamento), prato e gerbido di giornate 2 e tavole 3, e un pezzo di bosco di giornate 10 e tavole 3".

Tralasciando la descrizione degli arredi della chiesa, vediamo quali erano le caratteristiche della nuova parrocchiale, rispetto al precedente oratorio. La chiesa presentava sette altari:

"L'altare Maggiore, dedicato a S. Antonio Abate, con Tabernacolo indorato, Incona con un Crocefisso grande sopra. Al medesimo Altare è eretta la Compagnia del Corpus Domini.

L'Altare di S. Agostino con un piccolo Tabernacolo con l'Incona indorata e colorita con suo quadro. A questo è eretta la Compagnia della Cintura e del Suffragio delle Anime del Purgatorio (...) vi si celebra la Messa ogni venerdì.

L'Altare del Rosario, con l'Incona indorata, Statua della Vergine indorata con quindici Misteri dipinti attorno. Quest'Altare e privilegiato per le anime dei Confratelli di detta Compagnia. Non ha obbligo ne redditi.

L'Altare di S. Orsola, cornice con la sua Incona, et un Gonfalone per la processione delle Vergini. Non ha obbligo ne redditi.

L'Altare del Carmino, con l'Incona e cornice di legno semplice. Non ha redditi.

L'Altare di S. Francesco non è provvisto di cosa alcuna se non del contraltare dipinto sulla muraglia, l'Incona e quadro. Vi sono lire quindici di elemosina in mano di Giovanni Chiesa e Francesco Bonino deputati alla cura d'esso.

L'Altare di S. Giovanni Battista non è provvisto di alcuna cosa se non dell'Ancona antica con l'arma sopra delli Signori Malabaila".

Della chiesa stessa non sappiamo altro; doveva comunque avere la sacrestia dal momento che il relatore fa l'elenco degli arredi che vi erano custoditi. Sappiamo anche che il clero di Montà era formato, oltre che dall'arciprete don Tagliano, da quattro sacerdoti e un chierico:

"Don Secondo Trucco, nativo di questo luogo, residente in compagnia di suo fratello, senza benefici o impiego.

Don Simone Bertero quale fa sua residenza a Pralormo in qualità di Rettore di scuola.

Giuseppe Antonio Tagliano, Chierico di anni diciotto, quale fa sua residenza a Torino dove studia Filosofia sotto la disciplina dei Rev. Padri Gesuiti".

Dalla relazione di don Ricca del 1742 ricaviamo altre importanti notizie, che ci permettono di costruire un'immagine più precisa dell'evoluzione dei luoghi di culto montatesi, nonché un vero e proprio censimento delle famiglie della parrocchia distribuite nel capoluogo e nei seguenti "cascinali": Vittori, Ghioni, Badoni, Trinità, Lamme, Rolandi, Lanzarotti, Latene, Corso. In tutto, risultavano esserci 364 famiglie per un totale di 1810 abitanti.

La chiesa parrocchiale è impostata su una pianta a tre navate, quella centrale di cinque arcate, le laterali di quattro e ha la copertura a volta "a tutta monta". Vi si aprono 18 finestre quadrate con vetrate e grate protettive, inclusa quella del coro; questo è a levante e presenta cinque angoli con lesene.

Le pareti sono imbiancate e in parte "incrostate". Il pavimento è lastricato in pietra marmorina e quadrati in cotto sotto i banchi. Il Sancta Sanctorum è cinto da una balaustra di noce.

La sacrestia è lunga 2 trabucchi e larga 1,5. La volta è decorata di una pittura raffigurante la SS. Trinità. Ci sono due finestre protette dalla grata, il pavimento è di quadroni di cotto, per arredamento ha degli armadi di noce.

L'arredamento sarà poi completato nel 1761 dal falegname Antonio Taliano.

La chiesa possiede ora otto altari. Rispetto alla precedente situazione troviamo l'altare dedicato a S. Margherita da Cortona, eretto con le elemosine nel 1734.

Come in ogni chiesa, gli altari non hanno tutti la stessa importanza, possono appartenere alla comunità, a una congregazione, a un privato, possono subire un cambiamento di titolazione o essere rimossi quando se ne ravvisava la necessità o quando viene meno la fonte di sostentamento (in genere un lascito testamentario). Anche la loro posizione lungo la navata ne denota il grado di importanza; per questo motivo l'altare dedicato a Maria Vergine è sempre al primo posto, accanto all'altare maggiore.

Nel nostro caso, il relatore segnalava che l'altare di S. Giovanni Battista, di proprietà del Marchese di Beaufort, benché di primaria importanza (primo a sinistra), è in condizioni "derelitte" e da cinque anni non vi si celebra; lo stesso si dica dell'altare del Carmine, rimasto senza padrone e senza redditi.

Nella navata sinistra, in cornu Evangelii, vi è una tribuna di proprietà della famiglia dei Signori del castello. Vi si accede dal parco del castello mediante una scala esterna e una robusta porta chiusa a chiave.

Vi è un'indulgenza perpetua della Via Crucis eretta da padre Filippo dei Frati Minori, risalente al 13 giugno 1734.

Nella chiesa non vi sono sepolture. In epoca successiva troviamo notizia di due sepolture di parroci di Montà. Il primo di questi risulta essere don Domenico Carretto, che resse la parrocchia per oltre 41 anni, amato e stimato da tutta la popolazione. Morto nel 1803, fu sepolto nel coro della chiesa parrocchiale di S. Antonio. Il secondo parroco fu don Carlo Carretto nipote e successore del precedente, morto nel 1818, sepolto accanto allo zio.

L'edificio non ha campanile eccetto una piccola campana posta sopra due pilastrini, alti 1 trabucco, sul tetto del coro.

Il campanile è distante 60 trabucchi dalla chiesa parrocchiale, è alto 9 trabucchi circa, all'interno vi sono due scomode scale di legno, una di 22 gradini, l'altra di 9, vi sono due campane, una grande e una mezzana. Esso sorge presso la scomparsa porta inferiore della "villa". Nel catasto del 1725 è elencato fra i beni della comunità assieme a possessi attigui come "casa abrugiata, porta, ponte, laiasso, rippaggio, e pozzo". II parroco don Capra precisa che nelle vicinanze del campanile sorge la casa comunale (poi trasferita nella nuova sede in piazza S. Michele nel 1878).

Nella villa di Montà si trovavano infatti le strutture essenziali per la collettività, consistenti nella "casa di comunità", la torre comunale, simbolo della "villanova", fatta erigere da Asti (ricostruita a metà del '700 e trasformata in campanile), il forno, il pozzo pubblico d'acqua sorgente, il "lajass", prezioso serbatoio d'acqua per abbeverare il bestiame e per il bucato, ma utile anche in caso di incendio".

Continuando la nostra ricerca tra le carte dell'archivio parrocchiale, possiamo raccogliere altre valide testimonianze che ci permettono di descrivere, in ordine cronologico, le principali tappe della crescita della chiesa fino ad arrivare, attraverso successive trasformazioni, alla sua attuale configurazione che tutti i montatesi conoscono.

Nella successione dei parroci, si distinsero due arcipreti, zio e nipote, prima don Domenico Carretto (1762-1803), poi don Carlo Carretto (1803-1818); sotto la loro guida vennero intrapresi importanti lavori di completamento e di ammodernamento.

Segnaliamo in particolare la decorazione interna della chiesa, risalente al 1795: sono gli affreschi del coro eseguiti dal pittore comasco Bernardino Barelli al prezzo di lire 275, pagate con il contributo popolare e la raccolta di elemosine, e quelli del presbiterio ad opera del pittore Giuseppe Palladino al prezzo di lire 450.

Tre anni dopo, nel mese di aprile 1798, venne sistemata la balaustra in marmo nero, opera del marmorista Fossati di Racconigi e l'artistico cancelletto fatto pure a Racconigi dal fabbro Renato Ferrara. In totale la spesa sostenuta fu di lire 1.828, pagata con il contributo popolare come ricordato dal cartiglio posto al centro della grata: "PME" cioè Populi Montatae Eleemosina.

Alla stessa epoca risalgono altre opere pittoriche come il grande quadro di S. Antonio Abate, in sostituzione di uno più antico di datazione sconosciuta, i quadri della Via Crucis, e i quindici quadretti in legno che adornano la statua dell'altare del Rosario, rappresentanti i quindici Misteri; sono opere di buon livello del pittore Raposo, pagate con le elemosine dei fedeli raccolte presso la cappella del Santo Sepolcro.

Nel frattempo è cambiata la configurazione degli altari. Essi sono ancora otto ma la loro dedicazione, partendo dall'ingresso nella chiesa e proseguendo in senso orario da sinistra a destra si sussegue in questo ordine: S.Luigi, S.Anna, S.Giovanni Battista, l'altar maggiore, SS.Rosario, S.Cuore di Maria, Madonna del Suffragio, S. Giuseppe.

I lavori proseguono nel corso dell'Ottocento. Segnaliamo qualche intervento di particolare rilievo.

Due anni dopo la costruzione del pulpito (1804) avvenne la consacrazione della chiesa parrocchiale, nella seconda domenica di settembre del 1806 da parte di mons. Arborio Gattinara, vescovo di Asti.

Nel 1810 inizia il rifacimento della facciata, e la costruzione dell'antistante portico con attigua abitazione del sacrestano, terminata nel 1814. Nello stesso tempo viene costruito il piccolo campanile annesso al coro, in sostituzione del precedente campaniletto, "costruito con le elemosine dei fedeli, con una sua campana per i segni della messa". È l'ultimo dei tanti lavori portati a termine da don Carretto.

A questo punto della nostra storia si inserisce, nell'ambito della ristrutturazione diocesana voluta da Pio VII, il passaggio del territorio del Roero e di Cherasco dalla diocesi di Asti a quella di Alba, avvenuto il 17 luglio 1817.

Esaminiamo cosa ci dicono le relazioni dei parroci don Capra (1828 e 1837), don Varusio (1868), don Mosca (1888) e don Giberti (1929). Alcune di queste relazioni sono molto dettagliate e ci offrono numerose notizie precise e interessanti. Altra importante fonte è costituita dal complesso di note che accompagnano i rendiconti annuali registrati nei libri dei conti accuratamente tenuti da don Giovanni Mosca.

La decorazione interna della chiesa venne ripresa e completata dall'arciprete don Giorgio Varusio nel 1877. Il lavoro di pittura in affresco e ornato venne affidato ai fratelli Domenico, Carlo e Placido Mossello di Montà, mentre lo stuccatore Stefano Aloi, montatese con bottega in Torino, intraprese i lavori d'indoratura; la spesa complessiva fu di lire 15.000.

La tribuna in fondo alla chiesa, destinata ai dodici cantori e all'organista fu rifatta e decorata nel 1882 in occasione dei lavori di messa in opera dell'organo, fabbricato dalla ditta Vittino di Centallo, al costo di lire 6.000.

A don Giorgio Varusio successe don Giovanni Mosca, che prese possesso della parrocchia il 12 agosto 1883. È il parroco che diede particolare impulso al Santuario dei Piloni, come si dirà meglio nel paragrafo dedicato a questo sacro luogo, e che si distinse per la precisione in campo contabile amministrativo, per l'abbondanza delle annotazioni a fronte dei rendiconti annuali e per la completezza delle relazioni.

In occasione della visita pastorale di mons. Pampino (17-19 novembre 1883), il neoeletto arciprete don Mosca fu espressamente comandato di svolgere con sollecitudine quelle funzioni relative alla tenuta dei libri contabili che erano state trascurate dal suo predecessore, e di riparare, nel termine di sei mesi, alle mancanze emerse nella precedente contabilità.

Uno dei suoi primi lavori, nel 1885, fu il restauro del pavimento della chiesa, seguito dalla riparazione dell'organo e, verso la fine del secolo, la sostituzione del vecchio altare maggiore in stucco con uno nuovo in marmo, inaugurato nella solennità della Pasqua del 1895 e consacrato da mons. Re, vescovo di Alba, il 28 settembre 1897.

L'anno successivo il pittore torinese Luigi Morgari dipinge la grande pala dedicata al Sacro Cuore di Maria, posta sopra l'omonimo altare eretto vent'anni prima.

Concludiamo l'Ottocento con due curiosità tratte dalla relazione di don Mosca del 1888, che hanno a che fare con il comportamento dei parrocchiani. Nella navata sinistra, in corrispondenza tra il secondo e il terzo altare vi era un'arcata con una porta che immetteva nel giardino del castello, aperta durante i mesi estivi per fare entrare aria fresca. In seguito venne chiusa perché induceva i parrochiani a sostare al fresco all'esterno anziché entrare in chiesa. La seconda annotazione riguarda le discordie tra i parrocchiani nel rivendicare il titolo di possesso di banchi e di sedie. Questi risultavano infatti di proprietà privata da antica data, non si sa per quale titolo o privilegio. Tra questi c'era anche "il banco del Comune". Tramandatisi per eredità e per il moltiplicarsi della parentela, lo stesso banco era posseduto anche da otto o dieci famiglie, con il risultato di frequenti litigi e di un indecente stato di abbandono degli arredi stessi.

Il nuovo secolo inizia portando alla chiesa un impianto di illuminazione ad acetilene. La "macchina per la produzione del gas" venne installata nel 1902. "Le fiamme dell'acetilene sono sette: una in sacrestia, una nel coro, due in chiesa, due in tribuna dell'orchestra, una fuori della chiesa, per rischiarare la via, per quanto possibile, quando le funzioni al mattino sono fatte per tempissimo e il tempo è molto scuro".

Intanto si ravvisò la necessità di restaurare la navata centrale; la decorazione fu affidata al pittore Costantino Mossello di Montà mentre l'indoratura di tutti i candelabri e l'apparato dell'altare maggiore fu assegnata agli indoratori Arduino e Rossi di Torino. I lavori vennero portati a termine nel corso del 1905.

Segnaliamo ancora: il rifacimento dell'altare di S. Giuseppe, nel 1910, l'acquisto del primo Presepe (1914), ed infine, l'anno dopo, il ripristino della facciata della chiesa a spese del Comune e l'impianto di illuminazione elettrica con energia proveniente dalla centrale di Cherasco in sostituzione di quella prodotta "dalla dinamo del molino di Montà".

Con la relazione di don Giberti, ci inoltriamo negli anni che precedono la nostra epoca, ai tempi in cui il montatese dell'età matura ricorda direttamente gli avvenimenti, i sogni e le emozioni a partire da quando era ragazzino, tutto un bagaglio di vita vissuta che fa parte della nostra storia. Siamo giunti agli ultimi fatti che hanno disegnato la lunga evoluzione storica della nostra parrocchiale e delle altre chiese situate nel territorio montatese. Don Michele Giberti prese possesso della parrocchiale di S. Antonio il 2 settembre 1923 e la resse fino al giorno della sua morte avvenuta il 5 maggio 1953.

Tra le numerose iniziative intraprese a favore della comunità ricordiamo la ristrutturazione interna della chiesa, in considerazione che "la maggior parte di questi altari laterali formano un inutile ingombro, per cui ho fatto le necessarie pratiche per ottenere la rimozione di quattro altari, due di sinistra e due di destra, allo scopo di guadagnare spazio per i fedeli senza intaccare l'estetica delle navate". Ottenute le necessarie autorizzazioni, vengono rimossi gli altari di S. Giuseppe, del Suffragio, di S. Luigi e di S. Anna, posti in fondo alla chiesa. Uno degli altari venne sistemato nella cappella del Sacro Cuore, un altro ceduto alla cappella della Consolata del Corso. "Il lavoro viene compiuto in questi giorni (1934) sotto la direzione del prof. arch. Giovanni Clemente dell'Accademia di Torino, parrocchiano di Montà, lasciando intatte le icone. Per tal modo ne avvantaggerà assai la capacità della chiesa senza alcun scapito per l'estetica delle sue navate".

Il vecchio organo del 1882 fu sostituito nel 1928 con uno nuovo di maggior potenza fornito dalla ditta Rossi di Milano. Per la sua sistemazione si dovette procedere a lavori di adattamento e di ampliamento delle casse, su progetto dell'architetto Paolo Musso. Collaudato con grandi concerti dei maestri Pachner, Surbone e Varaldi, l'organo risultò perfettamente rispondente alle esigenze della chiesa e della ben preparata Schola Cantorum". La Schola Cantorum maschile, l'istituzione parrocchiale prediletta di don Giberti, come egli stesso scrisse, era "formata di ottimi elementi, capaci di ottime esecuzioni tanto di gregoriano che di musica polifonica. A quella corrispondono le scuole di canto femminile e dei bambini".

Nel 1929 viene sostituito il vecchio crocifisso sovrastante l'altare maggiore con uno, la cui provenienza merita essere conosciuta. Così racconta don Giberti nella sua relazione:

"Durante la grande guerra europea, il Doti. Enrico Pachner, figlio del nostro Egr. Prof. Pachner, trovandosi col suo Ospedale da Campo in un paesello austriaco, portò il suo Ospedale in una Chiesa tutta rotta per il bombardamento e che già era stata adibita a cucina. Vi trovò un Cristo che campeggiava sull'Altare, tutto affumicato. Mosso da pietà cristiana, tolse quella croce e vi distaccò il Cristo, avendolo trovato di stupenda fattura. Per metterlo al sicuro, lo spedì a Torino. Là venne visitato, dopo un accurata pulizia, alla scuola superiore di anatomia e venne trovato anatomicamente perfetto. Lo portò quindi a Montà, ordinò la croce e l'antico Cristo (pare che sia del '500) è quello che si trova sull'altare maggiore".

Ricordiamo ancora, nel 1930, il restauro della cappella del S.Cuore di Maria, affidando la decorazione al pittore Bracco di Canale, e successiva dedicazione al S. Cuore di Gesù; il rifacimento del pavimento delle navate laterali; la sostituzione della piccola campana del campaniletto annesso al coro.

In tale occasione fu scoperto l'antico pavimento e, sotto questo, l'esistenza di tre tombe: una doppia nel coro (sappiamo che era il luogo di sepoltura dei due parroci don Carretto, zio e nipote), e altre due sconosciute, una davanti all'altare dell'Ausiliatrice, l'altra di fianco all'altare dell'Immacolata.

Don Giberti, avvalendosi della collaborazione del vicecurato, è stato promotore di svariate iniziative per l'accoglienza delle nuove istituzioni che si profilavano all'orizzonte, al passo con i tempi, che entrarono a far parte della vita della chiesa. Si tratta delle associazioni femminili e maschili dell'Azione Cattolica, delle attività sportive, sociali e culturali, dedicate soprattutto ai giovani, della fondazione dell'oratorio con annesso salone per teatro e cinema, nei pressi della casa canonica.

Si può tracciare una storia dell'oratorio della parrocchia di S.Antonio in base alle notizie riportate sui bollettini parrocchiali dell'epoca. Accontentiamoci di due date: voluto da don Giberti, i lavori, "affidati al Capomastro Molino che ha fatto, fra tre concorrenti, la migliore offerta", iniziano nel mese di aprile 1935. La solenne inaugurazione dei nuovi locali, "che dovranno essere la palestra di studio, di formazione cristiana e civile della gioventù parrocchiale, nonché di onesta ricreazione a tutti i parrocchiani", avvenne il 27 settembre 1936. Il ricordo di queste istituzioni benefiche che hanno contribuito a formare la personalità di centinaia di giovani montatesi di allora è quanto mai vivo nel cuore degli anziani di oggi.

Anche don Sibona, successore di don Giberti al governo della parrocchia, ebbe a misurarsi con l'impellente necessità di ridare alla chiesa la dignità che essa meritava.

Così scriveva sul Bollettino parrocchiale del giugno 1961: "Pericolante il tetto, deteriorate da infiltrazioni d'acqua le decorazioni e le pitture, l'altare del Rosario spogliato dei quindici quadri riproducenti i Misteri, (...) ripetuti furti notturni: la nostra chiesa presentava ormai un aspetto desolante. Ci si provava un senso di disagio nel sostare durante le funzioni". Già si concretizzava il progetto della nuova parrocchiale ma si decise di intervenire, di "conservare in attesa di costruire", in considerazione che "la Chiesa Parrocchiale rimarrà sempre funzionale, anche quando avremo la nuova chiesa. È una chiesa a cui tutti siamo affezionati. Ci ricorda il nostro Battesimo, la nostra Cresima, la Prima Comunione, le ore tristi e liete della nostra vita. È la Chiesa dei nostri Vecchi, che richiama le più belle tradizioni del passato".

I lavori di restauro iniziati nel mese di ottobre 1961 furono terminati nel maggio del 1962. Il pittore Adolfo Cagnasso ridiede splendore alla ricca decorazione originale e rimise in luce la preziosa tela di S. Antonio nell'abside e quelle delle navate laterali. Sulla facciata della chiesa restaurata campeggia ora la scritta "Divo Antonio Ab. Dicatum". A lavori ultimati, don Sibona esprimeva, sul Bollettino parrocchiale del giugno 1962, la sua soddisfazione in questi termini: "il nostro Santo Patrono ha nuovamente una Chiesa decorosa ed accogliente. Abbiamo coscienza di avere compiuto un'opera doverosa: conservare i monumenti di fede e di pietà dei nostri antenati. In questa Chiesa, intere generazioni sono passate ad attingere luce, forza, grazia. Uno stuolo di sacerdoti e religiosi hanno maturato la loro vocazione. Sarà sempre una Chiesa molto cara al cuore dei Montatesi, perché è la Chiesa Madre di Montà".

Ancora pochi anni di attesa durante i quali si perfezionerà il progetto del nuovo complesso parrocchiale che sorgerà in un luogo più centrale ed accessibile. Il 23 novembre 1971 la chiesa parrocchiale di S. Antonio Abate cambia di sede per passare, dall'alto della "Villa" dove fu per oltre quattro secoli punto di riferimento e fulcro della vita religiosa di Montà, al piano del Borgonuovo.

Uno degli ultimi interventi di rilievo avvenne dieci anni fa. Nel 1990 lo storico organo "Bossi 1880 - Rossi 1927" fu completamente revisionato, restaurato e riportato alla sua struttura originaria. L'opera fu eseguita dalla specializzata Bottega organara Alessandro Girotto di Faraone. Il concerto d'organo d'inaugurazione dell'avvenuto restauro fu tenuto dal Maestro Arturo Sacchetti la sera dell' 8 dicembre 1990.

L'attuale edificio conserva all'interno l'originaria impostazione su tre navate divise da due teorie di pilastri quadrati. La navata centrale è articolata su cinque arcate con volta a crociera, quelle laterali su quattro. Alla testata della navata centrale il presbiterio, sopraelevato di un gradino rispetto all'aula in corrispondenza della balaustra sui tre lati, termina con l'abside poligonale che ospita il coro ligneo. Oltre all'altar maggiore al centro del presbiterio, la chiesa presenta, dopo la trasformazione del 1934, gli altari laterali dedicati a Maria Ausiliatrice (a sinistra), alla Madonna del Rosario e al Sacro Cuore di Gesù (a destra). Quest'ultimo altare è ospitato in un'ampia cappella dalla volta a cupola con lanterna.

L'edificio prende luce dalle dieci finestrelle quadrate poste nelle lunette sovrastanti le arcate delle cinque campate, tre luci delle navate laterali e la finestra semicircolare del coro.

L'apparato ornamentale e decorativo, di ispirazione barocca, è ricco di stucchi e di affreschi, alcune pale d'altare e statue. Di notevole effetto sono il gioco delle lesene della navata centrale, terminanti in elaborati capitelli dorati, le arcate e le lunette sormontate da teste d'angelo dorate, la leggera trabeazione che corre ininterrotta lungo il perimetro della chiesa. Degno di nota l'artistico pulpito in marmo policromo, l'acquasantiera datata al 1663,addossata al primo pilasto di destra, la decorazione della tribuna dell'organo con figure di angeli e di strumenti musicali.

Lungo le navate laterali si incontrano (leggendo da sinistra a destra) le seguenti opere d'arte: la pala della Madonna del Buon Consilio tra i Ss. Francesco di Sales, Vincenzo Ferrer e Luigi Gonzaga; la pala di Maria SS. con i Ss. Gioacchino, Anna, Giuseppe, Francesco d'Assisi e Rosa di Viterbo; la statua di Maria Ausiliatrice, nella nicchia sopra il suo altare; la statua di S. Antonio Abate con gli attributi del maialino e della croce con la campanella, al fondo della navata sinistra; il dipinto ovale di S. Antonio Abate in preghiera nel deserto, alla parete di fondo del coro; la statua di S. Giuseppe con il Bambino, al fondo della navata destra; la statua della Madonna del Rosario, nella nicchia sopra il suo altare ornato dei quindici quadretti dei Misteri; la pala del S. Cuore di Gesù e le statue di S. Orsola e di S. Luigi nella cappella del Sacro Cuore; la pala delle Anime del Purgatorio con Maria Vergine attorniata dai Ss. Agostino e Antonio di Padova; la pala della Sacra Famiglia.

La decorazione della volta è articolata nelle scene raffiguranti: la Condanna a morte di S. Lorenzo, sopra la tribuna dell'organo; la Predicazione di S. Antonio Abate, al centro; l'Assunzione di Maria Vergine e le figure dei quattro evangelisti, sopra il presbiterio. Il catino absidale è affrescato con le figure delle tre virtù divine (fede, speranza, carità) tra due scene di angeli musicanti. I grandi quadri della Via Crucis completano l'arredo artistico decorativo della vecchia chiesa parrocchiale di Montà.

Tra la decorazione in rilievo emerge l'abbondante impiego di teste d'angelo, all'interno e all'esterno. È un motivo ornamentale ricorrente in molte chiese, ma nel nostro caso potrebbe essere messo in relazione al titolo della precedente chiesa parrocchiale, dedicata appunto all'arcangelo Michele.

La facciata della chiesa è il risultato di varie fasi costruttive e di progressivi rimaneggiamenti. L'intero spazio è articolato su due ordini divisi da una semplice cornice marcapiano, interrotta in corrispondenza delle due coppie di lesene piatte, terminanti in capitelli inghirlandati, che dividono la superficie in tre settori. L'ordine inferiore presenta al centro il portale sobriamente decorato, arretrato rispetto alla facciata e protetto da un'inferriata; ai lati si aprono due nicchie semicircolari con arco a tutto sesto sovrastate dal timpano triangolare. Nell'ordine superiore, una luce centrale ovoidale sormontata da una leggera ghirlanda, e due falsi oculi laterali. In alto, una elegante trabeazione dentellata sormontata dal timpano triangolare ospitante un rilievo raffigurante uno stemma araldico e i due pinnacoli d'angolo. Un piccolo campanile in laterizio è incorporato sul fianco sinistro in corrispondenza del coro.