La figura di Girolamo Venero y
Leyva arcivescovo di Monreale dal 1620 al 1628 è una delle più benefiche
personalità che la città possa ricordare. Egli con la sua magnanima
generosità e nobiltà d’animo riesce ad apportare nella Diocesi un notevole
rinnovamento, rendendole un volto nuovo che lascerà un’indelebile traccia
nella storia episcopale monrealese.
Il Venero, nasce nel 1558 a Valladolid,
antica capitale della vecchia Castiglia. Il padre Andrea è discendente di
Hernan Saez de Venero, valoroso combattente nella guerra contro i mori nell’Andalusia
e nella conquista di Granata. Don Andrea, era stato nominato presidente della S.
Inquisizione di Valladolid. La madre Maria Hondegardo, figlia di Diego Lopez, era
imparentata con Antonio Leyva, principe di Ascoli, che vinse nel 1525 la famosa battaglia
di Pavia. Uno dei fratelli della madre, Paolo, tesoriere generale del regno di Spagna,
era stato viceré di Plata, nell’America del Sud e aveva comandato la spedizione
contro Pizzarro, Alfonso era un colto letterato e giurista. Anche i fratelli di Girolamo
vantavano notevoli incarichi nell’ambito religioso, culturale e politico del regno
spagnolo. Due sorelle, Girolama e Marianna avevano intrapreso la vita monastica,
Giovanna aveva sposato Juan Velasquez de Velasco capitano generale della provincia
di Guipuzcoa. Il fratello Carlos era canonico a Toledo, Pietro, frate domenicano,
era priore di S. Paolo nella città di Cuença e consultore dell’Inquisizione.
Girolamo intraprende i
suoi studi di retorica e dialettica prima all’Università di Alcalà
poi a quella di Salamanca. Avviatosi al la vita ecclesiastica, diviene monsignore
dell’abbazia di Sey, nella diocesi di Cuença e tre anni dopo canonico nella
stessa diocesi. Durante i trent’anni di permanenza viene nominato Consultore primario
dell’Inquisizione, riceve l’abito di S. Giacomo della Spada e le nomine di cappellano
regio e vicario della provincia di Leon. Nel 1563 si laurea in diritto canonico e
consegue in seguito il dottorato. Nel 1606 è ordinato sacerdote.
Consacrato vescovo a Roma
ottiene la guida della diocesi di Monreale nel febbraio del 1619, ma ne prende possesso
solo il 13 marzo del 1620.
L’attività del Venero
ben si inserisce nella vita religiosa e civile della città. Sulle orme dei
suoi predecessori attua a Monreale un progetto riformatore alla luce dei decreti
emanati dal Concilio di Trento, messi già in atto dai papi postridentini Pio
IV, Pio V, Gregorio XIII e Sisto V.
Il cardinale Alessandro
Farnese, arcivescovo di Monreale tra il 1537 e il 1573, si adopera per primo in questo
disegno di rinnovamento, celebrando una serie di Sinodi riformatori. Sulla scia del
Farnese i cardinali Ludovico Torres I (1573-1584 ) e Ludovico Torres II (1588-1609)
celebrano importanti sinodi, si occupano di visite pastorali per tutta la diocesi
e dell’istituzione nel 1590 del seminario.
L’originale opera del Venero
si esplica in molteplici direzioni e con numerosi provvedimenti. Tra questi il ricorso
all’emanazione di bandi cui si ricorreva ripetutamente per la mancanza di una esauriente
legislazione in questioni relative all’ordine pubblico, ma anche morali e religiose
cui poteva fare ricorso lo stesso arcivescovo. Un bando del Venero emanato tramite
il governatore di Monreale, don Francesco Venero, il 28 marzo 1620 cerca di evitare
abusi e disordini; un altro provvedimento adottato dal Venero vieta l’ingresso nelle
chiese agli individui pericolosi che cercano diritto di asilo.
La celebrazione di un Sinodo
il 12 settembre 1622 e la sua pubblicazione segnano un altro momento importante del
suo operato. Accanto alle direttive riformatrici postridentine il Sinodo mira ad
una maggiore attenzione nella professione della fede. La sua notevole esperienza
culturale e giuridica contribuisce ad una più attenta e distinta esposizione
della materia nei confronti dei suoi predecessori e dei sinodi coevi delle altre
diocesi.
Al sinodo il Venero fa
seguire un Editto del febbraio 1624 nel quale stabilisce pene più aspre e
severe di quanto finora non fosse stato fatto contro il concubinato, l’usura, la
bestemmia, il gioco, l’ubriachezza e sono date norme precise e puntuali circa la
disciplina religiosa.
Le visite pastorali completano
l’attività di promozione e rinnovamento svolta dall’arcivescovo. Egli accoglie
le precise direttive del Concilio di Trento e per tutto il periodo della sua missione
episcopale non si allontana dalla Diocesi monrealese. Le sue visite perdurano per
tutto il periodo della sua attività e anche quando ne affida il compito ai
suoi più fedeli collaboratori, si grava delle spese di trasferimento. La generosità
è una delle virtù maggiormente apprezzabili nel Venero e quando giunge
nell’Arcivescovado di Monreale trovando due giovani schiavi turchi in sede li rende
liberi e li mantiene al suo servizio.
La funzionalità
e l’efficienza delle strutture sono promosse dal Venero con notevole riguardo. Restauri,
ampliamenti, miglioramenti estetici vengono apportati al Seminario, al Palazzo Comunale,
al Palazzo arcivescovile e al Monastero delle Benedettine intitolato a S. Castrense.
La costruzione della cinta
muraria per l’esigenza di proteggere la città dal contagio della peste del
1625, l’edificazione del convento degli agostiniani nella strada Monreale-Rocca per
migliorare il collegamento della città con Palermo, lo sviluppo urbanistico
del “cortile Venero”, la costruzione di una porta nei pressi di S. Castrense a completamento
della cinta muraria, il miglioramento della piazza municipale e delle strade cittadine
con fontane sono tutte soluzioni che il Venero attua nel suo accorto progetto urbanistico.
Istituisce una cattedra di filosofia che affida ai Gesuiti, progetta l’istituzione
di una scuola pubblica di diritto, ma deve accontentarsi di una cattedra non legalizzata,
finanziata dallo stesso e soppressa dopo la sua morte. Costituisce una cappella di
“musici” nella cattedrale di Monreale, inserendo il canto figurato che ottiene notevole
favore. Incentiva l’insegnamento del catechismo alle donne.
Il suo contributo risulta
essenziale durante lo scoppio della peste del 1625 ed è proprio il provvedimento
attuato dal Venero a far sì che il numero dei morti per il contagio non superasse
il 3% della popolazione monrealese, mentre la peste scoppiata nel 1575 aveva causato
la morte di più del 25% della popolazione. L’azione dell’arcivescovo si concretizza
sin dal 24 giugno 1624, con una disposizione che vieta ai panificatori l’uso di farina
di frumento marcio. Numerosi bandi vengono emanati allo scopo di impedire il dilagare
del contagio nella città: il divieto di girare di casa in casa; di ospitare
stranieri; l’obbligo di rivelare il nome delle persone in transito; la nomina della
Deputazione della Sanità con funzione di vigilanza. Un bando del 7 luglio
impone ai militari di non avvicinarsi a Monreale oltre la contrada della Monica.
Questi provvedimenti culminano nella costruzione della cinta muraria della città
allo scopo di bloccare l’ingresso del contagio. Nel febbraio 1625 la peste dilaga
anche a Monreale costringendo tutti ad un inasprimento delle misure di controllo.
La popolazione ed il comune si gravano di ulteriori oneri per far fronte alle spese
straordinarie, lo stesso Venero provvede con propri finanziamenti a realizzare un
ospedale più funzionale di quello già esistente fornendo le risorse
necessarie per gli ammalati e per tutta la popolazione.
Nell’estate del 1625 la
peste cessa. Proprio durante il dilagare del contagio, il 27 aprile del 1965, stipula
un contratto con il costruttore di Monreale di origine genovese Antonio Barucco per
la costruzione del cappellone del Crocifisso nella chiesa del Salvatore che in seguito
sarà chiamata Collegiata. Il 30 aprile dello stesso anno la Deputazione della
Sanità, presieduta dal Venero, emana l’atto di nascita della festa del 3 di
maggio.
Già il Cardinale
Farnese aveva introdotto il culto del Crocifisso cercando al contempo di eliminare
l’antica disputa tra i monaci benedettini, detentori della guida spirituale della
Cattedrale affidata loro dal re Guglielmo II, fondatore della stessa, e il clero
secolare. Proprio a quest’ultimo si era rivolto per la guida della Chiesa del SS.
Salvatore costituendo una collegiata di preti e nominando tra questi quaranta Canonici,
la sua durata però è breve per l’insufficienza dei fondi finanziari.
Anche Ludovico Torres II
aveva cercato invano di stabilizzare il culto al Crocifisso, portando nella Cattedrale
una sua immagine, riducendo la funzione dei benedettini all’interno della Chiesa
e cercando di accrescere quella del Clero Secolare. Prendendo spunto da questi tentativi
il Venero istituisce i Custodi dell’immagine di Cristo nella Chiesa del Salvatore
costituita da 24 sacerdoti secolari e sottraendo la gestione alle due confraternite
che si occupavano della chiesa.
Il Venero detta una Costituzione
in cui assegna minuziosamente i compiti, distribuisce le cariche e stabilisce le
regole del culto. Il 9 maggio 1626 assumendo i poteri di Delegato Apostolico sottoscrive
presso il notaio Leonardo Corrado la Bolla di rifondazione della Collegiata. L’istituto
della custodia è elevato a Collegiata sulla scia del progetto farnesiano ed
i custodi prendono il nome di canonici. La nuova costituzione conferma la precedente
e la rinnova in alcuni punti, rifacendosi alle leggi del diritto canonico già
dal Venero esposte nel suo trattato “Examen Episcoporum” con particolare riguardo
per la custodia dell’archivio degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Per soddisfare l’intensificazione
del culto con decreto del 17 settembre 1626 mette alle dipendenze della Collegiata
la chiesa della Madonna dell’Orto e il convento degli Agostiniani della Rocca. Un
atto del 12 giugno 1628 istituisce 12 beneficiari o mansionari in funzione ausiliaria.
Attenta vigilanza è data dal Venero anche alla costruzione della chiesa che
verosimilmente sembra corrispondere all’attuale ex sagrestia o ex sala capitolare,
non comprendendo l’odierno presbiterio e le tre navate.
L’opera viene realizzata
unicamente a spese del suo patrimonio dotando la Collegiata di ingenti risorse economiche
al fine di non incorrere nella sorte del progetto farnesiano. L’approvazione pontificia
del suo capolavoro verrà data solo nel 1641, alcuni anni dopo la sua morte.