2° incontro
“Dio li creò a sua immagine” (Gn 1,27).
Il
primo libro della Bibbia, la Genesi, comprende due racconti sulla creazione del
mondo.
La
prima è un racconto in cui si alternano la creazione e la benedizione di
Dio: “Dio disse: che sia così e così
avvenne… Dio vide che era cosa buona…”.
Quando però si tratta di creare l’uomo,
Dio si comporta in un altro modo.
Innanzitutto che c’è una specie di
rottura tra la creazione materiale e quella dell’uomo. Al momento di creare
l’uomo Dio si ferma. Non crea l’uomo sotto l’impulso della creazione del mondo,
ma si ferma, si concentra, poi “Dio creò
l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò…”.
L’ “immagine” è ciò a cui siamo
chiamati. La “somiglianza” è la dinamica interna che ci porta gradualmente a
diventare immagine di Dio. Ecco ciò che tutti abbiamo dentro. Ogni uomo, per
quanto sia peccatore, ha in sé la vocazione ad assomigliare sempre più a Dio
fino a diventarne l’immagine. La stessa cosa si dice di un bambino man mano che
cresce: “Assomiglia sempre più a sua padre”. E poi si dirà: “E’ il ritratto di
suo padre”.
Tanti uomini hanno cercato e ancora
oggi cercano il volto di Dio per ritrovare il proprio! Tanti lo desiderano
senza conoscere il cammino da intraprendere. Tutto è già stato scritto fin
dall’inizio della storia dell’umanità. L’essere è fatto per diventare sempre
uomo, sempre più immagine di Dio.
E noi in quale Dio abbiamo riposto la
nostra fede?
Di quale Dio siamo testimoni?
Di un Dio considerato come il grande
orologiaio dell’universo o come il Padre che ama e conosce personalmente ognuno
di noi?
Cerchiamo davvero il volto di Dio sul
viso di Cristo, o lo consideriamo solo un sognatore o un rivoluzionario
mancato? Prendiamo sul serio la chiamata a diventare figli di Dio?
“Siate fecondi” (Gn 1,28)
“Dio
li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e
soggiogatela”.
La capacità di procreare donata
all’uomo deriva dal fatto che l’uomo e la donna sono creati a immagine di Dio,
di un Dio fecondo, creatore, esplosione di vita.
Nel mondo materiale Dio aveva lanciato
le cose in orbita perché si riproducessero secondo le proprie leggi naturali.
Ma quando crea l’uomo e la donna dice e ordina loro: “Siate fecondi”.
La capacità di procreare della coppia
non è tanto il prolungamento della specie quanto il fatto che l’uomo creato a
immagine e somiglianza di Dio, collabora all’opera creatrice di Dio.
La sessualità umana non è semplicemente
un soddisfare un bisogno o un piacere, come invece è nel mondo animale. La
sessualità dell’uomo e della donna è innanzitutto una chiamata spirituale a
essere come Dio, perché Dio è colui che dona la vita, è la vita stessa.
Prendere coscienza di ciò porterebbe una nuova luce sui problemi così attuali
della bioetica.
“Maschio e femmina li creò” (Gn 1,27)
La
seconda narrazione della Genesi è molto più antica. Dio utilizza una
materia già esistente: “la polvere del suolo” che è simbolo di una creazione
materiale anteriore.
L’importante è che c’è un “uomo” a
partire dal momento in c’è “l’alito” di Dio, che è lo Spirito stesso di Dio, il
soffio vitale.
L’uomo
dunque è il signore della creazione, fatto di terra e spirito. Dio lo pone nel
giardino della felicità affinché lo custodisca e lo coltivi. Questo giardino
posto nelle mani dell’uomo è simbolo dello sbocciare della vita.
Il Dio creatore è un Dio “amante della
vita”, ecco perché dà all’uomo la cura di tutte le forme di vita. Non solo deve
curarle, ma anche farle crescere come un buon giardiniere. L’uomo è così legato
intimamente alla vita del cosmo. L’uomo è il buon pastore del mondo, capace di
dare la vita per proteggere il suo gregge.
Dare la vita: questo è il fondamento di
ogni “autorità”. La parola “autorità” deriva dal latino augere : aumentare, accrescere. Ecco ciò che Cristo propone
all’uomo come somigliante a Dio.
Gn 2,16-17; Gal 3,23-24 .
Per favorire la crescita è necessario
barriere di protezione. Questa è la funzione essenziale della legge.
Il secondo carisma maschile è la
custodia della legge, di ciò che è permesso e di ciò che è proibito. Gesù
stesso dirà che è venuto per “dare
compimento” e pienezza di significato alla legge.
La legge permette all’uomo di
strutturarsi e di conoscersi. Gli psicologi concordano nel fatto che un bambino
cresciuto senza obblighi e senza leggi passa il tempo a cercare di scoprire chi
è.
Quando invece diciamo a un bambino: “No, non hai il diritto di farlo perché sei troppo
piccolo, lo farai quando sarai grande”, gli diciamo due cose: lo aiutiamo a riconoscersi per ciò che è; e
risvegliamo in lui il desiderio di crescere per diventare un adulto e poter
“fare ciò che fa papà”. Offriamo la possibilità e la voglia di lottare, di
strutturarsi e di crescere.
Diversamente un bambino a cui tutto si
concede e al quale tutto è permesso perde il gusto della vita, non ha nessuna
ragione per cui lottare e crescere (ecco quando diciamo che quel bambino è
capriccioso). Lo si abbandona agli istinti del momento che confonde con
l’esercizio della sua libertà.
Questa frustrazione può avere
conseguenze gravi sul suo equilibrio futuro. Rischia di rifugiarsi nel sogno,
nella droga o nella violenza.
Di
fronte a quest’uomo Dio trattiene la sua benedizione. “Benedire” significa
“dire bene di qualcosa”, confermare qualcosa. Dio di fronte ad Adamo dice: “Non è bene che l’uomo sia solo”. In
quest’uomo c’è qualcosa che è incapace di crescere, di vivere. Dio decide di
fargli un aiuto: “Gli voglio fare un
aiuto che gli sia simile”.
Il terzo dono che Dio fa all’uomo è
quello di potere “chiamare per nome” tutti gli animali che il Creatore fa
sfilare davanti a lui.
Dare il nome significa distinguere
l’identità propria di ciascuno, dargli il permesso di vivere in virtù di ciò
che è. Questa grazia è una grazia di paternità spirituale più che carnale.
Nella tradizione ebraica, è la madre che trasmette l’essere ebreo. La paternità
è legata al riconoscimento del figlio, il dono del nome. Proprio come
nell’annunzio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista o l’annunzio a
Giuseppe sulla nascita di Gesù.
I padri hanno il potere di fare
esistere i propri figli quando li chiamano per nome, cioè quando li
riconoscono. Ma non è sufficiente iscriverli solo all’ufficio anagrafe per
“riconoscerli”. Occorre che i padri tengano in grande considerazione i figli.
Hanno bisogno di essere provocati dai padri. Troppo spesso il ruolo del padre è
stato ridotto a punire, correggere, mentre è innanzitutto quello di
riconoscere, incoraggiare, rassicurare.
Certe giovani donne hanno problemi di
frigidità durante il rapporto di coppia perché il padre non le aveva mai
“riconosciute” nella loro femminilità, dicendo anche semplicemente loro: “hai
un bel vestito oggi; stai bene stamattina pettinata così…”. Il problema non è
il pericolo che i figli con i complimenti possano diventare vanitosi.
Educare un figlio/a non significa
essenzialmente correggere o prevenire qualche difetto. Ci sono dei padri
ammirevoli che si ammazzano di lavoro per i loro figli; ma questo non serve a
niente se poi non si guardano i figli come “figli unici”. E’ lo sguardo
continuo del padre che fa esistere i figli. Non basta solo metterli al mondo. I
figlio devono sentire che sono la gioia dei genitori e non dei pesi.
Non occorre grandi manifestazioni
esteriori. Basta uno sguardo e una presenza di qualità.
I bambini hanno bisogno di un padre e
di una madre. Questi ruoli non sono intercambiabili… !!! Purtroppo nel nostro
contesto sociale molti genitori sono costretti al tempo stesso ad essere padre
e madre. Per amore e per grazia di Dio riescono a garantire l’essenziale. Ma
queste sofferenze non fanno parte del piano creativo di Dio!!!