Croce e crocifissione
Siamo molto abituati a vedere croci appese alle pareti, ma se riflettessimo di quale supplizio si tratta realmente, proveremmo sentimenti di avversione nei confronti di chi lo praticava e desidereremmo non assistere mai ad una pena di morte simile. Facciamo un passo indietro per trovare le sue origini.
Furono i Romani ad introdurre in Israele l’uso di crocifiggere. Gli ebrei punivano le persone colpevoli di bestemmia o immoralità sessuale mediante lapidazione, i romani invece crocifiggevano le proprie vittime ai piedi di una collina così che il condannato sarebbe stato facilmente visto dai passanti.
Ogni crocifissione avveniva in un luogo pubblico fuori la città; le croci avevano forma di T maiuscola ed erano abbastanza basse. Il condannato veniva inchiodato ai polsi e alle caviglie.
Prima di fare uscire i prigionieri di prigione venivano flagellati con fruste speciali. Su di essi veniva legata la trave orizzontale in segno di umiliazione e un soldato portava un cartello con su scritto il crimine commesso. Giunti al luogo prescelto il condannato veniva inchiodato ai polsi, quindi l’asse orizzontale si posizionava su quello verticale già conficcato nel terreno. Per ultimo venivano inchiodate le caviglie. I condannati morivano per perdita di sangue o soffocamento e, se la morte non sopraggiungeva, i soldati abbreviavano le sofferenze rompendo loro le gambe. I condannati vivevano la loro agonia, il loro dolore e la loro vergogna dinanzi a tutti, cercando di celare le sofferenze dietro smorfie ridicole. Infine i soldati si impossessavano degli oggetti personali delle vittime.
La condanna alla croce di Gesù però non ha niente a che vedere con le consuete crocifissioni di quel tempo.
Quando Gesù fece il suo ingresso a Gerusalemme il popolo Israelita lo osannò credendo si trattasse di un liberatore politico. Osanna, parola formata da -osa - che significa salva e -na- che dà urgenza, stava a significare "Dammi la libertà e subito". Poco per volta Gesù fece comprendere che il tipo di libertà che lui dava non era di tipo politico ma solo, salvezza eterna.
Ogni famiglia ebrea sceglieva per la Pasqua un agnello da sacrificare che si immolava durante il sacrificio quotidiano alle tre del pomeriggio, compreso il giorno di Pasqua. Gesù a quell’ora, quando il sa-cerdote suonò il "shofar" (un corno di montone) sul pinnacolo del tempio, alzò gli occhi al cielo dicendo: "Tutto è compiuto". In quel momento morirono due agnelli, ma solo Gesù divenne l’Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo.
La croce diventa allora il simbolo della riconciliazione tra Dio e l’umanità poiché su di essa Gesù distrugge ciò che separava gli uomini da Dio (Ef 3,18).
Il Venerdì Santo la Chiesa non celebra la Cena del Signore poiché la liturgia è concentrata sul sacrificio cruento di Cristo. Viene invece presentata e Adorata la Croce. L’adorazione della Croce ebbe origine a Gerusalemme. L’ostensione della croce e il bacio ai piedi del Crocifisso furono introdotti nell’850 in territorio francese e ancora oggi vengono praticati.
Ma quale significato acquista la croce per ognuno di noi? Perché uno strumento così terribile è dato all’adorazione di noi cristiani?
"Adorazione della Croce" per noi credenti deve significare: "Adorazione della persona di Gesù crocifisso e del mistero significato da questa morte per noi".
San Paolo dice: "La Parola della croce per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio". E nella lettera ai Galati: "Non ci sia altro vanto per me che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo".
E’ legittimo chiedersi come è possibile parlare di "potenza", di "gloria", di "vanto" della croce, addirittura di "bellezza" della croce. Ciò è possibile perché in Gesù crocifisso noi contempliamo una molteplice certezza: la certezza che Dio ci ama incondizionatamente, la certezza che tutte le nostre colpe sono perdonate per il sangue di Gesù, la certezza che Gesù ci è vicino con compassione in tutte le nostre prove della vita e quindi anche la certezza che pure noi avremo il coraggio di soffrire qualcosa per Lui. Gesù chiede anche a noi di prendere la croce e seguirlo per la Via Crucis della nostra esistenza. Ci chiede dunque di accettarla, di considerarla uno strumento di redenzione, un albero che dona vita e che unisce terra a cielo. Con un inno della Chiesa Ambrosiana possiamo dire: "L’albero della disobbedienza diede al mondo la morte, l’albero della Croce la vita e l’immortalità".