Il libro del Siracide o Ecclesiastico

 

E’ questo un libro un po’ particolare perché fa parte della Bibbia greca, ma non figura nel canone ebraico. Si tratta di un testo deuterocanonico che, assieme ai libri di Rut, Tobia, Maccabei I e II, Giuditta, Sapienza e le parti greche del libro di Ester e di Daniele, è stato accolto dalla Chiesa Cattolica, ma non dalle chiese ebraiche e da quelle protestanti in quanto sono stati scritti in greco e non in ebraico. Tuttavia il Siracide è frequentemente citato negli scritti rabbinici.

In greco il libro era titolato nel seguente modo: “Sapienza di Gesù figlio di Sira” (cf. nota del cap. 51, 30). Al cap. 50, 27 l’autore del libro viene chiamato Ben Sirach. Proprio da quest’ultimo nome deriva “Siracide”. San Cipriano gli dà il nome di Ecclesiasticus (dal latino).

Il Siracide ci informa che suo nonno avrebbe scritto in Palestina questo libro in lingua ebraica, nella grande tradizione letteraria del proverbio, dunque in versi, con sentenze e giochi di parole

 Il nipote tradusse il testo ebraico in lingua greca, una lingua colta e di struttura ben diversa. Quando lo tradusse si trovava  in Egitto, (all’epoca del re Tolomeo VII, 170-117 a.C.), in una comunità della diaspora giudaica che non capiva più l’ebraico. La traduzione di questo libro e di altri libri, fu resa ancor più necessaria affinché tutti gli amanti del sapere, attraverso la lettura dei testi tradotti in greco, potessero progredire sempre più in una condotta secondo la legge.

In quel tempo la Palestina passò sotto il dominio dei Seleucidi i quali imposero le loro tradizioni, appoggiati da Antioco IV Epifane che obbligò con la forza l’adozione dei costumi stranieri.

Ben Sirach si oppose a tutte queste minacciose novità, che volevano affermare una sapienza greca e attinse alla sapienza dei libri santi (libri della Bibbia ebraica). Egli era uno scriba che unì l’amore della sapienza a quello della legge e, se da una parte mostrò fervore per il tempio e per le sue ce-rimonie, se fu molto rispettoso del sacerdozio, dall’altra parte si alimentò ai libri profetici e sapienziali. Anzi, lui stesso volle dare l’istruzione della sapienza a coloro che la cercavano. La sapienza dunque per il Siracide non derivava solo dall’esperienza della vita ma soprattutto dallo studio e dalla lettura assidua e meditata delle Scritture Sante.

La sapienza da lui annunciata proveniva dal Signore,  suo principio era il timor di Dio; essa formava i giovani e procurava la felicità. Riguardo al destino dell’uomo Ben Sirach ebbe le stesse idee di Giobbe e di Qoèlet: credeva nella retribuzione, sentiva la tragica importanza del momento della morte, ma non sapeva dare risposte certe sul come Dio avrebbe ricompensato ciascuno secondo le proprie azioni.

A differenza dei suoi predecessori, Ben Sirach identificò la sapienza con la legge proclamata da Mosé integrandola quindi nella corrente legalista; inoltre considerò l’osservanza della legge una pratica perfetta del culto.

Egli rifletté anche sulla storia sacra, sulle grandi figure veterotestamentarie da Enoch fino a Neemia; condannò i re, fatta eccezione Davide, Ezechia e Giosia, ma andò fiero del passato del suo popolo ricordando le opere meravigliose che Dio aveva compiuto sui santi Noé, Abramo,  Giacobbe, Mosé, Aronne, Pincas, Davide. Pensando al presente evocava le glorie del passato e augurava ai Giudici e ai profeti minori che le loro ossa potessero rifiorire dalle tombe (cf. 46, 12)  così da evere successori.

La saggezza del Siracide lo portò a rassegnarsi alla situazione umiliante ma tranquilla a cui era stato ridotto il suo popolo: Esli sperava sì in una liberazione futura, ma questa poteva essere concessa, non da un Messia salvatore, bensì dalla fedeltà alla legge.

Ben Sira è l’ultimo testimone della sapienza ebraica in Palestina. E’ il rappresentante per eccellenza degli hasidim, i «pii» del giudaismo che presto difenderanno la loro fede contro la persecuzione di Antioco IV Epifane e che conserveranno in Israele  isole fedeli in cui potrà attecchire la predicazione del Cristo.