Il libro del Qoèlet

 

“Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità! Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa”.

 

Con questi versi inizia un piccolo libro dal titolo “Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme”, un libricino che a torto è divenuto sinonimo di scetticismo e di pessimismo nei confronti della vita e di tutte le esperienze umane, anche le più positive.

 

Autore del libro

La parola “Qoèlet” non è un nome ben preciso, ma probabilmente indica, nella lingua ebraica, colui che parla nell’assemblea (Qahal). La traduzione greca lo fa diventare “ekklêsía”, per tale motivo viene anche conosciuto come Ecclesiaste, cioé “Predicatore”.

Il libro apparentemente sembra essere stato scritto dal figlio di Davide, cioé da Salomone. Si tratta in realtà di una finzione letteraria dell’autore che esprime le proprie riflessioni, servendosi dell’autorità più illustre dei sapienti di Israele. Il testo, scritto in un ebraico tardivo, pieno di arameismi e parole persiane, risale alla seconda metà del sec. III a.C., quando la Palestina, sotto il dominio dei Tolomei, subisce l’influsso del pensiero e della cultura greca.

Il Qoèlet, un giudeo della Palestina, forse della stessa Gerusalemme, intende leggere l’esperienza umana mettendo in luce i segni dell’assurdità. Anche i sapienti del tempo devono riflettere sulle sue affermazioni che obbligano a  non fermarsi mai sulle posizioni raggiunte.

 

Contenuto del libro

Il libro, che non si propone come insegnamento o come pensiero filosofico, trasmette una meditazione personale sulla condizione umana osservando la realtà dei fatti e la loro fondamentale inconsistenza. Ogni cosa ha il suo momento e l’esistenza si snoda nello spazio del nascere, per vivere e poi del vivere per morire.

L’autore fa oscillare il pendolo della vita con una serie di 10 movimenti: « Tempo di nascere, tempo di morire, tempo di strappare, tempo di piantare, tempo di piangere, tempo di ridere, tempo di dolersi, tempo di ballare, tempo di cercare, tempo di perdere, tempo di serbare, tempo di buttar via, tempo di stracciare, tempo di cucire, tempo di tacere, tempo di parlare, tempo di amare, tempo di odiare, tempo di guerra, tempo di pace» (3,2-8).

Il progetto del Qoèlet è quello di fare un bilancio della vita umana, del suo senso e del suo valore. Come per Giobbe, anche lui riflette sul bene e sul male e si chiede se sono legati ad una retribuzione su questa terra.

La risposta del Qoèlet è negativa tanto quanto quella di Giobbe, perché l’esperienza contraddice tutte le soluzioni che vengono via via proposte. A differenza di Giobbe, Qoèlet però non sta male, per cui non cerca il perché della sofferenza; constata invece l’inutilità della felicità e si consola  centellinando le gioie modeste che può offrire l’esistenza. Il suo vuole essere dunque un modo di consolarsi per l’insoddisfazione nei confronti della vita.

Da ciò si comprende bene che, chi scrive, è sicuramente un adulto deluso, che non vede nessuna prospettiva di vita oltre la morte. Lo si comprende bene dalle sue parole: «Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza negli inferi, dove stai per andare» (9,10).

Qoèlet però è un credente che, se da una parte è sconcertato nel modo con cui Dio regge le sorti umane, dall’altra afferma che Dio non deve rendere conto a nessuno, che bisogna accettare dalla sua mano le gioie come le prove, osservando i comandamenti e temendo Dio (cf. 5,6; 8,12).

In definitiva Qoelet guarda tutte le possibili esperienze (negative e positive), non solo con gli occhi dell’uomo, ma soprattutto con quelli della fede, perché sa che siamo nelle mani di Dio il quale ha un progetto sul mondo e guida la storia con sapienza.

 

 

Verso la Rivelazione di Cristo

Per comprendere fino in fondo quest’ultimo pensiero sarà necessaria la rivelazione di Gesù Cristo che darà significato alla vita, quella che continua dopo la morte.

Anche noi cristiani diciamo che la vita è limitata ed effimera, ma sappiamo che dopo questa vita ne esiste un’altra con Dio, infinitamente migliore. Nella vita umana tutto sembra inconsistente e passeggero, come se non potessimo affondare le nostre radici in questo mondo. Questo sembra essere vero. Ma dinanzi alla gloria futura che aspetta di essere rivelata in noi, come dice san Paolo, tutto acquista un’altra luce.

Tutto è vecchio, ripetuto e cadente se Gesù non inaugura cieli nuovi e terra nuova. Le opere delle nostre mani sono “vanità” solo se operano il male. Non basta lamentarsi come fa il Qoèlet, bisogna fare qualcosa, rimediare, sanare le coscienze. Bisogna guarire il cuore dell’uomo (cf. Mc 7).