Il profeta Osea

 

Il nome Osea in ebraico si traduce con Hoshea. Egli fa parte del gruppo dei profeti minori dell’Antico Testamento.

Dalla lettura del libro di Osea  apprendiamo che era figlio di Beeri, apparteneva al regno di Israele (Efraim o Giacobbe, com’è da lui chiamato) e lì esercitò il suo ministero profetico contemporaneamente ai profeti Amos, Michea e Isaia (questi ultimi due nel regno di Giuda). Da alcuni indizi possiamo supporre che appartenesse ad una famiglia sacerdotale.

Egli visse durante il regno di Geroboamo II (ca 786-746 a.C.). Probabilmente non vide la caduta del regno del nord (721 a.C.) e tuttavia, la dovette prevedere assistendo alle lotte e alle congiure che caratterizzarono la successione a Geroboamo II.

Il periodo in cui visse Osea è l’epoca delle grandi conquiste assire. Il profeta dunque si accorgeva dell’avanzamento della potenza assira e richiamava a conversione il regno del nord, che aveva gravi problemi politici e sociali. Questo grave problema egli lo visse in modo drammatico al punto che diede ai suoi tre figli (avuti da Gomer) dei nomi molto simbolici:

Izreèl (località in cui si erano svolte alcune lotte sanguinose del popolo ebraico);

Non-Amata (indicante la dolorosa sospensione di ogni sentimento «materno» e «paterno» di Dio per il suo popolo);

Non-Popolo-Mio (che indicava l’abbandono del popolo e la condanna alla distruzione).

Particolari sono i termini con cui Osea esprime il rapporto tra il popolo Ebraico e Dio. Egli parte dall’esperienza personale dell’infedeltà della sua donna, approdando nell’infinita fedeltà-tenerezza di Dio. I rapporti tra Dio e il suo popolo sono descritti come rapporti d’amore tra madre e figlia, fidanzato e fidanzata, giovane sposo e giovane sposa che si appartengono totalmente.

Osea scorge in Dio l’infinita tenerezza di una madre che ama, ricoprendo di affettuosità e premure la figlia, Israele. Anzi, è proprio Dio che sceglie questo tipo di esperienza e, come una Madre, insegna i primi passi e le prime parole al suo popolo, lo prende tra le braccia, lo bacia affettuosamente, lo stringe al petto, lo nutre.

Ma, dinanzi  a questa infedeltà, Osea fa sapere che Dio ha dichiarato Israele (sua figlia) non più amata e non più capace di suscitare il Suo istinto materno.

Constatata la grande decadenza in cui vivevano i suoi contemporanei, Osea offre loro una soluzione: Dio è lo sposo, Israele è la sposa che Dio ha incontrato nel deserto e con la quale ha iniziato una vita di comunione e di intimità; ma Israele ha preferito a Dio gli dèi cananei, dandosi così all’adulterio, alla fornicazione... Al marito subentra l’amante, le vesti della sposa, simbolo della sua dignità, sono sotituiti con la nudità, la degradazione.. Osea scorge però uno spiraglio di salvezza: Israele può ritornare a Dio, a patto e condizione che ritorni a considerare Dio suo primo amore, suo sposo.

Il libro di Osea si presenta come una collezione di oracoli staccati e si può dividere in due parti:

La prima parte comprende i capitoli 1, 2 - 3, 5.

La seconda parte comprende i capitoli 4,1 - 14,10.