Giorgio La Pira,
il Sindaco Santo

Il 26 aprile 2004, Giovanni Paolo II ha indicato Giorgio La Pira come modello di virtù: “Quella di La Pira fu una
straordinaria esperienza di uomo politico e di credente, capace di unire la
contemplazione e la preghiera all’attività sociale e amministrativa, con una
predilezione per i poveri e i sofferenti. Possa la sua testimonianza ispirare
le scelte e le azioni quotidiane di tutti i sindaci del mondo!”.
Giorgio La Pira nacque a Pozzallo, nel sud della Sicilia, il 9
gennaio 1904. Era un bambino allegro e servizievole, che amava particolarmente
leggere. A dieci anni, nel 1914, i genitori lo mandarono a Messina, dallo zio
Luigi Occhipinti, per proseguire gli studi iscrivendosi all’istituto tecnico.
Lo zio, anticlericale convinto, non voleva neanche vederlo parlare con i preti.
In quel periodo subì un’infatuazione per Mussolini, per il futurismo, le poesie
di D’Annunzio... Poi cominciò a leggere Dante, Platone, la Bibbia, i romanzi
russi, i poeti francesi.
A 18 anni si rese conto di non saper pregare. Glielo insegnò un
prete, don Mariano Rampolla Del Tindaro, fratello del suo insegnante di
italiano. Il giovane Giorgio fu un ottimo allievo, e imparò subito i segreti
della contemplazione.
Aveva appena vent’anni quando già passava ore ed ore in
ginocchio, in adorazione. Nel 1924, durante la Messa di Pasqua successe
qualcosa che lo portò a consacrare la vita a Dio. Era il giorno che i biografi
indicano come data della sua conversione.
La Pira dunque decise di consacrarsi a Dio svolgendo il suo
apostolato nel mondo come Missionario del Signore nel mondo. Fu questa la
vocazione a cui egli sentì di dover rispondere. Con questo spirito fu
professore, deputato, sindaco. Si trattava di fare, a suo dire, di ogni
professione una cattedra di apostolato cristiano. Nel frattempo, l’aspettava
un’altra cattedra, quella dell’Università di Firenze. Nel capoluogo toscano
arrivò nel 1926, seguendo il professore con cui stava preparando la tesi. Venne
per laurearsi, e ci rimase per tutta la vita.
Intanto, La Pira studiò, insegnò, partecipò alle
attività caritative della San Vincenzo de’ Paoli. Lo chiamavano “il
professorino” e quando parlava alle riunioni della Gioventù Cattolica c’era
sempre il pieno. Decise di effettuare la vestizione come terziario domenicano,
e scelse come abitazione una cella nel convento di San Marco dove restò fino a
che la tendenza a ammalarsi di bronchite non lo costrinse a trasferirsi; ma
tornò spesso a pregare e a condividere la mensa con i frati. Il desiderio di
consacrarsi a Dio lo portò anche ad aderire all’Opera della Regalità, fondata
da padre Agostino Gemelli: un istituto secolare presso il quale prese i voti di
povertà, obbedienza, castità.
Negli anni trenta La Pira frequentò anche la casa di don Raffaele
Bensi, il padre spirituale di tanti fiorentini. Fu qui, come racconta lo stesso
La Pira, che nacque l’idea della “Messa dei Poveri” nella chiesetta di San
Procolo, da cui “l’opera di San Procolo”. La celebrazione domenicale si spostò
presto nella più grande chiesa della Badia Fiorentina, per poter accogliere
tutti i partecipanti. Ogni domenica veniva distribuito il pane e, durante la
Messa, La Pira spiegava ai poveri i fatti della città e del mondo.
Fu proprio da questi impegni di carità che nacque la passione di
La Pira per la politica, ossia, un modo più efficace per fare del bene. A causa
della guerra dovette fuggire perché ricercato dai fascisti. Ma si dedicò ad
aiutare famiglie di ebrei a nascondersi nei conventi, e alla fine dovette
nascondersi anche lui.
In quegli anni, la Chiesa aveva capito che il crollo del regime
fascista era vicino e si doveva preparare una classe politica nuova. Persone in
grado di diventare protagonisti nella ricostruzione della società. La Pira non
si tirò indietro.
Il 2 giugno del 1946, fu eletto a far parte dell’assemblea
costituente contribuendo alla stesura della Costituzione italiana. Poi
arrivarono gli anni al Governo e si occupò di questioni economiche e di lotta
alla disoccupazione. La politica doveva rispondere, diceva, alle attese della
povera gente. Insieme a Fanfani, Dossetti, Lazzati, erano chiamati “i
professorini”. Erano esigenti, volevano che lo Stato assicurasse il lavoro a
tutti. Ebbero diversi scontri con i vertici della Dc che invece erano più cauti
e prudenti. Alla fine si dimise, ma era
diventato sindaco di Firenze. Fu eletto nel 1951, poi di nuovo nel ‘56, e poi
ancora nel ‘61. Aveva molti avversari, i giornali lo criticavano, ma i
fiorentini gli volevano bene e ogni volta prendeva una valanga di preferenze.
I fiorentini lo chiamarono il “sindaco santo”. Non perdeva
occasione per aiutare i poveri, se vedeva un mendicante era capace di
regalargli il cappotto nuovo, e il suo stipendio di professore finiva tutto in
carità.
Appena divenuto sindaco, La Pira aveva dedicato molti sforzi alla
causa della pace. Per mettere in pratica queste idee, convocò a Firenze i
Convegni per la pace e la civiltà cristiana, e poi i Colloqui mediterranei, con
i paesi arabi e quelli europei. Da queste idee nacquero i gemellaggi di cui La
Pira si fece promotore, creando legami tra Firenze e le città di tutti i
continenti: Filadelfia, Kiev, Kyoto, Fez, Edimburgo, Reims. Bisogna unire le
città, diceva, per unire le nazioni.
Intervenne anche nel problema del Vietnam.
Seppur malato La Pira rimase al centro di mille contatti
internazionali. Nel 1976 un tumore al
sangue lo costrinse a letto. Giorgio La Pira morì il 5 novembre 1977. Sulla sua tomba c’è una lampada, dono di
alcuni ragazzi fiorentini, israeliani e palestinesi. Sopra c’è scritto «Pace,
Shalom, Salam».