Il libro del Levitico
Levitico
è il titolo dato al terzo libro della Bibbia dalla versione greca dei LXX. In
questo nome troviamo tutto il contenuto del testo che riguarda la missione dei
Leviti nel culto sacrificale del Tabernacolo. La Bibbia ebraica
lo chiama Wayyqra
(= e chiamò), mentre nell’uso dei rabbini è chiamato «Torah Haccohanim» cioé
Legge dei sacerdoti.
Il
testo sacro narra l’Alleanza che Dio stabilì col suo popolo dopo avere
promulgato le leggi civili e religiose e le regole per il buon funzionamento
del culto ordinario e straordinario, le norme che riguardano la classe
sacerdotale e il popolo nei suoi rapporti con i sacerdoti, la comunità e il
santuario.
Il
libro contiene:
1. Le leggi che riguardano i sacrifici (1,1-7,38);
2.
La legge dei sacerdoti (8,1-10,20);
3.
Le leggi per la
purificazione legale (11,1-16,34);
4.
Il Codice di santità (17,1-23,44);
5.
Leggi varie, promesse e minacce
(24,1-27,34).
Nel
Levitico troviamo una codificazione o una regolazione
di comportamenti abituali risalenti già all’inizio dell’umanità; infatti, fin
dal principio dell’umanità gli uomini erano soliti offrire sacrifici in
riconoscimento dei diritti della divinità. Mosé stesso ne trovò l’uso radicato
presso tutti i popoli, e con le sue prescrizioni non fece altro che regolare e
consacrare al culto del vero Dio un cerimoniale che già veniva
praticato.
Il
Levitico è sicuramente il libro che più di ogni altro è stato
superato con la venuta di Gesù Cristo il quale sostituì con il suo sacrificio
sulla Croce tutti i sacrifici dell’Antico Testamento, soltanto figurativi, che
non avevano un valore in se stessi, ma lo ricevevano dalla fede che, chi
offriva, aveva nel futuro sacrificio di Cristo.
Nei
sacrifici dell’Antico Testamento è necessario sempre distinguere un duplice valore:
il valore proprio e quello simbolico. Il primo dava la possibilità di eliminare
le contaminazioni da trasgressioni o difetti, restituiva la giustizia legale
dando la possibilità alla persona di partecipare legittimamente agli atti di
culto. Il valore simbolico invece era inerente all’atto in
quanto espressione degli atti interni di fede, adorazione, gratitudine
dai quali derivava la sua efficacia spirituale.
Purtroppo
questo elemento di interiorità fu spesso trascurato
dal popolo che si illuse di propiziarsi Jahvé con la
sola offerta esterna di sacrificio: furono i profeti che protestarono
energicamente contro questo formalismo, intendendo riportare il culto esteriore
al suo significato religioso e morale.
I
teologi riconoscono ai sacrifici dell’Antico Testamento un valore prefigurativo
del sacrificio consumato dall’Uomo-Dio sulla croce per i peccati di tutti i
tempi, per le colpe dell’intera umanità (cfr. Ebr 9,28; 10,12). Dio, nella sua
misericordia, accettò gli antichi sacrifici imperfetti, operando per essi nell’uomo, dove vi fossero le necessarie disposizioni
anche una giustificazione con la remissione dei peccati e con il conferimento
della grazia.
Al di là di
tutte le norme contenute dal libro del Levitico
dobbiamo comunque riconoscere lo slancio religioso di un popolo in marcia verso
l’incontro col suo Dio, invisibile, misterioso, esigente e trascendente. Alla
base c’è sempre l’amore di Dio «che ci ha
fatti uscire dal paese d’Egitto per essere il nostro Dio».
Tutti
i gesti liturgici contenuti nel testo sono perciò la risposta dell’uomo alla
sollecitudine di Dio.