Il profeta Geremia

 

Altro libro appartenente ai profeti maggiori è quello del profeta Geremia.

Geremia nacque in Anatot verso il 650 a.C.. Rimase celibe per ordine di Dio e questo contribuì alla profonda sofferenza che caratterizzò la sua vita di uomo timido e sensitivo, costretto da una volontà superiore a compiere una missione ingrata e trasmettere un messaggio contrario ai suoi sentimenti di delicato amore a Dio, al suo Tempio, alla sua città e al suo popolo.

Geremia accompagnò il re Giosia nella sua opera di riforma religiosa, anche se non sappiamo in che modo. Quando fu ucciso Giosia, nel 609 a Megiddo,  il profeta occupò il suo posto di difensore dei diritti di Jahvé, offeso e abbandonato dal suo popolo, e di profeta di sventure, perché predisse la venuta di un nemico dal nord (Nabucodonosor), la caduta della città e la sua distruzione, la rovina dello stesso tempio e l’esilio. Per questo fu perseguitato, incarcerato, minacciato di morte. Ma non desistette, anzi (proprio come accadde a Cristo), fu perseguitato e messo a morte dai suoi, di cui aveva sempre cercato la salvezza.

Per tale motivo il nome del profeta Geremia richiama subito la figura del Messia: non perché egli ne abbia parlato più degli altri profeti (le sue profezie messianiche sono pochissime), ma perché, più di qualunque altro, egli ne ha prefigurato nella propria vita i contrasti, le disillusioni, le persecuzioni, la passione. Egli è dunque il profeta messianico non per i suoi scritti ma nella sua vita.

Il libro di Geremia, come quello degli altri profeti è una raccolta di oracoli, notizie storiche e biografiche, scritto senza nessun ordine cronologico, sufficiente appena a darci un’idea del suo ministero, durato una quarantina d’anni. Dal c. 36 sappiamo che una prima raccolta di oracoli fu fatta dal profeta stesso: il re la bruciò, ed allora essa fu sostituita da una più ampia.

Il libro di apre con un prologo (1,1-19) a cui segue una prima parte (2,1-29,32) comprendente i vaticini contro Giuda e Gerusalemme; una seconda parte, brevissima (30,1-33,26) forma il libro della consolazione; una terza parte (34,1-40,6) contiene il frutto dell’attività del profeta durante l’assedio di Gerusalemme; una quarta parte (40,7-45,5) riguarda il tempio dopo la caduta di Gerusalemme; una quinta parte (46,1-51,64) contiene i vaticini contro i pagani. Il libro su chiude con un’appendice storica (52,1-34).

Dai suoi scritti si può notare che il profeta Geremia non chiude il suo ministero con la distruzione: gli stessi vaticini contro i pagani formano una speranza per Israele.

Geremia mentre piange e rinfaccia l’ingratitudine del popolo che si attira castighi e la privazione di quanto Dio aveva promesso: la terra, il tempio e la discendenza, vede anche una futura restaurazione in una Nuova Alleanza (31,31-34), con un nuovo patto scritto nel cuore stesso dei fedeli di Jahvé, i quali conosceranno Dio e a lui si uniranno nella fedeltà perpetua. E’ questa la nuova esperienza salvifica, che non sarà più basata sulla razza e su un territorio, ma sulla fedeltà e sull’amore: Il nuovo capo sarà della stirpe di Davide e instaurerà un regno di giustizia e di pace universale (23,5-6; 33,14-16): il suo nome sarà Jahvé nostra giustizia.