Una manifestazione diversa
Il termine "epifania" significa manifestazione e designa una "teofania" narrata nel Vangelo.
Tante sono le teofanie di Dio dell’Antico Testamento e quasi tutte capaci di generare spavento in chi le riceve. Dio si manifesta a Mosé sul monte Sinai sotto forma di roveto ardente, poi nelle forze della natura: nell’uragano, nel tuono, nei lampi.
La manifestazione di Dio che ricevono i Magi è ordinaria e nello stesso tempo particolare: il cielo d’Oriente era pieno di stelle, ma questi re seppero discernere una sola stella e, proprio come Abramo, partirono senza sapere dove andare. Dio dunque non si impone con la sua forza, ma si fa scoprire nella sua debolezza.
Egli però non ha mai smesso di rivelarsi alla sua Chiesa; nell’Antico Testamento utilizza fragorose teofanie, nel Nuovo Testamento discrete epifanie, oggi si manifesta nella Chiesa e nei sacramenti.
Dunque non è più possibile parlare di teofanie, né di epifanie, ma di "diafanie". Un corpo è diafano quando si lascia attraversare dalla luce senza essere trasparente. E’ proprio in questo modo che Dio si rivela nella Chiesa e agisce nei sacramenti. Nella Chiesa, come nei sacramenti, la realtà divina si rivela e insieme si nasconde nello spessore degli uomini e delle cose. La ricchezza della grazia si comunica attraverso la povertà dei mezzi.
Non vi sono più segni terrificanti "mirabilia Dei" o "magnalia Dei" dell’Antico Testamento, né i miracoli del Nuovo Testamento, quanto piuttosto un nuovo modo di agire, tutto interiore in cui la Chiesa ne è lo strumento mentre i sacramenti i collegamenti.
La Chiesa siamo noi, per cui tocca a noi trasmettere la luce e non opporre la nostra opacità al suo irraggiamento.
Attraverso ognuno di noi la vera luce, quella che illumina ogni uomo, può fare il suo ingresso nel mondo.
L’Epifania ci fa celebrare dunque la salvezza offerta a tutti i popoli, con una rinnovata immersione nella luce della grazia che cancella ogni residuo di oscurità.
In questa solennità ognuno ritrova la sua stella interiore e giunge a prostrarsi e a contemplare il Signore, proprio come fecero i Magi, che abita nei cuori degli uomini e nel pane e nel vino.
E prostrandoci anche noi diamo i nostri doni: innanzitutto noi stessi, con tutto ciò che vi sta dentro, poi la nostra accoglienza di Gesù e di tutta quella gente che vive da Cristo, quindi l’ascolto.
Fermiamoci ad adorare Cristo fissando il suo sguardo attraverso il silenzio, la preghiera e, perché no, anche la contemplazione, poi sforziamoci di metterci dalla sua parte per guardare quello che Lui guarderebbe e vedere quello che Lui vedrebbe.