Pastori e Buon Pastore
Il mestiere di allevatore di bestiame presso il popolo israelita era uno tra le più antiche professioni rurali: ancor prima di avere una dimora stabile il popolo eletto era stato nomade, era vissuto sotto le tende aveva condotto i propri animali da un pascolo all’altro. Le greggi venivano portate al pascolo nel midbar (la macchia o deserto di Giuda), nella valle del Giordano (dove era necessario pagare i diritti di pascolo), nel darom (a sua dell’Idumea dove Davide portava a pascolare il suo gregge).
Fino a che il gregge contava pochi capi, allora poteva essere guidato anche da un bambino. Dalle testimonianze della Sacra Scrittura esistevano però greggi con migliaia di capi che dovevano essere necessariamente affidati a gente esperta. Secondo i detti popolari del tempo si trattava di un mestiere da briganti che non doveva essere insegnato ai propri figli, oppure tipico dei pigri che si addormentavano tra le mura del recinto (cfr. Sl 68, 14).
Di fatto era un lavoro molto duro: gli animali si facevano uscire la settimana prima di Pasqua e si facevano rientrare solo a metà novembre. L’inverno veniva trascorso negli ovili e gli animali venivano sfamati con una mistura di paglia tranciata e d’orzo. Per impedire loro di vagabondare il pastore spesso legava una zampa alla coda e tuttavia c’era sempre qualche pecora che si allontanava; nemmeno i cani erano capaci di riportarla indietro. Spesso accadeva che iene, sciacalli, lupi e persino orsi aggredissero il gregge costringendo il pastore ad una estenuante difesa. Il freddo rigido e pungente rendeva le notte interminabili e non di rado i pastori si mettevano d’accordo riunendo le greggi a cui badavano tutti quanti, stabilendo dei turni che dava loro la possibilità loro di dormire. Al mattino ogni pastore lanciava "grida acute" per portare il gregge all’abbeveratoio e ogni animale riconosceva bene la voce del proprio pastore.
Curare le bestie malate, infortunate, badare alle pecore gravide e agli agnellini appena nati, tosare due volte l’anno era compito del pastore così pure procedere alla decima del gregge (le pecore si facevano passare per una porticina e la decima si riservava ai sacerdoti).
I pastori amavano le proprie pecore e queste amavano il loro pastore. Il pastore che perdeva una pecora la cercava finché non l’avesse trovata e la riportava indietro sulle proprie spalle proprio come Gesù. definito nel Vangelo "Buon Pastore".
La Bibbia eredita ed usa l’immagine del Pastore già nell’Antico Testamento: il Profeta Ezechiele illustra il comportamento dei cattivi pastori, coloro che reggono Israele, contrapponendo il Grande Pastore (Dio), che guida, protegge e raccoglie il suo popolo (Ez 34). Zaccaria invece profetizza un pastore divino che non si comporta come il pastore buono a nulla, capace solo di lasciare in asso le pecore, ma si lascia trafiggere dalla morte che segna una volta e per tutte una svolta nella storia.
Questo pastore nel Vangelo di Giovanni è colui che riunisce in unità i figli di Dio dispersi (Gv 11,52). Gesù è il "Pastore" e come tale conosce bene ognuno di noi e di conseguenza noi conosciamo lui, cioé, ci lasciamo penetrare dall’amore divino divenendo esseri divini. La sua crocifissione e la sua resurrezione indicano il dono offerto a tutti noi: morire obbedendo al Padre per amore nostro e riappropriarsi della vita non per se stesso ma per tutti noi.