San Giovanni Crisostomo
(La
Chiesa ne fa memoria il 13 Settembre)
Il
suo vero nome era Giovanni d’Antiochia, ma i suoi
concittadini, tre anni dopo la sua morte, lo chiamarono Crisostomo, cioé
, per esplicitare meglio la sua attività omiletica di vescovo. Fu infatti un predicatore animato dal fuoco della carità che
lo sollecitava ad insegnare, scuotendo monaci indolenti ed ecclesiastici
tiepidi e richiamando prelati impigliati nella pastorale della ricchezza e del
lusso. Non per condannarli, ma per aiutarli nella scelta del
bene, per ravvivare la loro fede e stimolarli alla carità. «Dare ai poveri - diceva - vuol dire donare a Dio». «Liberate Cristo dalla fame, dal bisogno,
dalla prigione, dalla nudità».
Se
qualche volta faceva la voce grossa con qualcuno era
solo per il suo bene, era perché lo amava: «Voi
siete a me in luogo di padre - diceva. - Voi madre,
voi fratelli, voi figli, voi tutto. Se
anche non dovessi rendere conto delle anime vostre, rimarrei sconsolato,
perdendovi». Per stimolarli efficacemente, nelle prediche tirava fuori
tutta la sua dottrina, soprattutto biblica ed esegetica, in
cui era ferratissimo, a tutte le suggestioni dell’arte oratoria,
riuscendo a tenere i fedeli inchiodati ai banchi della chiesa per più ore ad
ascoltare i suoi chilometrici sermoni.
Crisostomo
nacque ad Antiochia verso il 349 da
un ufficiale dell’esercito, Giovanni fu educato dalla madre Antusa, rimasta vedova a 20 anni. Fu orientato al cristianesimo dal vescovo Melezio che lo battezzò a 18 anni
circa, e da Diodoro di Tarso, divenne lettore. Poi fu ordinato diacono e poi
prete ad Antiochia a 32 anni.
Negli
anni giovanili aveva scelto la vita eremitica standosene prima, ritirato in
casa e poi andandosene a vivere solitario in una caverna nel deserto per sei
anni. La vita di penitenza e di solitudine gli guastò la salute a tal punto che
dovette far ritorno ad Antiochia dove venne ordinato diacono e poi sacerdote. Acquistò subito fama
di dotto e ardente predicatore, tanto che l’imperatore Arcadio lo volle vescovo
di Costantinopoli (397). Giovanni costruiva le sue omelie su una duplice trama:
esegetica o dogmatica e morale. Famosa è l’omelia sulle Statue, nella quale
riuscì a consolare il popolo nel terrore di una rappresaglia imperiale per una
rivolta nel 386, a causa di una nuova imposta.
La
sua lingua tagliente e schietta, il suo carattere austero e poco incline ai
compromessi gli conquistarono l’affetto e l’ammirazione dei cristiani retti e
sinceri della metropoli, ma lo resero inviso all’imperatrice Eudossia, ai dignitari
della corte, agli intrallazzatori e ai corrotti e a molti vescovi tiepidi che
si accordarono per deporlo. La decisione venne presa
nel sinodo sedizioso, detto della Quercia, convocato nel 403. Esautorato
illegalmente, Giovanni dovette prendere la via dell’esilio andando a vivere in Bitinia. Ma dopo un po’ lo raggiunse la preghiera di Arcadio e della stessa Eudossia, di far ritorno nella
capitale, perché il popolo minacciava sommosse, mentre un nugolo di disgrazie
si era abbattuto sulla dimora imperiale.
La
rimpatriata durò poco, solo un paio di mesi, bastanti ai suoi avversari per diseppellire le armi dell’invidia e dell’astio e
costringerlo ad un nuovo esilio. Per dare corso alla definitiva deportazione,
così narra una leggenda, fu necessaria una legione di soldati barbari, mentre
il popolo seguiva minaccioso lo svolgersi degli eventi.
Il
santo, per evitare spargimenti di sangue, accettò il suo destino senza opporsi.
Trovò dimora a Cucuso, una cittadina lungo la
frontiera dell’Armenia. Ma se non poteva raggiungere i
suoi fedeli con la parola, cercò di farlo con le lettere. E da questo esilio ne inviò ben 17, indirizzate soprattutto alla
diaconessa Olimpiade, e sono un documento straziante della sua sofferenza e
delle penose vicende storiche del suo tempo. Per far cessare del tutto la sua
voce, venne confinato in un luogo ancor più lontano e
inospitale, sulle rive del mar Nero, a Pitionte. Appena giunto nella nuova destinazione morì abbattuto dai disagi e
dalle sofferenze. Era il 14 Settembre del 407.
Trent’anni
dopo, totalmente riabilitato, i suoi resti mortali vennero
trionfalmente ricondotti a Costantinopoli e collocati nella cattedrale di Santa
Sofia.
La
vasta produzione letteraria di Crisostomo è caratterizzata da grande comprensione delle vicende umane, da stile armonioso
e finezza linguistica, caratteristiche che hanno fatto di lui il più grande
oratore cristiano dell’antichità. Il cristianesimo bizantino ne ha onorato la
memoria come teologo e come modello della vocazione monastica, dedicando alla
sua memoria la liturgia più diffusa nella chiesa orientale, detta appunto “la
liturgia di san Giovanni Crisostomo”.
La
Chiesa ne fa memoria obbligatoria il 13 Settembre, la vigilia del suo dies natalis, poiché il giorno
successivo viene celebrata l’Esaltazione della Croce.