La
Comunità di Sant’Egidio
La Comunità di Sant'Egidio è nata a Roma nel 1968,
per iniziativa di un giovane, allora meno che ventenne, Andrea Riccardi. Egli
iniziò riunendo un gruppo di liceali, come era lui stesso, per ascoltare e
mettere in pratica il Vangelo. I primi punti di riferimento sono stati la prima
comunità cristiana degli Atti degli Apostoli e Francesco d'Assisi.
Il piccolo gruppo iniziò subito ad andare nella
periferia romana, tra le baracche che in quegli anni cingevano Roma e dove
vivevano molti poveri, e cominciò la "Scuola popolare" (un doposcuola
pomeridiano), oggi "Scuole della pace" in tante parti del mondo per i
bambini.
Da allora la comunità è molto cresciuta, e oggi è
diffusa in più di 30 paesi di 4 continenti. Anche il numero dei membri della
comunità è in crescita costante.
Ogni membro della comunità deve compiere delle
opere.
La prima "opera" della Comunità di
Sant'Egidio è la preghiera. Proprio dall'incontro con le Scritture, messe al
centro della vita, è nata una proposta personale e comune nuova per quei
giovani del '68 alla ricerca di una vita più autentica: è l'antico invito a
diventare suoi discepoli, che Gesù fa ad ogni generazione. E' l'invito a
convertirsi, smettendo di vivere solo per se stessi, e a iniziare, con libertà,
ad essere strumenti di un amore più grande per tutti, uomini e donne, e
soprattutto i più poveri. L'immagine
più autentica è quella della comunità in preghiera, quando è riunita per
ascoltare la Parola di Dio. E' come la famiglia dei discepoli raccolta attorno
a Gesù. Concordia e assiduità nella preghiera (At 2,42) sono la via semplice,
offerta e richiesta a tutti i membri della comunità.
A ogni membro della comunità è chiesto anche di
trovare uno spazio significativo nella propria vita per la preghiera personale
e per la lettura delle Scritture, cominciando dai Vangeli.
La seconda "opera" della comunità, il suo
secondo fondamento, è la comunicazione dei Vangelo. E' il Vangelo stesso,
infatti, la buona notizia da condividere con gli altri, il tesoro prezioso, la
lanterna che non può essere nascosta. Il Vangelo non è un patrimonio esclusivo,
ma è una responsabilità in più per i membri della comunità, chiamati a
comunicarlo a tutti, abbattendo frontiere e muri.
L'amicizia tra persone di culture e nazioni
differenti è il modo quotidiano in cui si esprime questa fraternità
internazionale che è al tempo stesso apertura al mondo e appartenenza ad
un'unica famiglia, quella dei discepoli. In un mondo che, alla fine del secondo
millennio, esalta i confini e le differenze, nazionali e culturali, fino a
farne motivo antico e nuovo di conflitto, le comunità di Sant'Egidio
testimo-niano l'esistenza di un destino comune non solo dei cristiani, ma di
tutti.
Ci sono comunità molte comunità, ma la quella di
Roma è la più anziana. Come prima comunità, svolge in questo senso un servizio
alla comunione e alle comunità più nuove, senza altri limiti e confini che
"quelli della carità", come indicato a Sant'Egidio da papa Giovanni Paolo
II per il 25° anniversario della comunità, nel 1993. Questa unità si esprime in
una comunione e solidarietà concreta tra i fratelli e le sorelle, che si sono
rivelate come la migliore forma di organizzazione della vita e dell'attività
della comunità stessa.
Terza "opera" caratteristica di
Sant'Egidio, autentico fondamento e impegno quotidiano fin dagli inizi è il
servizio ai più poveri, vissuto nella forma dell'amicizia. I primi studenti che
nel '68 presero a riunirsi attorno alla Parola di Dio, sentirono come il
Vangelo non poteva essere vissuto lontano dai poveri: i poveri per amici e il
Vangelo buona notizia per i poveri. Nacque così il primo dei servizi della
comunità, quando ancora non aveva preso il nome di Sant'Egidio: la scuola
popolare, che si chiamava così perché non era solo un doposcuola per i bambini
emarginati delle baraccopoli romane, come il "Cinodromo", lungo il
Tevere, nella zona sud di Roma.
Secondo quanto si legge nel capitolo 25 del Vangelo
di Matteo, questa amicizia si è allargata ad altri poveri: handicappati, fisici
e mentali, persone senza fissa dimora, stranieri immigrati, malati terminali; e
a diverse situazioni: carceri, istituti per anziani, campi nomadi, campi per
rifugiati. Lungo questi anni si è sviluppata una sensibilità verso ogni forma
di povertà, vecchia e nuova o emergente, come anche verso povertà non
tradizionali, come quella rappresentata in molti Paesi europei da anziani soli
anche quando benestanti.
E' così che amare i poveri, in molte situazioni, è
diventato lavorare per la pace, per proteggerla dove è minacciata, per aiutare
a ricostituirla, facilitando il dialogo, là dove è andato perduto. I mezzi di
questo servizio alla pace e alla riconciliazione sono quelli poveri della
preghiera, della parola, della condivisione di situazioni di difficoltà,
l'incontro e il dialogo.
Anche dove non si può lavorare per la pace, la
Comunità cerca di realizzare la solidarietà e l'aiuto umanitario alle
popolazioni civili che più soffrono a causa della guerra.