Don
Lorenzo Milani
Nacque a Firenze, il 27 maggio del 1923 da Albano
Milani, laureato in chimica, poeta, filologo, conoscitore di sei lingue, e da
Alice Weiss, donna colta di origine ebrea. Ebbe un fratello maggiore, Adriano,
e una sorella più piccola, Elena. Il suo bisnonno Domenico Comparetti, grande
filologo, conosceva 19 lingue.
La sua famiglia nei confronti della religione ebbe
un atteggiamento noncurante, agnostico, laico.
Nel 1930 tutta la famiglia si trasferì a Milano per
ragioni economiche anche se continuavano a stare più che bene.
Il 29 giugno 1933 i coniugi Milani, che erano
sposati civilmente, celebrarono il matrimonio in chiesa e battezzarono i tre
figli, per timore delle leggi razziali. Era il 1934. Lorenzo fu ammesso alla
prima ginnasiale al “Berchet”. Poi passò all’istituto “Zaccaria”, dei
barnabiti, per tornare infine al “Berchet”. Non fu mai uno studente modello.
Durante le vacanze, nella proprietà dei Milani a
Gigliola (Montespertoli vicino Firenze), chiese, tra lo stupore della famiglia,
di ricevere la prima comunione.
In quinta ginnasio viene rimandato, con tre in
italiano e quattro in latino. Una mezza tragedia per la famiglia. Ripara ad
ottobre al “Berchet”. La prima liceo è un’altra catastrofe. Decide,
inusitatamente, di saltare una classe: si presenta agli esami di ammissione in
terza da privatista e... li supera grazie ad un geniale tema di italiano.
Il 21 maggio ‘41 la guerra anticipa la chiusura
delle scuole. Lorenzo venne dichiarato maturo ma rifiutò d’andare
all’università come tradizione per i Milani. Lo scontro con la scuola italiana
finì lì, per ora.
Dopo la maturità, manifestò l’intenzione di
dedicarsi alla pittura. Il padre la ritenne “una bambinata”. In ogni caso,
detto fatto, venne affidato alle cure del pittore Hans Joachim Staude, a
Firenze.
Era tempo di guerra e di fame, vicino a piazza Pitti
accadde un episodio che lo segnò profondamente. Lorenzo, mentre dipingeva, si
mise a mangiare un panino. Subito una donna del popolo lo rimproverò: “Non si
viene a mangiare il pane bianco nelle strade dei poveri!”. Tornò a Milano ed
aprì uno studio da pittore. Fu proprio attraverso una ricerca sui colori della
liturgia cattolica che Lorenzo si avvicinò in qualche modo alla Chiesa.
Il 3 giugno ‘43, avvenne la conversione e l’incontro
con don Raffaele Bensi, che diventerà il suo direttore spirituale. Al capezzale
di un giovane sacerdote, Lorenzo annunciò a don Bensi: «Io prenderò il suo
posto» . Dopo una settimana ricevette la cresima dal cardinale Elia Dalla
Costa. Entrò al seminario di Cestello in Oltrarno il 9 novembre ‘43. Non
mancarono contrasti col rettore monsignor Giulio Lorini e con don Mario
Tirapani, che da vicario generale della diocesi lo perseguitò e lo fece
confinare a Barbiana. La famiglia non approvò la scelta di vita religiosa del
figlio. Alla cerimonia della tonsura, l’atto d’ingresso alla vita
ecclesiastica, nessuno dei parenti fu presente.
Il 13 luglio ‘47 Lorenzo fu ordinato sacerdote a
Santa Maria del Fiore e, ad ottobre fu mandato al vecchio parroco Daniele Pugi
per dargli una mano. Fu qui che iniziò l’elaborazione del catechismo storico.
Fu qui che fondò la scuola popolare.
Il 18 aprile ‘48: la Democrazia cristiana alle
elezioni, grazie anche alla mobilitazione delle parrocchie, stravinse. Don
Milani attraversò un paio di tornate elettorali non senza contrasti, pur
attenendosi al diktat di far votare i cristiani della parrocchia per la Dc. Nel
1951 s’ammalò di tubercolosi.
Alla morte di Daniele Pugi don Milani venne esiliato
e nominato priore di Sant’Andrea a Barbiana, 475 metri sul livello del mare nei
monti del Mugello, sopra Firenze. Il 6 dicembre 1954, ancora una giornata di
pioggia, arrivò a Barbiana. Non c’era la strada né la luce né l’acqua. Nella
parrocchia, che doveva essere chiusa, vivevano una manciata di famiglie sparse
tra i monti. Lì don Lorenzo fondò una nuova scuola per i suoi ragazzi
“montanini”, dove i poveri imparano la lingua che sola li può render uguali.
Nell’agosto del ‘59 scrisse Un muro di foglio e di incenso. Uno straordinario
documento che precorreva la nuova impostazione conciliare sui rapporti interni
alla Chiesa cattolica. Pistelli non ebbe il coraggio di pubblicarlo.
Intorno al ‘60 arrivarono i primi sintomi del tumore
ai polmoni: un linfogranuloma mali-gno. La malattia che lo portò alla morte.
Nonostante la grave malattia preparò la Lettera a una professoressa, contro la
scuola classista che boccia i poveri. Un’opera scritta dalla scuola di Barbiana
collettivamente e che verrà pubblicata a maggio del ‘67. I giudizi sulla scuola
italiana sono trancianti, irrevocabili. La lettera verrà tradotta in tedesco,
spagnolo, inglese e perfino giapponese.
Nel marzo ‘67 il priore si trasferì in via Masaccio
a Firenze a casa della madre. La malattia gli impediva di parlare per cui
comunicava con dei biglietti. Due giorni prima di morire il “signorino” Milani
borbottò con la consueta ironia: «Un grande miracolo sta avvenendo in questa
stanza: un cammello che passa per la cruna di un ago».
Morì il 26 giugno ‘67 ad appena 44 anni. Era la
vigilia di un ‘68 che non capì fino in fondo don Milani.