Karol Wojtyla

il papa dell’ecumenismo

 

Karol Wojtyla di origine polacca, già arcivescovo di Cracovia, nominato cardinale il 26 giugno 1967 da Paolo VI, viene eletto Papa col nome di Giovanni Paolo II.

Non appena eletto, affacciatosi alla loggia di Piazza San Pietro - la sera del lunedì 16 ottobre 1978 improvvisò un breve discorso in italiano. Quindi pronunciò una frase destinata a rimanere nel tempo: “Se mi sbaglio mi corriggerete”. La gente accolse subito il papa che da quel momento cominciò ad essere simpatico.

Fu il primo Papa straniero eletto dopo 455 anni (dal 1523- Adriano VI, fiammingo) e il primo papa polacco in assoluto nella storia della Chiesa. Il 254° del tradizionale elenco.

Un papa con precedenti sportivi, prete operaio, colto, anticonformista, che non gradendo il protocollo, desta subito l’affetto del mondo dei fedeli e anche di quello laico.

Provenendo da una Chiesa dell’Est (dalla Polonia comunista) dove fare il prete é come fare il “combattente” in prima linea,  e dove la gerarchia della Curia o la deferenza in quei luoghi sacri così spogli, é perfino anacronistica, il nuovo Papa forte di queste esperienze va’ subito a  rivoluzionare i rapporti chiesa-fedeli dentro la nostra società occidentale. E lo fa meglio di chi é vissuto dentro questa società, a contatto, ma ostinatamente rimasto sempre distaccato dai problemi reali.

Karol Wojtyla, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.

Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava e in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania. Dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia. Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia.

L’elezione di Karol Wojtyla rappresenta una novità e una sorpresa; colpisce il fatto che venga da un Paese dell’Est, quella Polonia nella quale professarsi cristiano, dinanzi al sistema sovietico, richiedeva vera fede e vero coraggio. Alla lotta contro il sistema sovietico sembra essere ricondotto l’attentato di cui è vittima il 13 maggio 1981, mentre procede alla benedizione della folla: alle ore 17.17, in piazza San Pietro, due colpi esplosi da una Browning calibro 9 raggiungono l’addome di Giovanni Paolo II. Autore del gesto è Mehmet Ali Agca, 23 anni, turco, terrorista professionista. condannato a morte per omicidio ed evaso da un carcere militare di Istanbul.

Un importante elemento di distinzione con i suoi predecessori sta nel fatto che, a differenza di questi, non ha esperienze di Curia e di diplomazia vaticana. Interpreta il suo ufficio non come Capo di Stato, ma come missionario: lo attestano i 216 viaggi che ha compiuto, tra l’Italia e il resto del mondo, in vent’anni di pontificato. Prima di lui, tra i Papi successivi al Concilio Vaticano II, viaggiò solo Paolo VI, per 9 volte.

Il viaggio è lo strumento per rendersi presente ovunque nel mondo e per entrare in contatto diretto con i popoli.

Giovanni Paolo II ha operato delle scelte di portata storica. Tra tutte, forse la più sofferta è quella della richiesta di perdono per tutte le sofferenze inflitte ai non cattolici dalla Chiesa stessa. Essa sale sul banco degli imputati, ed è chiamata a rispondere, in primis, del silenzio sull’Olocausto. La tragedia degli ebrei è tutta negli occhi di Wojtyla, il cui villaggio Natale, Wadowice, è a soli trenta chilometri da Auschwitz. Il “mea culpa” cattolico si snoda attraverso varie tappe di estrema importanza.

Il 13 aprile 1986, per la prima volta nella storia, un Papa entra in una Sinagoga. Accade a Roma, in una giornata segnata anche da momenti di tensione: i discorsi introduttivi del rabbino Elio Toaff e del presidente della comunità israelitica romana Giacomo Saban sono duri.

Sebbene il capitolo degli ebrei sia il più drammatico, il libro dei conti con la storia è stato aperto da Giovanni Paolo II ben prima dell’86.

E’ del 1979 il suo primo richiamo al “caso Galileo” e alle colpe della Chiesa nei confronti dello scienziato. Anche in questo caso, il processo di revisione va avanti a tappe: nel 1981 istituisce una “Commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo”; i risultati del lavoro della stessa vengono resi noti nel 1992. Esito: la Chiesa sbagliò, credendo “a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente provata, fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica, e che era loro dovere proibirne l’insegnamento”.

Karol Wojtyla ha sottoposto la Chiesa a un riesame non facile. Ciò ha un obiettivo di lungo termine: l’unità ecumenica delle confessioni cristiane. Durante il pontificato ha visitato Costantinopoli, Ginevra e Canterbury, cioè le capitali ortodosse, calviniste e anglicane. Possa il Signore continuare a benedire il suo pontificato.