Il libro del Cantico dei
cantici
Il
Cantico dei cantici, il Cantico per eccellenza, canta in un susseguirsi di
poemi l’amore reciproco di un amato e di un’amata, che si raggiungono e si
perdono, si cercano e si trovano. L’amato viene
chiamato «re», ma anche «Salomone»; l’amata è chiamata «sulammita».
Poiché,
per tradizione Salomone aveva composto dei cantici, a lui è stato attribuito questo eccelso Cantico. A motivo del suo titolo il Cantico
fu messo tra i libri sapienziali e come questi esso
si preoccupa della condizione umana e ne analizza uno
dei suoi aspetti vitali: l’amore.
Nella
Bibbia greca il Cantico fu posto dopo l’Ecclesiaste, nella Volgata tra l’Ecclesiaste
e la Sapienza, nella Bibbia ebraica negli «Scritti». Nel sec. I d.C. gli ebrei nutrirono seri dubbi circa la sua canonicità,
tanto da usarlo nelle feste profane di matrimonio e continuarono a farlo
sebbene fosse stata posta l’interdizione da rabbi Akiba.
Dopo l’VIII secolo d.C.,
quando i versi del libro furono usati nella liturgia pasquale ebraica, divenne
uno dei 5 rotoli, letti nelle grandi feste.
Il
libro è stato scritto dopo l’esilio babilonese (V - IV secolo a.C.) e risulta
essere un condensato di tutti i cantici nuziali
arcaici e non, della Mezzaluna fertile. La sua origine può essere ricercata
nelle feste che accompagnavano la celebrazione del matrimonio. Non si deve però
incorrere nell’errore di considerarlo una “raccolta di canti popolari”. Di
certo il suo autore è un poeta originale e un letterato abile che ha scritto in
Palestina.
All’interno
troviamo pochissimi fogli, 8 capitoli in tutto e 5 Poemi che si richiamano a
vicenda e ricordano i primi 5 libri della Bibbia: il Pentateuco. Quest’ultimo ripete continuamente l’impegno all’Alleanza
mentre il Cantico dei cantici l’impegno nell’amore.
Messaggio
e caratteristiche del libro
Da
sempre si è cercato di leggere il testo in modo allegorico. In realtà ci
troviamo in presenza di una raccolta di canti che
celebrano l’amore reciproco e fedele, suggellato dal matrimonio. I versi
esaltano il valore dell’amore umano e affermano che non si tratta di un amore
solamente profano, poiché Dio ha benedetto il matrimonio come unione affettiva
dell’uomo e della donna che hanno il compito di procreare. Il Cantico canta di
volta in volta varie realtà che vale la pena analizzare.
Innanzitutto
la corporeità. Il testo evidenzia realtà fisiche, l’amore (eros), esperienze legate a tutti i sensi dell’uomo: gusto, tatto,
olfatto.
Canta
anche l’amore tra due persone concrete, lo sposo e la sposa e usa i pronomi di prima e seconda persona «mio, tuo» «io, tu». Rispetto agli orientali che erano soliti
usare la terza persona per sottolineare la distanza tra le persone, il Cantico
dei cantici celebra l’intimità tra le due persone.
Nel
testo ricorre spesso la parola «mio diletto», in ebraico dôdî le cui radicali sono d-w-d. Aggiungendo a queste consonanti altre
vocali, «mio diletto» non indicherà solo lo sposo, ma anche Davide, il grande re di Israele. Il termine dôdî indica dunque un amore spontaneo non basato sulla legge, un’unione
matrimoniale che è tale non perché è registrata da qualche parte ma perché è
tale nella sua interiorità. Così è per l’amore per Dio: non si crede in Lui
(Diletto) perché la propria adesione è registrata da qualche parte, ma per una
decisione intima e gioiosa.
Il
Cantico dei cantici mette in luce anche la natura. Sicuramente non quella
palestinese, priva di verde e bruciata dal sole, là dove, trovare un giglio
nelle valli è un’eccezione rarissima. Piuttosto, dietro la splendida natura
descritta dai versi si può scorgere la figura dell’uomo innamorato il quale,
con la sua carica d’amore, riesce a vedere tutto bello, buono e profumato, come
in un paradiso.
Ci
potremmo allora chiedere se questo libro è un cantico
d’amore o un poema mistico. Sicuramente non c’è divisione: l’amore concreto non
è altro che il frammento dell’amore perfetto. Dunque
il cantico unisce l’amore al misticismo. C’è da notare, inoltre, che il testo
non menziona mai il nome di Dio, sebbene faccia in qualche modo riferimento al
suo mistero e al mistero della città santa.
Nel
libro si fa allusione al Silenzio di Dio. Al capitolo 5, 2-8 l’amata rifiuta
«il Diletto», ma poi lo cerca invano. Sembra quasi che l’amato si chiuda nel
silenzio. In realtà non si tratta di silenzio, quanto piuttosto l’aver perso
un’occasione, l’aver lasciato passare l’amato che bussava, senza avergli
aperto. Da qui la tristezza perché l’anima deve aspettare
nuovamente l’opportunità di cogliere il passaggio di Dio nella propria vita,
senza rovinare le occasioni di luce e di fede. Secondo il teologo Ravasi il Cantico dei cantici non è il canto del silenzio
di Dio, perché ormai Dio è talmente vicino all’uomo da essere il suo amore.
Insegnamenti
Il
libro ci insegna innanzitutto a ricercare un amore
supremo a cui si arriva dopo avere sperimentato un amore concreto. L’amore di
Dio lo si conquista solo passando attraverso l’amore
semplice, quotidiano, l’amore per il prossimo. Il Cantico ci invita
a passare attraverso i gradi intermedi dell’amore umano per costruirlo attraverso l’esperienza
dell’amicizia e delle esperienze personali di amore.