Chiamata - Mc 9,2-10

Paolo Boschini


     E' molto difficile ricostruire con una certa verisimiglianza il "fatto" della trasfigurazione, a cui si riferisce questo racconto: se si confrontano i racconti dei vangeli sinottici (Mc 9,2-10; Mt 17,1-8; Lc 28-36) con un'episodio analogo narrato da Giovanni (Gv 12,20-36), si capisce subito che siamo davanti ad una seconda esperienza di chiamata, del tutto analoga a quella che Gesù ha ricevuto il giorno del suo battesimo (Mc 1,9-11). Anzitutto, si tratta di una conferma pubblica da parte del Padre circa la missione di Gesù e l'autenticità del suo messaggio. Se sulle rive del Giordano solo Gesù aveva sentito la voce di Dio e visto lo Spirito scendere su di lui (Mc1,10-11), ora la manifestazione di Dio e la proclamazione della dignità messianica di Gesù avviene davanti a tre discepoli prediletti, che costituiscono di fatto il germe della chiesa missionaria post-pasquale. Ma l'evangelista Marco ci lascia anche intendere che non si tratta di una azione pedagogica nei confronti dei discepoli. E' piuttosto un'esperienza spirituale di Gesù, a cui Dio manifesta con chiarezza quale sarà il cammino per arrivare al compimento della missione ricevuta. Il progetto che Dio ha sulla vita di una persona - su quella di Gesù, come sulla nostra - non è mai definito una volta per tutte, ma è continuamente in via di chiarificazione e soprattutto è sempre suscettibile di svolte repentine e di cambiamenti profondi. La trasfigurazione è proprio l'esperienza di questa trasformazione della sua vocazione personale, che Gesù condivide con alcuni compagni e discepoli del suo cammino.
    Nella prima parte della sua missione, Gesù ha predicato la venuta imminente del regno di Dio; ha annunciato con le parabole e con alcuni gesti significativi - in particolare, l'accoglienza dei peccatori e la guarigione dei malati - in che cosa esso consiste: è opera di Dio e non dell'uomo; è la potenza stessa di Dio che libera questa umanità di infermi e di posseduti dal male (Mc 1,34); si realizzerà attraverso la personalità gloriosa del Figlio dell'Uomo: il giudice finale che Dio invierà sulla terra alla fine del mondo, quando i morti risorgeranno dalla terra e si apriranno per loro le porte della salvezza o della dannazione eterne. Ma l'ostinata opposizione degli scribi e dei farisei, la superficialità della folla, la durezza di cuore dei discepoli hanno fatto ricredere Gesù: forse il regno di Dio non verrà con potenza, come un avvenimento di risonanza cosmica. Come si manifesterà allora il regno di Dio? Come la salvezza promessa arriverà alla sua realizzazione?
    L'esperienza della trasfigurazione è la risposta di Dio Padre all'interrogarsi angoscioso di Gesù, che si ritira dalla folla e dai farisei, per stare solo con i discepoli e per comprendere insieme a loro quale sarà il suo futuro (Mc 8,27-30) e quale lo sviluppo dell'opera di Dio.
    Il primo elemento di risposta viene dalla scena e dagli attori che vi compaiono. Nel suo svolgimento a venire, la vita di Gesù assomiglierà sempre più a quella di Mosé e di Elia (v. 4) e come loro egli dovrà guidare un popolo recalcitrante e incapace di comprendere fino in fondo i grandi gesti d'amore di Dio. Marco sottolinea ancora una volta che il cuore dei discepoli è dominato dal terrore (v. 6), come quando Gesù dormiva a poppa mentre la tempesta infuriava sulla barca (Mc 5,37-41), o come quando andò loro incontro camminando sul mare (Mc 6,48-52). Il racconto della trasfigurazione contiene una profezia e un'ammonimento proprio sulla persistente mancanza di fede dei discepoli. Nonostante tutti i segni grandi che Gesù compirà anche in seguito, il terrore sarà il sentimento che accompagnerà i discepoli nei giorni della pasqua e sarà un ostacolo pressoché insuperabile, che impedirà ai discepoli di restare vicino al Maestro nei giorni della sua grande tribolazione (Mc 14,50) e di credere alla sua risurrezione (Mc 16,8).
   La conclusione della scena, quando Gesù rimane solo, contiene il secondo elemento di risposta. La missione messianica di Gesù si realizzerà passando attraverso la croce: sul monte della trasfigurazione si anticipa quella situazione di solitudine - solo davanti a Dio, solo davanti agli uomini - che Gesù vivrà nelle ultime ore della sua vita e che culminerà nel grido di invocazione "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!" (Mc 15,34 - Sal 22,2). Questa è la grande svolta, che il Padre imprime alla vita del Figlio e con la quale egli risponde alle sue inquietudini. Tutto ciò è fuori dalla nostra logica, perché Dio risponde al fallimento di Gesù proponendogli di andare fino in fondo nell'esperienza del dono di sé ad un'umanità ottusa e ostile. Nella prospettiva di Dio, questo non è sadismo, ma amore gratuito e fedele, che risponde all'odio con l'amore, alla vendetta con il perdono.
    Il terzo e decisivo elemento di risposta del Padre alle inquietudini del Figlio è contenuto nell'aspetto più propriamente teofanico della scena. Il monte, la nube, la voce: tutto ciò ricorda e attualizza la manifestazione di Dio davanti a Mosè sul Sinai (Es 19,16-19 e 33,18-23). Ma questa volta è l'uomo e non Dio che è rivestito di splendore (v. 3); è il nome dell'uomo e non quello di Dio che viene proclamato (v. 7: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo"). Siamo di fronte ad un altro paradosso: nel momento in cui la grandezza e la gloria di Dio si manifestano in tutto il loro splendore, nel momento in cui l'umanità ordinaria dei discepoli appare in tutta la sua piccolezza e meschinità, scompare ogni differenza tra Dio e l'umanità pienamente realizzata: la trasfigurazione è così l'anticipo e la profezia della risurrezione. Allora l'essere di Gesù sarà la piena unità di Dio e uomo; l'infinitamente grande coinciderà con l'infinitamente piccolo. Allora, nessuno sarà più "individuo", cioè una parte separata dal tutto; ma "Dio sarà tutto in tutti". Il teologo Karl Barth chiamava questa condizione futura e definitiva "l'umanità di Dio": Gesù risorto è la trasfigurazione e la glorificazione dell'umanità, che Dio ha finalmente reso capace di comunione.
    La vita cristiana viene così ad essere un cammino di perfezionamento continuo, sorretto dalla forza dell'amore gratuito e fedele: un cammino che l'uomo non ha il potere di fare, se Dio non lo compie con lui. Un cammino, che nel momento presente è all'insegna del fallimento, dell'amarezza e dell'ostilità; ma un cammino che, attraverso l'abbassamento e l'annullamento totale di sè sulla croce, sfocia nella piena comunione di Dio con gli uomini. Come dicevano i Padri Cappadoci (Basilio, Gregorio di Mopsuestia e Gregorio di Nazianzio) nel IV secolo: quando Dio si umanizza, l'uomo si divinizza. E' esagerato dire che nella trasfigurazione raccontata da Marco c'è l'annuncio del grande paradosso cristiano, che è scandalo per la fede e stoltezza per la ragione (1Cor 1, 22-25): nella croce di Gesù Dio muore, perché tutta l'umanità rinasca nuova e definitivamente trasformata nella risurrezione?


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