Confidenza - Mt 10,28-33

Paolo Boschini


   "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28). Nel vangelo di Matteo l'invito a non avere paura ricorre complessivamente 9 volte (11, se si considera anche il "non preoccupatevi"), di cui 3 in questa pericope, tratta dal discorso missionario di Gesù (Mt 10,26-32). Scorrendo il racconto matteano, incontriamo il "non temere" all'inizio, rivolto dall'angelo a Giuseppe (Mt 1,20), e alla fine, quando prima l'angelo e poi Gesù risorto, apostrofano con questa parola le donne che erano andate al sepolcro di buon mattino (Mt 28,5.10). Per questo, possiamo con ragione definire Matteo come il vangelo del non-temere. Se guardiamo poi agli altri contesti in cui questa espressione ritorna, scopriamo che essa è pronunciata per una comunità dubbiosa e incredula: sia quando Gesù calma la tempesta (Mt 8,26), sia quando cammina sulle acque incontro ai discepoli (14,27), questa parola è associata all'accusa di Gesù contro la poca fede dei suoi. Evidentemente, le tribolazioni che la chiesa matteana incontrava a causa della sua azione missionaria, la esponevano al pericolo della defezione o del raffreddamento della fede.
    Di fronte a ciò, l'evangelista cita anzitutto come esempio Giuseppe, lo sposo di Maria (Mt 1,18-25; 2,13-15; 2,19-23), l'uomo giusto alla cui cura è affidata da Dio l'infanzia del Messia. La sua chiamata ricorda quella di Isaia (Is 6,1-8 - dove compaono gli angeli di Dio) e di Geremia (Ger 1,4-10 - dove il Signore invita il giovane profeta a non temere). Non è un caso che proprio questi due profeti abbiano un posto particolare nel vangelo di Matteo: Isaia, che è continuamente citato come la parola della promessa che ora finalmente si realizza ("perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia..." - Mt 1,22; 12,17; 13,14, ecc.); Geremia, che compare nella professione di fede di Pietro, come antesignano del Cristo insieme al Battista e a Elia (Mt 16,14). A Giuseppe, come ai due grandi profeti dell'Antico Testamento, Dio chiede di rovesciare la sua vita, rinunciando totalmente ai propri schemi, annullando i propri progetti. Dietro al non-temere c'è la chiamata di Dio alla docilità del cuore, all'obbedienza incondizionata nei confronti della sua Parola.
    Poi, Matteo ci addita le donne, le uniche tra i discepoli di Gesù che sono rimaste con lui fino all'ultimo sotto la croce: la loro fedeltà diventa partecipazione al mistero della salvezza e quindi testimonianza davanti ai fratelli. Come suoi testimoni (in greco: martiri) Dio non sceglie i forti, ma i deboli, perché come ci ha appena detto l'apostolo Paolo "chi si vanta, si vanti nel Signore" (2Cor 10,17). Giuseppe, Geremia, le donne, ... Lucia: ecco i testimoni di Cristo. Nessuno di loro si segnala per particolari caratteristiche di intelligenza, di altruismo o di coraggio. Sono stati investiti dall'amore del Signore, si sono sentiti cercati e amati e per questo hanno detto sì, disprezzando la loro vita, fino a metterla a servizio dell'annuncio del regno di Dio. Certo, il loro atteggiamento è molto diverso da quello di chi oggi si butta via: i giovani che scherzano con la morte ogni fine settimana manifestano con ciò tutta la loro paura di vivere e guardare in faccia un fututo pieno di incognite insidiose. I testimoni di Cristo invece mettono la loro vita a disposizione di Dio perché sanno che essa non appartiene a loro, ma l'hanno ricevuta in dono gratuitamente (Mt 10,9). E se la mettono nelle mani del Padre è perché sono testimoni della risurrezione di Cristo, che per primo si è affidato totalmente a Dio sulla croce e ha ricevuto trasformata la vita di cui si era volontariamente privato in spirito di obbedienza al Padre e di amore ai fratelli.
    Ma che senso ha questo non-temere per noi che, a differenza dei cristiani di Timor est, del Rwanda e delle altre nazioni intorno ai grandi laghi africani, dello Sri Lanka o dell'America latina, non subiamo la persecuzione? Non preoccupatevi, come i pagani, del cibo e del vestito; vivete nella povertà, aspettando da Dio ciò di cui avete bisogno. Cercate con tutto voi stessi il Regno di Dio, obbedite alla sua Parola, come Giuseppe il giusto (Mt 6,25-34). C'è un martirio nella quotidianità, che è vivere lo spirito delle beatitudini, facendosi poveri davanti a Dio (Mt 5,3) e facendosi piccoli con i piccoli (Mt 18,4-5; 25,35-40). Anche qui è in gioco la nostra fede nel Signore morto e risorto: "due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia... Non abbiate timore: voi valete più di molti passeri!" (Mt 10, 29-30). Il nostro martirio consiste oggi nel non aver paura di perdere la nostra vita per Gesù e per il vangelo, perché questa è la condizione per ritrovarla (Mt 16,24-26) pienamente trasformata a immagine di quella di Cristo (17,6-7). E' in gioco la nostra fede, proprio come aveva profetizzato Isaia a Gerusalemme assediata: "Non temere e il tuo cuore non si abbatta ... Ma se non crederete, non avrete stabilità" (Is 6,4.9).
    La chiesa dei martiri ci interroga quindi sul fondamento della nostra vita e della nostra comunità: siamo una casa costruita sulla roccia della Parola di Dio, accolta, creduta e vissuta; oppure, la nostra è una casa fragile, fondata sull'uomo e sulle sue piccolezze, che non resiste al primo vento di bufera?


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