Contraddizione - Lc
2,22-40
Paolo Boschini
Nei primi due capitoli del suo
vangelo, Luca ci propone continuamente il tema del segno: Elisabetta vecchia e sterile è
un segno per Maria, che ha appena ricevuto la sua vocazione dall'angelo (Lc 1,36); il
bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia è il segno per i pastori (Lc 2,12).
Simeone annuncia a Maria che Gesù è "segno di contraddizione" (v. 34). Questa
volta il segno non è offerto da Dio a qualcuno in particolare, ma si tratta di un segno
per tutti. Inoltre, non si tratta semplicemente di un segno che indica la volontà di Dio,
ma è esso stesso un segno che agisce al modo di Dio: Gesù, il segno, è Dio stesso,
perché da lui "vengono svelati i pensieri dei cuori". Di solito, i segni
rimandano ad un'altra realtà, che rimane misteriosa e che essi in qualche modo
manifestano; ma questo segno di Gesù che svela il cuore rimanda a se stesso: dice
che la salvezza oggi si è compiuta, come proclama lo stesso Simeone (v. 30),
riecheggiando non a caso proprio quella pagina del profeta Isaia, in cui il Signore
annuncia la consolazione di Gerusalemme e invita il suo popolo a preparare la via del
Signore (Is 40,1-5).
Luca vuole predisporre così i suoi ascoltatori alla grande rivelazione
di Gesù, che si compie nella sinagoga di Nazaret, quando egli annuncia che in lui
s'inaugura il giubileo di Dio, il tempo dello piena abitazione dello Spirito nei cuori
umani, l'epoca della libertà per gli schiavi, della luce per i ciechi e della gioia per i
poveri (Lc 4,18-21). Nel brano della presentazione al tempio ritornano gli stessi temi: lo
Spirito di Dio possiede il cuore umano e lo guida a riconoscere la venuta del Messia (vv.
26-27); la luce di Dio viene a illuminare tutti i popoli, perché Dio ha deciso di usare
misericordia a tutti i peccatori (v. 32); inizia l'era della risurrezione, cioè della
definitiva e ininterrotta comunione di vita tra Dio e gli uomini (vv. 34 e 38). Viceversa,
nell'episodio del discorso inaugurale a Nazaret, comprendiamo che cosa voglia dire
"di contraddizione": i cuori dei compaesani di Gesù sono confusi e increduli,
incapaci di andare oltre la pura evidenza umana (vv. 22), fino a riempirsi di sdegno
contro di lui (vv. 28-29). Davanti a Gesù non è possibile la neutralità, non esiste il
"nì", ma solo il "sì" o il "no". Perché - come scrive
l'apostolo Paolo, il maestro di Luca - in Gesù il parlare di Dio ha perduto ogni
ambiguità, "tutte le promesse di Dio in lui sono divenute sì" (2Cor 1,20).
Gesù è il segno della benevolenza e della misericordia di Dio per i
peccatori, un segno inquietante per i benpensanti. E' il caso di Simone, il fariseo, che
si scandalizza di Gesù che si lascia lavare con le lacrime del pentimento e asciugare i
piedi da una donna di dubbia reputazione (Lc 7,36-39); lo stesso fanno gli scribi e i
farisei in blocco, quando Gesù sta a predicare seduto in mezzo ai pubblicani e ai
peccatori e diventa perfino loro compagno di tavola (Lc 15,1-2). Tanto che questi arrivano
a domandargli con arroganza intimidatoria "con quale autorità fai queste cose o chi
ti ha dato quest'autorità?" (Lc 20,2). Gli avversari di Gesù pretenderebbero da lui
un segno ulteriore che comprovi con evidenza assoluta la sua investitura divina. A loro
non basta vedere quello che vedono e udire quello che odono. Vorrebbero un segno che
consenta di restare sul proprio piedistallo, attaccati alle proprie sicurezze: questo
segno non lo cercano dal Dio che "rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili,
ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote" (Lc 1,52-53); lo
vorrebbero da un idolo accomodante, che corrisponda appieno alle loro logiche fin troppo
umane. E quindi il loro domandare resta senza risposta.
Ben diverso è in Luca l'atteggiamento di Giovanni Battista nei
confronti di Gesù (Lc 7,18-19). Il precursore è in carcere e s'interroga angosciosamente
sul futuro della sua vita e della sua missione: forse il suo compito volge al termine. Ha
sentito parlare di Gesù, che si è autoproclamato messia di Dio. Ma i conti non gli
tornano: Giovanni aveva predicato un messia che tiene in mano il ventilabro e separa il
grano dalla pula (Lc 3,17); ora invece Gesù si mescola con i peccatori e i pagani e
annuncia senza mezzi termini che il perdono di Dio precede e rende possibile ogni
conversione (Lc 15,4-5). Giovanni è un uomo di Dio e perciò non è schiavo dei propri
schemi; sospende il proprio giudizio sulla messianicità di Gesù e gli manda
un'ambasciata. Per tutta risposta, Gesù non si nega a colui che sta cercando di capire
chi egli sia e subito offre agli inviati di Giovanni il segno che essi gli avevano
chiesto: prima guarisce gli ammalati che ha intorno in quel momento, poi con la parola
della Bibbia (vari passi tratti da Isaia: 26,19; 29,18; 35,5-6; 61,1) offre
l'interpretazione di quello che è appena accaduto. E conclude con una beatitudine che
rimanda alle parole di Simeone: "beato è chiunque non sarà scandalizzato di
me" (Lc 7,23). Qui è esplicito il riferimento alle ore della passione di Gesù, al
tradimento di Giuda (Lc 22,3-6) e al rinnegamento di Pietro (Lc 22,56-62), ma anche alla
fedeltà delle donne che restano al fianco di Gesù fino all'ultimo (Lc 24,28-29.49.55-56)
e sono per questo le prime testimoni della sua risurrezione (Lc 24,1-10; Lc è
l'evangelista che dà maggiore risalto al ruolo delle donne la mattina di pasqua).
Evidentemente, la comunità dei discepoli non è immune dal pericolo di abiurare il suo
Signore, o trasformare il vangelo in una dottrina legalistica e intransigente come quella
dei farisei, oppure ancora di abbandonare il suo atteggiamento di ricerca e di ascolto e
di assumere una fede di comodo. Ad essa l'evangelista indica due esempi di poveri davanti
a Dio: il Battista incarcerato e le donne dell'ottavo giorno; chi si fa piccolo come loro,
non sarà confuso, ma diventa capace di riconoscere in Gesù il Messia promesso.
L'evangelista Luca distingue allora due tipi di segno: quello offerto
da Dio e quello preteso dall'uomo. A differenza di quello che dice Marco (Mc 8,12), Dio
accontenta la richiesta di un segno (Lc 11,29-32): ma offre un segno misterioso e
paradossale, che può essere interpretato solo lasciandosi guidare dalla Parola di Dio
accolta con fede; per comprendere i segni di Dio, l'uomo deve rinunciare alla sua
razionalità rigidamente programmatrice e aprirsi alla sapienza di Dio. Questo infatti è
il segno che scandalizza chi resta prigioniero delle logiche umane: la sapienza eterna e
indefettibile di Dio parla attraverso il figlio del falegname, sin da quando - appena
dodicenne - egli si fermò tra i dottori del tempio a Gerusalemme, ad ascoltarli e
interrogarli (Lc 2,46-49). Forse anche Luca fiuta per se stesso o per qualche altro
"intellettuale" della sua comunità il pericolo di essere un dottore della legge
e invita sé e noi a spalancare il cuore all'ascolto di questa sapienza, come fece la
regina di Saba con Salomone (Lc 11,31) e a lasciarsi scuotere dagli interrogativi (Lc
2,46) che Gesù pone con radicalità assoluta.
Sì, perché in nessun altro vangelo Gesù pone tante domande così
fondamentali ai suoi intelocutori. Eccone una lista sommaria, tanto per farsene un'idea:
su chi è lui per noi (Lc 9,20); sull'origine della sua autorità liberatrice (Lc
11,18-19); sulla gratuità del nostro servizio alla causa del Regno di Dio e ai fratelli
(Lc 17,7-9); sulla nostra capacità di riconoscenza a Dio (Lc 17,17-18); sulla nostra
disponibilità alla preghiera (Lc 22,46); sulla nostra capacità di ascolto e di
comprensione della Parola di Dio (Lc 24,26); sul valore delle opere della fede (Lc
5,33-6,11); sulla nostra effettiva disponibilità alla conversione (Lc 13,2-5) e a viverla
fino in fondo (Lc 14,28); sulla coerenza (Lc 6,43-46), sulla superficialità (Lc 10,15),
sull'ipocrisia (Lc 11,40-41) o addirittura sulla consistenza della nostra fede (Lc 8,25;
18,8; 24,38); sul nostro rapporto con la ricchezza e i desideri che essa innesca (Lc
12,14.20.28; 16,11) e quindi sulla nostra fiducia nella provvidenza di Dio (Lc 22,35); su
qual è il cuore della legge di Dio (Lc 10,26); sull'atteggiamento giusto nei confronti
degli altri (Lc 6,36-42); sul rapporto con il potere politico (Lc 20,22); sullo spessore
della nostra speranza e del nostro discernimento (Lc 12,56).
Tutte queste domande sono rivolte alla comunità dei credenti in Gesù,
cioè a noi! E ognuna di queste ha il compito precipuo di risvegliare i discepoli
intorpidi dalla vita del mondo, dal suo fascino e dai suoi adescamenti (Lc 12,42-48); e di
richiamarli ad una fedeltà totale, vissuta senza accomodamenti né compromessi alle
parole del Maestro (Lc 9,57-62).
Anche noi oggi ci sentiamo molto inquietati da questo Gesù che non ha
un posto dove posare il capo, quando noi abbiamo case stipate di ogni comodità; che
chiede di condividere ogni bene - anche il tempo! - con i poveri, quando noi siamo sempre
più attaccati a noi stessi e alle nostre cose; che chiede il coraggio di una scelta
definiva per il vangelo, quando noi stiamo provando a cancellare dal nostro vocabolario il
"per sempre". C'è un'altra strada di salvezza? Credete davvero che le religioni
neo-pagane, o il sincretismo new-age, o la moda delle religioni orientali, o più
semplicemente l'idolatria del dio denaro riescano davvero ad appagare il nostro
inestinguibile bisogno di relazione con Dio? Credete che possiamo stare ancora a lungo
nella nostra posizione di "cristiani a mezza via", senza che la nostra vita, i
nostri affetti e persino le nostre cose siano spazzati via dalla rivoluzione silenziosa ma
inarrestabile del consumismo?
"Il tempo ormai si è fatto breve" (1Cor 7,29), non nel senso
che la fine del mondo sia alle porte. Piuttosto, l'ora della scelta pro o contro Gesù è
sempre più vicina e la decisione non può essere rinviata all'infinito, perché di fronte
a Gesù la non-scelta è sempre rifiuto: vi ricordate il notabile ricco (Lc 18,18-23)?
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