Festa - Mt 22,1-14

P
aolo Boschini


    Questa parabola di Matteo sarebbe una bellissima pagina piena di luce e di speranza per tutti coloro che si accostano alla fede, per la prima volta o dopo anni di lontananza, se non ci fosse quel terribile finale: perché quell'uomo, l'unico, non ha indossato la veste bianca? e come poteva se, come si intuisce dal complesso del racconto, si trattavo di un povero che non possdeva certo l'abito della festa. Il gesto del re di escluderlo dal banchetto sembra davvero crudele e arbitrario e risveglia in noi l'immagine severa di un Dio giustiziere implacabile, che speravamo di avere dimenticato. Ma...
    Ma ci sono anche qui degli interventi redazionali dell'evangelista, che hanno trasformato il senso originario delle parole di Gesù. Inizialmente, le parabole erano due, con la stessa ambientazione - il banchetto - ma con un significato ben diverso. La prima, quella dell'invito rifiutato, è comprensibile nel contesto della polemica tra Gesù e i capi religiosi del popolo ebraico, diventata rovente dopo l'ingresso trionfale di Gesù, accamato messia, in Gerusalemme. Il messaggio è semplice: a fronte del rifiuto da parte dei pastori (i notabili del racconto), Dio sta per costituirsi un nuovo popolo, fatto di quella povera gente che ha accolto Gesù nella città santa, dopo averlo accompagnato e ascoltato per le strade della Palestina; un popolo totalmente dedito a Dio e perciò pronto a rispondere agli inviti dei profeti e a lasciarsi radunare dalla sua parola. Loro sono le pecore perdute della casa d'Israele a cui Gesù ha inviato i suoi messaggeri, per annuciare la venuta del Regno di Dio e chiamarle a raccolta (Mt 10). Loro sono i "buoni e i cattivi", i "giusti e gli ingiusti" su cui il Padre Creatore fa scendere abbondante la pioggia che feconda la terra e fa splendere il sole che la fa germogliare. Per loro, Dio ha preparato il banchetto annunciato da Isaia (cap. 25), nell'attesa che i servi inviati in tutto il mondo raccolgano tutti quelli che troveranno disponibili, fino a riempire la sala. E quando entrerà il padrone di casa, non potrà fare altro che compiacersi della gran quantità di persone che hanno accettato il suo invito.
    Poi c'è l'altra parabola, a cui forse Matteo ha amputato l'inizio. Anche qui, siamo ad una festa di nozze, ma l'accento cade sulla ricchezza del padrone, che oltre alla tavola imbandita provvede anche a regalare ai suoi invitati il vestito per partecipare al banchetto. Non importa se quest'uso poteva o meno essere in vigore ai tempi di Gesù in Palestina o presso i popoli vicini: qui il messaggio ruota tutto intorno all'ineguagliabile grandezza d'animo di colui che fa la festa. Per cui, non indossare la veste bianca, pur avendola ricevuta in dono, è un'inequivocabile segno di trascuratezza e di menefreghismo: colui che viene trovato senza, fa la figura di quello che è entrato alla festa solo per mangiare a sbafo, ma non gli interessa niente né di chi lo ha invitato, né delle persone che sono con lui, né del motivo della festa. In questo senso, l'ira del padrone è più che giustificata: per lui non c'è perdono, non gli viene data nessuna possibilità di rifarsi, perché ha commesso l'unico peccato che non può essere perdonato, quello contro lo Spirito Santo, vale a dire non ha proprio voluto il dono che gli è stato fatto; lo ha rifiutato sdegnato; e allora è giusto che lo sdegno gli si ritorca contro. "Attenzione quindi - sembra dire Gesù - a voi che mi seguite e soprattutto a voi che non volete riconscermi come l'inviato di Dio, nonostante tutti i segni e le parole potenti compiuti in mezzo a voi. Attenzione, perché se non accogliete il dono di salvezza che Dio vi sta facendo attraverso di me, finirete proprio così. Fate presto. Il giorno del giudizio è imminente!": come tutte le parabole di Matteo che parlano degli ultimi giorni e del giudizio finale da parte di Dio, sono avvertimenti minacciosi per indurre alla conversione anche i più recalcitranti, non profezie di un'ineluttabile catastrofe che sta per abbattersi sui malvagi.
    Dio non smette di essere misericordioso: come un buon papà sa usare i toni della tenerezza, ma anche quelli della severità; sa aspettare con pazienza, ma nondimeno è deciso nel riprendere il figlio che si sta allontanando e perdendo. La fusione delle due parabole operata da Matteo serve a lanciare agli ascoltatori un messaggio chiaro e provocatorio: che ne è della veste bianca, cioè del dono della fede ricevuto in modo indelebile il giorno del battesimo? Siamo così pigri e tarscurati che ci accontentiamo dell'invito ad essere parte della chiesa, ma poi non mettiamo a frutto il dono di comunione con Dio e con i fratelli che ci è stato fatto quando siamo diventati nuove creature? Possibile che il nostro cuore sia ritornato ad essere così duro ed ingrato? Come facciamo a dirci cristiani, senza sentire una profonda dissonanza in noi tra il dire e il fare? Prima che la nostra noncurante superficialità ci esponga al giudizio di Dio, abbiamo l'occasione per smettere di essere cristiani a parole e di diventarlo con i fatti: "Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà di Dio" (Mt 7).


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