Il problema da cui si muove Matteo non è molto
diverso da una situazione che si ripete sovente anche nelle nostre comunità: siamo di
fatto divisi in due tronconi. Alcuni di noi sono cristiani di vecchia data e di forti
tradizioni; altri si sono aggiunti da poco alla chiesa e conservano con molta
tranquillità anche comportamenti che ai più tradizionalisti suonano sbagliati e
offensivi. Così capita spesso anche a noi che ci siano malintesi anche gravi e che si
produca una tensione talvolta insopportabile, causata da un diverso modo di intendere e
costruire il rapporto tra il vangelo e la vita.
"Se un tuo fratello commette una colpa...". L'evangelista non
intende un peccato evidente, che tutti riconoscono come tale; è piuttosto un
comportamento che risulta offensivo ai miei occhi e che, come me, può disturbare o
addirittura scandalizzare (Mt 18,6) un altro fratello. Tant'è che raccomanda il dialogo a
quattro o più occhi con il diretto interessato, perché egli s'avveda che continuando
così ferisce qualche membro della sua comunità e rende più difficile il già faticoso
cammino della comunione. Non si tratta di riprendere o di giudicare, ma di aiutare
qualcuno ad aprire gli occhi e valutare con maggiore attenzione critica la propria vita di
fede. Possiamo pensare che il contenzioso riguardasse l'osservanza della legge mosaica,
l'interpretazione delle parole di Gesù, l'identificazione del sottilissimo confine tra
fede e idolatria e tra libertà di coscienza e norma morale.
Matteo riporta le parole di Gesù come se fossero un comando assoluto
(ci sono 5 verbi all'imperativo in 3 versetti!). Ma poi lascia capire, attraverso quella
procedura macchinosa del "uno, poi due o tre, poi tutti", che la ricerca della
comunione è lunga e faticosa e richiede un grande dispendio di energie. Tutto ciò allo
scopo non di costruire un'unanimità ideologica - cosa che non c'è tra gli stessi
apostoli e evangelisti della prima chiesa cristiana; ma al fine di trovare un'unità di
fede e di idealità pratica, che superi ogni differenza e divisione. Matteo evita di
proposito ogni riferimento alla strada del compromesso e della diplomazia, perché per i
discepoli di Gesù la verità non sta mai nel mezzo, ma sempre oltre i contendenti.
Tant'è che essa si concretizza nella ricerca comune di Dio, ovvero nella preghiera
unanime nel suo nome. Qui sentiamo l'eco dell'esperienza della comunità di Gerusalemme
(At 4,32).
Alla fine, non è importante stabilire chi ha più ragione, né se il
vangelo va interpretato seguendo la lettera, la tradizione o la coscienza personale:
questi principi sono tutti e tre indispensabili e solo nell'insieme della comunità
cristiana possono interagire fecondamente. Ciò che importa ancora una volta è "il
Regno di Dio e la sua giustizia", cioè che ogni membro della chiesa sia totalmente
proteso alla ricerca della volontà di Dio, nella consapevolezza che essa non è stata mai
interamente compresa e realizzata. Solo quando ci si mette tutti in questa condizione di
apertura e di ricerca, diventa possibile cogliere la presenza di Dio e vivere nella
prospettiva luminosa del suo amore.
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