Chiesa - Gv 6,1-15

Paolo Boschini


      L'evangelista Giovanni racconta questo avvenimento della suddivisione dei pani una sola volta e lo riferisce a tutto il popolo di Dio, mentre Marco e Matteo lo raccontano 2 volte, riferendolo prima a quella parte del popolo di Dio che viene dall'ebraismo (Mc 6, 33-44; Mt 14,13-21: 12 ceste avanzate) e poi a quell'altra parte che viene dal paganesimo (Mc 8, 1-10; Mt 15,32-39: 7 ceste avanzate). Giovanni non divide il popolo di Dio in due, perché pensa che comunque la fede in Gesù costituisca per tutti, ex-ebrei ed ex-cristiani, un nuovo inizio della vita, un vero e proprio "rinascere dall'alto", che si compie nell'acqua del battesimo per l'azione dello Spirito (Gv 3,3-8). Da questo punto di vista, il problema di Giovanni è invece: come è possibile tenere unito il popolo di Dio? come si fa a impedire che le pecore vadano disperse (Gv 10, 11-18;  Gv 17,12 e 21)? Nella comunità di Giovanni, come nella nostra, non c'è un problema di divisione, ma un problema di fedeltà: ognuno segue le proprie aspirazioni personali e cerca di realizzare i propri progetti di vita e a causa di questo individualismo si fa moltissima fatica a camminare insieme.
    Questo racconto contiene non solo la denuncia del problema, ma anche un'indicazione concreta per la sua soluzione:
"E quando furono saziati, disse ai discepoli: Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (v. 12). Il verbo "raccogliere" ci avverte che qui siamo al vertice del racconto giovanneo e ci dice anche in quale direzione va cercata la soluzione al nostro individualismo. Dopo la risurrezione di Lazzaro, decretando la sua morte, il sommo sacerdote "profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,51-52).
    Se è andata persa la grazia del battesimo e se ciascuno vive la fede a proprio modo e fa l'eucaristia per proprio conto, bisogna ripartire da Gesù e dalla sua croce. Nell'eucaristia siamo chiamati a rivivere la pasqua (il battesimo) della nostra vita e riceviamo lo Spirito perché possiamo vivere ogni istante con uno stile pasquale.
    A ciò si riferiscono le annotazioni con cui Giovanni introduce il racconto, a cominciare dal v. 4: "Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei". Hanno un forte significato pasquale anche le frasi che si riferiscono alla traversata del mare (v. 1 - cf. Es 14,22 e 29-30); alla salita di Gesù su una montagna (v. 3 - l'unica altra montagna dove, secondo Gv, Gesù salirà è il Golgota: 19,17); al mettersi a sedere con i discepoli (v. 3 - azione che si ripete solo durante l'ultima cena-lavanda dei piedi: Gv 13,12). In questo senso, vivere la pasqua significa lasciare che il Signore ci decentri e tracci lui le strade sulle quali camminare.
    Ancora della pasqua di Gesù parlano la menzione alla grande folla che segue Gesù "vedendo i segni che faceva sugli infermi" (v. 2 - la stessa scena si ripeterà a Betania, in occasione della morte di Lazzaro, dopo di che il sinedrio deciderà la sorte di Gesù - Gv 11,45-46); e poi il riferimento a Filippo e Andrea (vv. 5 e 8), che nel vangelo di Giovanni compariranno nuovamente insieme quando si compie l'ora di Gesù, perché alcuni greci si accostano ai due discepoli e domandano di poterlo vedere (Gv 12,20-28 - il verbo "vedere" accompagna tutti i racconti pasquali delle apparizioni del risorto e del sepolcro vuoto: Gv 20,10; 20,14; 20,20; 20,25-29). Una vita pasquale nasce dalla ricerca di Dio: è fame e sete di lui (come la samaritana - Gv 4,15).
    Da ultimo, si riferisce alla pasqua di Gesù il tema della prova, a cui Gesù sottopone i suoi discepoli, ordinando loro di sfamare tutta la gente lì riunita (v. 6): è la prova accompagna l'ora della croce (Gv 13, 21-38). Né Giuda, né Pietro, né gli altri 9, ma solo il discepolo prediletto riuscirà a resistere allo scandalo per l'arresto e la condanna del loro Maestro (Gv 19,26-27): lui che si è chinato sul petto di Gesù, lui il cui cuore batte in sintonia con quello del Signore (Gv 13,25). Giovanni tiene a precisare che la prova non è una tecnica per verificare l'attenzione o la disponibilità dei discepoli: risponde a un progetto che Gesù ha ben chiaro in mente: un progetto che non è suo, ma del Padre.  Il progetto di fare della sua vita lo stesso che i pani e i pesci:  essere un grande ringraziamento vivente al Padre (Gv 11,41-42; 17,1-5); diventare come il chicco di grano caduto in terra, che fa frutto solo se muore (Gv 12,24); donarsi ai fratelli finché essi vogliono, cioè fino in fondo, senza misura. Questo vale per Gesù come per noi: "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna" (Gv 12,25). Solo chi vive così può presentarsi davanti al Padre e riconsegnare a lui la propria vita nell'ora suprema, dicendo: "Tutto è compiuto" (Gv 19,30).
   Disponibilità, desiderio di Dio, gratuità: questo è il contenuto pasquale del gesto di accoglienza e di condivisione che Gesù compie per tutti coloro che lo cercano; questo è il contenuto decisamente anti-individualista e rivoluzionario delle nostre eucaristie, in cui rivive la morte e la risurrezione del Signore. E' davvero così? Siamo sinceri: sembra un sogno, lontano anni luce dalla realtà. Perché allora tante volte l'eucaristia non ci converte, facendoci finalmente diventare così? Perché le nostre celebrazioni invece di sconfiggere il nostro individualismo, lo evidenziano e lo esasperano?
    Anzitutto, perché nell'eucaristia bisogna metterci tutto quello che abbiamo, anche se è poco, come fa quel ragazzo che Andrea conduce da Gesù (v. 9): la nostra preghiera e la nostra fede; la nostra voglia di ascoltare e di parlare; la disponibilità ad accogliere il Signore e i fratelli. Così è possibile che dall'eucaristia ricominciamo a vivere e a lottare contro l'individualismo che ci sta uccidendo tutti a poco a poco.
    A questo punto abbiamo capito che, per l'evangelista Giovanni, ripartire dall'eucaristia e dalla vita di Gesù che è tutt'uno con essa, non significa compiere meglio un rito, o darsi motivazioni più convincenti per ottemperare a un obbligo, o trovare qualche escamotage per sbrigare più rapidamente o più piacevolmente una noiosa pratica. Ripartire dall'eucaristia significa invece:

"si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto"
(Gv 13,4-5).

    Le nostre eucaristie sono morte, perché non corrispondono ad una vita di servizio ai fratelli, specialmente a quelli più poveri; le nostre eucaristie sono formali e ripetitive, perché sono lo specchio della nostra vita. Le nostre eucaristie diventeranno la pasqua di Gesù, quando anche noi - come lui - ci alzeremo in piedi e rifiuteremo la vita comoda, ricca e tranquilla come valore supremo dell'esistenza e ci svestiremo non solo dei nostri abiti firmati, ma delle chiusure e dei pregiudizi che essi quotidianamente rivestono. Ma soprattutto, ci è chiesto di abbassarci, di metterci nella posizione dello schiavo, di farci poveri con i poveri, esclusi con gli esclusi, di vivere "per servire e non per essere serviti" (Mt 20,28).
    Così l'eucaristia cambierà davvero la nostra vita personale e trasformerà la nostra comunità, rendendola simile a quella di Gesù, che è poi quella dell'esodo dall'Egitto: una grande famiglia, che si riunisce non in base a legami di simpatia o di utilità, ma per consumare insieme il pane della Parola e quello dell'Eucaristia, per mangiare con sempre maggiore disponibilità anche il pane dei Poveri.
    E' un sogno ad occhi aperti? Sì, senz'altro. Ma come ci testimonia la chiesa brasiliana, sognare cambia davvero la vita, perché ti fa sperare che sicuramente domani sarà meglio di oggi; e tu sai che sarà così, perchè sperando già oggi è meglio di ieri.


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