Regno - Mt 13,44-52
Paolo Boschini
Siamo alla conclusione del terzo
dei cinque discorsi su cui si articola il vangelo di Matteo, proprio al centro
dell'impianto narrativo del suo annuncio di fede: quindi le cose che l'evangelista sta per
dirci sono per lui di primaria importanza. In tutte le parabole di questo cap. 13, il
Regno dei cieli viene sempre paragonato ad un'azione (seminare, lievitare, crescere,
raccogliere). Quindi, per capire anche il testo di oggi, dovremo prestare molta attenzione
ai verbi.
La prima parabola, quella del tesoro nascosto, ruota intorno a trovare
e riempirsi di gioia.Non è difficile immaginare i divertiti commenti degli ascoltatori
più scettici di Gesù: "e chi è quel fortunato? non si è mai sentito che uno,
arando il campo del vicino, abbia dissotterrato un forziere pieno d'oro"; "e chi
è quel matto, che aveva nascosto le sue ricchezze in mezzo a un campo?". Ancora una
volta, l'immagine che Gesù usa è familiare, però parla di una cosa mai successa, fuori
dall'ordinarietà della nostra vita. Non è importante sapere che cosa c'è dentro il
forziere, o chi lo ha nascosto: conta che è sotto terra, come quel seme di cui Gesù ha
appena parlato, che è caduto nella terra fertile. Non conta neppure come è stato
trovato, ma il risultato che questo rinvenimento ha prodotto: una gioia tanto grande, da
relativizzare tutto quello che già si posside. Queste sottolineature presenti nel
racconto evocano negli ascoltatori una semplice associazione di idee: il tesoro è la
Parola, accolta con gioia e riconoscenza come dono di Dio e della sua sapienza. A cui fa
seguito un'altrettanto semplice, ma importantissima constatazione: quante volte abbiamo
già ascoltato Gesù, senza accorgerci di essere in prossimità dell'unico tesoro che può
riempire di felicità vera la nostra vita!.
Segue nella redazione matteana la parabola della perla. Essa non è
trovata per caso (in realtà, per dono) come invece il tesoro: è il risultato insperato
di una meticolosa e sistematica ricerca, espressa dalla coppia cercare e trovare.
Anche qui, la metafora di Gesù parla di una cosa troppo insolita e improbabile, per
sembrare vera. Eppure, ai discepoli che sulla montagna avevano già ascoltato il primo
discorso di Gesù, essa faceva certamente venire in mente quel "cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto, perché a chi chiede il Padre darà cose buone, come del resto
fate anche voi con i vostri figli, anzi molto ma molto di più". Cercare e trovare
sono i verbi della preghiera fiduciosa, con la quale i discepoli si consegnano al Dio di
Gesù. E il mercante che cerca e cerca finché non trova è la risposta alla domanda:
"quando e quanto dobbiamo pregare, per essere nella linea del Regno di Dio?".
Sempre. Solo chi prega con fedeltà è nel Regno di Dio e può cogliere quanto è preziosa
la sua condizione di figlio del Padre. Chi invece prega in maniera discontinua, solo
quanto ne ha voglia o è nella necessità, passerà mille volte davanti al banco del
mercato, ma non riuscirà a riconoscere l'autenticità e il valore di quel gioiello.
Anche l'ultima parabola, con cui si chiude l'intero capitolo non doveva
risultare del tutto convincente agli ascoltatori. Gesù la costruisce intorno ad altri due
verbi, che poi Matteo metterà alla base della sua teologia: raccogliere e
riempire. Il primo indica l'essere stesso del popolo di Dio, radunato in
assemblea per ascoltare la Parola (il tesoro!) e per lodare il Signore (la perla!). Il
secondo esprime invece la missione di Gesù, che non è "venuto per abolire le
promesse fatte da Dio a Israele, ma per dare ad esse piena realizzazione". La
parabola evoca così due segni che i discepoli avevano ben chiari davanti ai loro occhi:
la condivisione dei pani e dei pesci, che si concluse con l'ordine di Gesù di raccogliere
i pezzi avanzati (12 sporte piene, espressione del nuovo popolo di Dio, quello definitivo,
che si raduna nella chiesa); la pesca miracolosa, in cui la rete si riempì di pesci senza
spezzarsi. Anche in questo caso, non è difficile immaginare i commenti dei tanti
pescatori assiepati sulla riva: "è ben raro che le nostre reti a strascico si
riempiano, ma che non si spezzino è davvero impossibile". La rete di cui parla Gesù
ha maglie resistenti, perché sono state tessute da Dio. Anche l'azione del gettare la
rete in mare è opera di Dio (Gesù lo fa capire usando un verbo al passivo senza il
complemento d'agente - in linguaggio tecnico, questo modo allusivo di esprimersi si chiama
passivo divino). Se siamo chiesa, ciò è unicamente opera di Dio; per questo non possiamo
selezionare le persone che fanno parte della nostra comunità, magari nella speranza di
costruire una chiesa di puri o di perfetti. La chiesa esiste non per rispondere ad un
bisogno di amicizia e di calore umano: queste cose sono importanti sì, ma solo se
esprimono che noi siamo chiesa perché il regno di Dio in Gesù è arrivato alla sua
realizzazione. Così noi siamo una freccia che, protesa verso il futuro di Dio, apre i
cuori alla speranza di una salvezza davvero universale.
Parola, preghiera, comunità. Queste sono tre dimensioni, tra loro
strettamente collegate, nelle quali il Regno di Dio si fa presente e
"sperimentabile". Attraverso di esso Dio non è più lontano e irraggiungibile,
ma si è fatto vicino, è alla porta della nostra vita, come Gesù aveva annunciato
all'inizio della sua missione. "Avete capito?". "Sì". E allora anche
voi relativizzate tutto per entrare in questa pienezza di comunione con Dio, che è
l'unica vera ricchezza. "E non preoccupatevi di cosa mangerete, berrete, o con cosa
vi vestirete... Cercate prima di tutto il Regno di Dio, obbedite alla parola del suo
Inviato, e sarete finalmente liberati dalla pena di una vita che dipende solo da
voi". Ecco il tesoro che lo scriba ha trovato! Questo era ciò che gli mancava; per
questo è divenuto discepolo del Regno dei cieli.
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