Parola - Mt 13,1-23
Paolo Boschini
Quando Gesù parla in parabole, tutti hanno l'impressione di capirlo al volo, perché usa immagini semplici, tratte dalla vita quotidiana. Ma in ogni parabola, anche in quella del seminatore che abbiamo ascoltato oggi, c'è qualcosa di paradossale, che ce la rende incomprensibile. Tanto che i discepoli sentono l'esigenza di prendere da parte Gesù, per chiedergli se fa apposta a gettare confusione nei suoi ascoltatori.
Infatti è molto strano che in un'economia agricola di pura sussistenza, come era quella palestinese di quel tempo, un contadino sia così sbadato da lasciar cadere il seme anche dove non porterà nessun frutto: sulla strada, in mezzo ai rovi o in un terreno sassoso. Certamente, tra gli ascoltatori ci saranno stati parecchi agricoltori e si saranno domandati perplessi se questo contadino sapeva fare il suo mestiere, o se per caso era un tipo così ricco da permettersi il lusso di sprecare il seme. Anche noi, che non siamo contadini, abbiamo un moto di reazione: chi di noi oggi può permettersi di lavorare in perdita? la sua attività fallisce in un batter d'occhio. Sì, Dio è così ricco che il suo amore è per tutti, indipendentemente dalla capacità che ognuno ha di accoglierlo e di metterlo a centro della propria vita.
Un'altra cosa ci lascia un po' così: che cos'è mai questo seme, che comunque porta frutto? neanche quello caduto sulla strada è inutile, perché serve di nutrimento agli uccelli del cielo! L'azione di Dio nella vita degli uomini tante volte sembra proprio seme sprecato, buttato via. Anche noi comunità cristiana molte volte lavoriamo in perdita: pensate a quanti lontani fabbrichiamo con la nostra catechesi ai sacramenti. Certo, dipende anche dal fatto che la facciamo male, perché spesso siamo maestri poco convincenti e soprattutto testimoni non credibili. Però, c'è dell'altro: quante volte ci è capitato di constatare che lì per lì il vangelo che annunciamo, l'esperienza di vita cristiana a cui invitiamo non interessa; salvo poi scoprire anche a distanza di tanti anni, che questo seme ha portato frutto, indipendentemente da noi. In un'altra parabola, raccontata solo da Marco, Gesù parla del regno di Dio come di un seme che cresce da solo, senza l'intervento decisivo dell'uomo.
Per questo, oggi il Signore ci chiede di seminare e seminare. Se è lui che fa crescere (lo dice anche Paolo ai Corinti), a noi è chiesta solo la gratuità dal dare a piene mani, senza aspettarci risultati di nessun tipo. Diventare una chiesa che semina il vangelo non è facile, perché ciò richiede a tutti una conversione continua, per essere sempre di più terreno che accoglie la Parola. Paolo parla oggi di un parto doloroso, a cui partecipiamo insieme a tutto il mondo, in continua evoluzione verso la pienezza della relazione con Dio.
Poi ci è chiesto di essere una comunità con le porte e le finestre sempre aperte: questo ci espone sicuramente al pericolo di essere "sfruttati"; i giovani possono venire qui solo perché c'è la possibilità di aggregarsi; gli adulti magari cercano solo un luogo accogliente per i loro figli... Ma se Dio non fa selezione tra i terreni, perché dovremmo noi giudicare la predisposizione dei nostri fratelli ad accogliere il vangelo? Gesù non ha pensato ad una comunità di pochi ma buoni; ha preso con sé gente di ogni tipo, esponendosi anche lui al rischio di essere frainteso, abbondonato, tradito.
Questo non significa però che siamo autorizzati a cacciar via il tesoro della Parola. Come Gesù, anche noi ci dobbiamo preoccupare che la misericordia del Padre sia annunciata in un linguaggio che tutti, specialmente i più piccoli e i più semplici possano capire, non per togliere lo scandalo che questa Parola suscita in ogni cuore, ma perché la provocazione del vangelo risuoni in tutta la sua forza. Soprattutto, il vangelo chiede di essere testimoniato attraverso scelte radicali di preghiera e di condivisione con i poveri, perché Dio non ama le mezze misure, la tiepidezza di chi non è né carne né pesce.
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