Profezia - Mc 6,1-5

Paolo Boschini


   Marco costruisce la prima parte del suo vangelo sul crescendo dei fraintendimenti e dell'opposizione intorno a Gesù e alla sua missione: i farisei di Cafarnao, quando si siede a mensa con i pubblicani e i peccatori (Mc 2,16); i discepoli del Battista e ancora i farisei sulla questione del digiuno (Mc 2,18); e poi ancora i farisei sul sabato (Mc 2,24); i farisei e gli erodiani, tra loro mortalmente nemici, dopo la guarigione dell'uomo con la mano paralizzata in giorno di sabato (Mc 3,6); i suoi amici d'infanzia e i familiari, i quali pensano che sia un po' esaurito (Mc 3,21 e 3,31); i discepoli sulla barca sballottata dalle onde (Mc 4,38); i pagani di Gerasa, dopo che aveva "distrutto" un intero branco di maiali, la loro attività imprenditoriale (Mc 5,17).
    E dopo l'incontro-scontro con quelli di Nazaret, le cose vanno ancora peggio: i discepoli non lo riconoscono quando viene a salvarli camminando sul mare (Mc 6,49-50), e non capiscono quando li invita a tagliar corto con farisei ed erodiani (Mc 8,17); Pietro vorrebbe impedirgli di andare a Gerusalemme (Mc 8,32) e tutti continuano a non  capire quando egli annuncia la sua passione imminente (Mc 9,32); due di loro hanno addirittura il coraggio di chiedergli i primi posti nel regno di Dio che sta per venire (Mc 10,37); altri discepoli non riescono a compiere un esorcismo e Gesù li rimprovera tutti, ancora una volta, per la loro incredulità (Mc 9,18-19). Intanto gli scontri con le autorità del popolo si fanno sempre più duri: sul valore delle tradizioni (Mc 7,1-15); sul matrimonio (Mc 10,2-9); sul tempio (Mc 11,18); sull'autorità di Gesù e sulla missione profetica di Giovanni Battista (Mc 11,27-33; 12,12); sui grandi temi della vita religiosa e della teologia ebraica del tempo: il rapporto fede-politica (Mc 12,13); la risurrezione dei morti (Mc 12,18); l'essenza della legge mosaica (Mc 12,28); l'identità del Messia (Mc 12,35).
    Tutto culmina nella congiura del sinedrio, nel tradimento di Giuda e nel rinnegamento di Pietro, nel processo-farsa davanti al sinedrio prima e a Pilato poi, nell'ironia beffarda della folla, nella fuga dei discepoli e nel prudente mantenere le distanze delle donne più fedeli (Mc 14,1-15,40). Gesù morirà solo, nella disperazione di sentirsi abbandonato da tutti ma non dal Padre (Mc 15,34); le donne accoglieranno con terrore l'annuncio della sua risurrezione (Mc 16,8) e nessuno dei discepoli vorrà credere alla testimonianza di chi lo ha visto risorto (Mc 16,11 e 13). Si ripete quella storia di ottusa e ostinata incredulità, che aveva portato all'autodistruzione il faraone d'Egitto (Es 14,17) e poi, a più riprese, lo stesso popolo d'Israele (Ez 2, 1-9 - 1a lettura). Dio parla, ma gli uomini sembra che facciano apposta a non credere ai suoi inviati.
    In tutte queste situazioni raccontate da Marco, lo schema è sempre il medesimo: a fronte dell'incredulità degli uomini, a cui pure Dio ha rivelato il suo nome e il suo progetto di salvezza (Mc 6,2: "Incominciò a insegnare nella sinagoga"), Gesù pronuncia un giudizio (Mc 6,4: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria"), ma anche una parola o un gesto di salvezza (Mc 6,5: "Impose le mani a pochi malati e li guarì").
    Pensando in particolare all'episodio di oggi, perché tanta durezza nelle parole di Gesù contro i suoi compaesani; non poteva essere più comprensivo? In fondo, doveva aspettarserlo, dal momento che mai prima di allora aveva insegnato pubblicamente nella sua sinagoga? Penso che anche noi avremmo la stessa reazione di scetticismo e di incredulità, se uno di noi che conoscevamo come timido e introverso, dopo qualche settimana di lontananza dalla comunità, ritornasse e si mettesse a parlare pubblicamente di Dio come se fosse un profeta ispirato. Siamo così poco abituati a pensare che Dio suscita i suoi profeti in mezzo al suo popolo, che subito ci metteremmo a mormorare, dicendo: "Ma chi ti credi di essere! Vola basso e ritorna in te stesso".
    Proprio come i Nazareni! Pensano che ormai nel popolo di Dio ci sia posto solo per i maestri (catechisti e predicatori) che illustrano e spiegano la dottrina del passato; ma che Dio non possa più suscitare profeti che rinnovino e radicalizzino la fede in Lui. Ragionano "da vecchi", come se il presente e il futuro potessero essere semplicemente la ripetizione del passato e come se lo Spirito stesso di Dio fosse una forza esausta, giunta al suo tramonto. Come i farisei e i capi del popolo, come i familiari e gli stessi discepoli di Gesù, non hanno assolutamente capito che Dio, il custode d'Israele, non dorme (Sal. 121,3), ma continua a chiamare e inviare i suoi profeti. Lo stesso tema dell'incomprensione di Nazaret ("Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data?" - Mc 6,2) è lo stesso che ricompare in una delle ultime e più acute polemiche tra i farisei e Gesù: "Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato l'autorità di farle?" (Mc 11,28). E in quella sede la risposta di Gesù tocca proprio la questione della profezia: "Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?" (Mc 11,30).
    Gesù riconosce Giovanni come profeta, perché lo ha incontrato e nel battesimo al Giordano si è sottoposto anche lui al giudizio di Dio: si è talmente abbandonato alla parola del profeta, che in quella voce e in quel battesimo purificatore ha sentito la voce stesso di Dio che lo chiamava "suo Figlio" e, inondandolo con il suo Spirito, gli dava l'investitura di Messia (Mc 1, 9-11). Per riconoscere i profeti, bisogna stare con loro alla scuola della Parola di Dio, lasciarsi scuotere dal suo giudizio, accogliere quella voce come la chiamata a convertire il nostro cuore e a metterlo con tutte le forze al servizio di Dio e dei fratelli (Mc 12,30-31). I Nazareni, i farisei e i familiari di Gesù non hanno fatto questo cammino e per questo non lo ricoscono come l'inviato di Dio e "si scandalizzano di lui" (Mc 6,3).
    Ma perché i discepoli, che invece fanno questa esperienza e addirittura arrivano a riconoscere Gesù come il Cristo (l'Unto con lo Spirito di Dio - Mc 8,29), continuano fino alla fine a non capire e ad essere ciechi e increduli? Per riconoscere un profeta, occorre attingere non solo alla sorgente della sua vocazione, ma bisogna anche condividere l'esito, la fine della sua vita. Il mancato riconoscimento del profeta da parte dei suoi compaesani è solo l'inizio: il profeta è per natura un perseguitato e, se egli crede veramente nel Dio che lo ha chiamato, lo testimonierà andando fino in fondo, cioè con la sua stessa vita. L'evangelista Marco ci sta dicendo: non c'è profezia senza martirio. "Come sta scritto del Figlio dell'Uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come di lui sta scritto" (Mc 9,12-13). La più grande somiglianza tra Gesù e Giovanni sta proprio qui: entrambi sono morti per rispondere con totale fedeltà alla chiamata di Dio.
    I discepoli non credono a Gesù risorto perché non erano sotto la sua croce: si sono lasciati sopraffarre dalla paura e sono scappati. Per loro, per noi, vale il detto di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per me e per il vangelo la salverà". Questo è anche il criterio che Gesù ci ha lasciato per distinguere i veri dai falsi profeti. E per ricordarci la serietà della nostra chiamata ad accogliere i profeti di Dio e ad essere noi stessi profeti, aggiunge parole terribili: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'Uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc 8,34-35 e 38). Questa è la strada, l'unica strada, per una chiesa che voglia riconoscere oggi i profeti che Dio manda ancora in mezzo agli uomini e per una chiesa che - come Gesù alla scuola di Giovanni Battista - voglia essa stessa diventare profetica camminando al fianco del Profeta-Messia-Figlio di Dio Gesù e di coloro che oggi lo annunciano in modo credibile con una vita autenticamente evangelica. Sì, perché in Gesù si sono compiute non solo le parole dei profeti dell'AT sul profeta perseguitato (ad es. Is 52,14), ma anche quelle sull'effusione dello Spirito su tutto il popolo di Dio, che diventa così un popolo di profeti (Gioele 3,1-3) e di testimoni del Vangelo.


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