Vita - Gv 1,1-18

Paolo Boschini


   Davanti ad una pagina così "oceanica", come l'inizio del vangelo di Giovanni, sperimento tutta la mia piccolezza e la pochezza dei miei pensieri. Ma siccome l'apostolo Paolo ammonisce: "guai a me se non predico il vangelo" (1Cor 9,16), eccomi spinto dalla forza stessa della Parola di Dio ad annunciarvi Gesù Cristo.

    "In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (v. 4). Questa espressione mi ha fatto pensare a cos'è oggi la nostra vita: pura sopravvivenza. Il lavoro, di cui pure abbiamo bisogno per sentirci realizzati e per permetterci tanti sfizi economicamente impensabili anche solo 10 anni fa, ci ruba almeno metà delle nostre energie migliori e anestetizza ogni slancio altruistico; la famiglia, per la quale ci siamo spesso sacrificati e abbiamo lottato, è ridotta a pura convivenza (quando va bene) o a conflittualità e mancanza di comunicazione (quando va male); le amicizie sono sempre più scarnificate dalla nostra paura di scoprirci con gli altri e degradate al rango di diversivo dopolavoristico; e poi, che fatica a vivere gli affetti nella gratuità del donare, soverchiata dall'istinto di possedere la persona altrui!   Abbiamo davvero perso il gusto del vivere e ci siamo incatenati in una gabbia, in cui le parole sono senza pensiero e i sentimenti senza cuore. Molti di noi hanno smesso di sperare e si stanno chiudendo in un vuoto e risentito pessimismo: per noi adulti, ciò che non è puro relax, automaticamente ci stressa; per voi giovani, ciò che non diverte e non è affermazione anarchica di sé, è male.
    L'evangelista Giovanni sembra un profeta dei nostri giorni, catturato dalla preoccupazione per il nostro futuro di uomini senza umanità: ai suoi occhi siamo come beduini, che si lasciano vivere in un deserto senza vita e senza punti di riferimento. Come uscirne? "In Lui era la vita...". Chi è questo Lui? Giovanni ci stupisce perché ci lascia capire che non si tratta di quell'entità astratta, un po' indefinita e irraggiungibile, un po' consolatoria e tappabuchi, che oggi convenzionalmente chiamiamo dio. Se uno ha la curiosità e la pazienza di leggere tutto il suo vangelo, scopre che questo Lui è una persona concreta, in carne ed ossa: Gesù. Eppure, si tratta di una persona carica di mistero, perché si dice che in Lui la vita è qualcosa di permanente e definitivo (questo è il significato del verbo all'imperfetto: "era"); questa vita gli deriva dal suo essere "sin dal principio faccia a faccia con Dio" (v. 1). Allora, tuffiamoci con ancor maggiore curiosità dentro al quarto evangelo; e lo faremo immaginandoci un dialogo tra l'evangelista Giovanni (GIO) e il personaggio del suo racconto (Gv 3,1-15) che assomiglia di più al nostro disincantato e spento stile di vita, il colto Nicodemo (NIC).

    NIC. Tu dici che noi non viviamo più; quindi per te siamo praticamente morti. Ammettiamo che tu abbia ragione - e lo devo riconoscere, anche perché la mia esperienza mi dice che è così. E poi mi dici che in Gesù c'è la vita. Ma se noi siamo morti, come possiamo tornare a vivere? (Gv 3,4).
    GIO. Potete rinascere dall'alto (Gv 3,7). Riconoscete Dio come vostra madre, entrate nel suo grembo. Mettete Dio al centro della vostra vita e lasciatevi avvolgere dal suo amore.
    NIC. Quindi, per tornare a vivere bisogna dare un taglio netto con il presente. Questo è ancora più difficile, perché ciascuno di noi si è costruito la sua vita a proprio piacimento e anche con grossi sacrifici; e nessuno è disponibile a rinunciare a quello che si è conquistato.
    GIO. Gesù non chiede a nessuno cose impossibili e neppure scelte castranti. Ti chiede solo: "dammi da bere" (Gv 4,7). Perché vuole che tu ti stupisca del fatto che qualcuno si è accorto della tua esistenza e ti ha rivolto la parola, parlando al tuo cuore. Perché così tu potrai arrivare a comprendere che c'è ancora qualcuno capace di gesti di gratuità e attenzione. Questa è l'acqua della vita che solo Gesù può dare e che toglie la tua sete (Gv 4,14), l'arsura desertica di questa tua esistenza ricca, programmata, ma ahimè senza significato.
    NIC. Adesso però esageri: la mia e la nostra vita non fa poi così schifo. Non sono così ingenuo da cadere nella trappola del solito ragionamento di voi cristiani: il mondo è sporco e cattivo, solo Gesù Cristo è pulito e buono.
    GIO. Nessuna trappola: se pensi che io sia troppo pessimista su di te e sul mondo di oggi, ti prego smentiscimi con dei gesti concreti. Tu e i tuoi contemporanei incominciate a condividere quello che avete con chi ne è privo. Rinunciate a qualcosa delle vostre comodità e delle vostre ricchezze - non solo economiche, ma anche intellettuali -, perché ne possa godere un po' anche chi conduce ancora una vita a dir poco bestiale.
    NIC. Beh, veramente... Io non me la sento; e come me, anche gli altri. E poi con quello che potremmo fare noi, mica si risolvono i problemi dell'umanità: a quelli ci devono pensare i politici e i grandi gruppi economici.
    GIO. Aspetta e spera! Comunque, non ti preoccupare, ai poveri ci ha già pensato Gesù, quando ha moltiplicato il pane per i cinquemila uomini (Gv 6,1-13).
    NIC. Allora, questo Gesù è un grande benefattore dell'umanità, un antenato della Croce Rossa e delle altre organizzazioni umanitarie di volontariato.
    GIO. No. Lui non raccoglie e distribuisce ai poveri quello che i ricchi hanno in più o buttano via. Lui, ai poveri e a tutti quelli che lo prendono sul serio, dona se stesso e la sua Parola come cibo. E chi si nutre di Gesù non muore, ma vive già da adesso nella vita di Dio, cioè nella pienezza della gratuità e dell'amore (Gv 6,35-40).
    NIC. Vorresti forse dire, che se vogliamo tornare ad essere felici, dobbiamo fare come Gesù: toglierci di dosso i nostri vestiti firmati e tutte le logiche di apparenza che ci ruotano intorno, metterci un grembiule e servire i nostri fratelli, fino ad abbassarci ai lavori più umili, come lavare loro i piedi (Gv 13,1-17)? No, è troppo; non ce la possiamo fare; è più coerente gettare la spugna.
    GIO. Se volete, potete pure seguire un'altra strada. Ma da chi andrete (Gv 6,68)? chi con la sua parola vi può fare entrare nel cuore nascosto e inaccessibile di Dio (Gv 1,18)? chi può trasformare in luce il buio del vostro cuore (Gv 8,12)? chi vi conosce per nome, nell'irripetibilità della vostra personalità, e vi accetta così come siete (Gv 1,47)?
    NIC. E' vero. Siamo ciechi (Gv 9,40). Sentiamo la mancanza di un punto di riferimento, di una guida per la nostra vita. Abbiamo paura di scrutarci nel cuore, di analizzarci allo specchio, perché temiamo di non poter resistere allo sconforto di sbattere il muso contro tutti i nostri insopportabili e inguaribili difetti. E così cominciamo a fuggire: sinceramente, non so da chi e da che cosa. So solo che tutti proviamo una grande rabbia di fronte alla nostra imperfezione, ma soprattutto di fronte all'imperfezione degli altri. Che nervoso...
    GIO. Guarda come è diverso Gesù: di fronte all'amico Lazzaro che è morto senza che lui potesse aiutarlo e alle sue sorelle che lo rimproverano di essere arrivato troppo tardi, Gesù non si arrabbia, ma piange di compassione; non lancia invettive contro Dio, contro la società, contro la vita, come fai tu tutti i giorni, ma prega quello che lui chiama "Padre mio". E Lazzaro rià la vita (Gv 11,1-44).
    NIC. Quindi, se anche noi usciremo come Lazzaro dalle nostre tombe e riscopriremo il gusto di vivere, è unicamente perché Gesù ci ama fino alle lacrime e continuamente prega il Padre per noi?
    GIO. Sì, è proprio quello che Lui ha fatto prima di morire, nei Getsemani, quando ha invocato il Padre perché i suoi amici possano arrivare alla vita eterna: cioè a conoscere e ad amare il Padre come l'unico Dio della propria vita e Gesù come il Figlio, cioè come  l'unico in grado di aprire il nostro cuore all'incontro con Dio (Gv 17,1-26).
    NIC. Un momento. Mi sembrava di avere quasi capito; ma ora sono di nuovo precipitato in confusione: fino ad ora mi hai parlato di Gesù come colui che ha la vita, che ce l'ha in modo permanente e la trasmette a tutti; poi, mi dici tra i denti che Lui è morto. Non poteva evitarlo, se è Dio? Suo Padre, se lo ama davvero, non glielo poteva risparmiare? Se fosse successo così, ora non avrei nessuna difficoltà a credere che Dio è amore, perché risparmia il dolore a suo Figlio; né a credere che Gesù è Dio, perché evitando la morte avrebbe dato sfoggio a tutta la sua forza divina.
    GIO. Ma proprio questa è la vita che esiste in Dio sin dal principio (Gv 1,1) e che Gesù è venuto a comunicare come la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9). "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24).
    NIC. Quindi, se uno non ama fino ad annullarsi, non vive ma sopravvive e si trova inevitabilmente condannato a quella solitudine da cui noi ora stiamo scappando con tutte le nostre forze.
    GIO. Ma se uno non sta unito a Gesù, vivendo con Lui - e come Lui - ogni attimo della sua vita, non riuscirà ad amare neanche se stesso. Diventerà un tralcio secco e sterile, che non serve ad altro che a far fuoco nel camino (Gv 15,1-6).
    NATAN . Nicodemo, apri gli occhi! Hanno ragione gli africani e gli asiatici che ci vedono come gente eternamente acerba, che non riesce mai a maturare, ma invecchia precocemente diventando subito "patocca". Forse la differenza tra noi e loro non sta nelle possibilità economiche, né nelle risorse tecnologiche, ma nella fede in Gesù-pienezza-della-vita, incarnata nelle situazioni di ogni giorno e vissuta senza ipocrisia e perbenismo. Io sono Natan, quello che Gesù ha chiamato per nome, mentre ero nullafacente all'ombra di un fico: Lui mi ha detto "vieni con me e vedi" (Gv 1,46). Io sono andato, sono rimasto con Lui ed è cambiato il mio modo di guardare alla vita.
    GIO. Sì, è vero. Noi guardiamo alla vita senza più meraviglia, cercando di catturare ogni cosa che passa sotto il nostro sguardo, al solo fine di diventarne padroni. I popoli poveri del mondo, invece, non possono dominare alcunché con lo sguardo, perché a loro non è  consentito di alzarlo; il loro guardare è così un contemplare con stupore (Gv 1,14), cioè un essere afferrati da un altro, che ti annulla proprio mentre ti congiunge a sé e nello stesso attimo ti dona tutto se stesso, restituendoti una vita nuova. Solo la bellezza di Dio che si manifesta in Gesù può salvare il mondo.
    SAMARITANA.  Anch'io Nicodemo ho una cosa da dirti: in Lui era la vita ... E questo Lui è diventato un essere umano, Gesù... Io sono una samaritana. Ero una donna libera, senza dio nè morale. Poi, un giorno l'ho incontrato e sono stata afferrata dalla vita stessa di Dio: sono finalmente diventata capace di relazionarmi con chi è diverso da me, senza obbligarlo a diventare la mia copia o il mio schiavo, come avevo fatto fino a quel momento con i miei cinque mariti. E il primo di questi che posso accogliere in un cuore trasparente è Dio, da cui finalmente non devo più scappare, perché Gesù mi ha tolto la paura di guardarmi dentro (Gv 4,39). Che bello vivere, come mi ha detto Lui, "adorando Dio in spirito e verità" (Gv 4,24).


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