Benedizione - Ef 1,3-14

Paolo Boschini


    Per comprendere questa parola "benedizione", occorre partire dal futuro: dalla "attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria" (Ef 1,14). Di solito, ci è più facile cominciare dal peccato di Adamo e Eva e dalla promessa di Dio (Gen 3,9-15). Ma in questo modo, la nostra ragione incontra delle difficoltà che non riesce a superare, che hanno l'effetto di allontanare dalla fede nel Dio cristiano: c'è forse una predestinazione tra gli uomini? se Dio fa delle preferenze, in base a quale criterio? Vedete, è difficile saltarci fuori; e più si cercano spiegazioni "a difesa" di Dio (Dio è sovranamente libero, l'agire di Dio è misterioso, Egli non deve dar conto agli uomini delle sue scelte), più si finisce per rappresentarlo come dotato di una volontà arbitraria. Se fosse veramente così, tutto crolla; e la nostra vita sarebbe appesa ad un filo di capriccio.
    Ci viene in aiuto Paolo, "l'apostolo" (Ef 1,1) e "il prigioniero" (Ef 3,1) di Cristo, con questo inno di benedizione e di lode, che egli attinge non senza suoi personali ritocchi dalla liturgia delle primissime comunità cristiane. Sì, Dio ha un progetto: "il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose", di sanare in Lui ogni frattura e tensione tra il cielo e la terra, tra le cose di Dio e quelle del mondo (Ef 1,10). Non si tratta di una violazione della nostra libertà, perché siamo stati pensati sin dall'inizio per vivere in questa riunificazione di Dio e mondo: quale padre e quale madre genera il proprio figlio per tenerlo lontano da sé, o per privarlo del proprio amore? Il progetto di Dio si compie, quando noi cominciamo a cercarlo e, trovatolo, viviamo per lui: a questo punto noi siamo "suoi figli adottivi" (Ef 1,5).
    "Come è possibile" questo?, chiede Maria  e aggiunge: "non conosco (= non amo) nessun uomo" (Lc 1,34). Noi invece dobbiamo dire: com'è possibile? non amo nessun Dio. Come possiamo diventare suoi figli, ricevere lo Spirito Santo, ottenere il perdono dei nostri peccati, trasformare la nostra vita in una continua lode a Dio? Tutte queste cose ci sono negate dalla durezza del nostro cuore, ma anche dalla vita asfissiante e disumana che siano costretti a fare. Se c'è una qualche predestinazione, un futuro già scritto per noi, si tratta di un destinodi frenesia e di grigiore, di indifferenza e di non-relazione con gli altri. Noi oggi fatichiamo molto ad accettare l'idea di un peccato d'origine, di una macchia umanamente incancellabile con la quale nasciamo e che solo il battesimo può cancellare. E' vero, l'idea del peccato originale della dottrina cristiana tradizionale ha molti aspetti irragionevoli. Però, che vita lasciamo in eredità a chi nasce oggi? Con la nostra ottusa opulenza (e con tutti i suoi numerosi strascichi negativi sulla qualità della vita e delle relazioni interpersonali) non li stiamo forse predestinando ad essere macchine ciniche e indifferenti, oppure un fascio di emozioni e istinti insoddisfatti? Possiamo ragionevolmente pensare che gli adulti del 2030 vivranno meglio, ma possiamo anche pensare che saranno uomini migliori? Queste non sono riflessioni piacevoli, ma bisogna che ci mettiamo seriamente di fronte al problema del futuro, nostro e delle generazioni che ci seguono, e della possibilità concreta di una salvezza per noi e per loro, cioè di una liberazione da questa gabbia in cui ci siamo rinchiusi con le nostre mani.
    Paolo ci annuncia che questa salvezza ci è già stata donata dalla benevolenza di Dio, che non ci sta a vedere arrabattarsi nella mancanza di comunione gli uomini che ha creato perché siano un "tu" davanti a Lui e ai propri simili. Questa salvezza ha un nome, è una persona concreta: Gesù Cristo. Per ben 7 volte, Paolo dice "in Cristo/in lui": Dio ci ha benedetti, ci ha scelti, ci ha dato la sua grazia, abbiamo la redenzione per il sangue versato sulla croce, ha realizzato il suo progetto eterno d'amore, ha fatto unità tra cielo e terra, riceviamo lo Spirito santo. Si tratta di azioni concrete di Dio, che hanno un riscontro effettivo nella vita degli uomini, perché trasformano i nostri sogni emotivi e alienanti in speranze per le quali vale la pena di lottare e di sacrificarsi. Ogni volta che sentiamo la gioia di essere amati per quello che siamo, con tutti i nostri limiti e i nostri difetti; ogni volta che l'esperienza della sofferenza e della morte ci conducono misteriosamente ad uno stile di vita più autentico e ricco di umanità; ogni volta che sperimentiamo la riconciliazione dove prima c'era solo rottura e incompresione; ogni volta che ci scopriamo a invocare Dio e ad affidarci a Lui... Tutte queste volte, in cui la nostra vita, subisce un'inattesa e misteriosa trasformazione, noi siamo "in Cristo"; noi siamo finalmente liberi. Liberi dall'incubo di noi stessi e di non essere accettati dagli altri; liberi dall'angoscia di soffrire e di morire; liberi dall'inferno di relazioni quasi sempre conflittuali o competitive con gli altri; liberi da ogni chiusura...
    E allora, davvero "sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef 1,3), perché non ci lascia prigionieri del nostro cattivo destino, perché da sempre ha pensato alla nostra libertà come comunione intensa di vita con Lui e con i nostri simili, che a questo punto sono proprio diventati nostri fratelli. Sia benedetto Dio, perché in Cristo cammina al nostro fianco, con i nostri tempi, condividendo dal di dentro tutte le nostre fatiche e le nostre sofferenze. Nostre: tutti i verbi usati da Paolo (16) presuppongono un "noi" o un "voi". Dio non agisce mai al singolare, ma sempre per una pluralità di persone; e la sua azione trasforma questa folla sparpagliata ed eterogenea in un'unica e omogenea realtà collettiva. Ovunque c'è un "noi", lì opera lo Spirito santo; lì c'è un segno e un anticipo della realtà finale di Dio con l'umanità, verso cui siamo tutti in cammino. Maria è l'immagine più autentica di questo "noi", che è la chiesa dei salvati, la realtà invisibile eppure concreta di coloro che hanno già ricevuto in dono la libertà di Cristo e sono diventati suoi discepoli.


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