Fondatore - Lc 10,38-42
Paolo Boschini
Sono passati 15 anni da quando d. Mario, il fondatore
della Case della Carità, ha compiuto la sua penultima pasqua: l'ultima sarà
quando risorgerà insieme a tutti i morti in Cristo. Per noi cristiani, anche la
morte appartiene a questa terra e perciò è una realtà "penultima" (D.
Bonhoeffer) e "provvisoria" (T. Bello). Dopo tanti anni, ci chiediamo con sempre
maggiore insistenza quale sia stato il carisma di d. Mario, in che cosa consista
la sua genialità di fondatore. Questo brano di vangelo, Marta e Maria, contiene
una suggestione che vorrei raccogliere insieme.
Non si possono separare Marta e Maria, come se fossero le due
anime contrapposte della cristianità: la vita attiva contro la vita
contemplativa. Per secoli, generazioni intere di preti (e di laici) le
hanno lette così, ma questo non è il senso del racconto di Lc. La genialità
di d. Mario, la sua grande intuizione spirituale sta nell'aver sempre sentito,
vissuto e insegnato come inseparabili lo stile di Marta e quello di Maria. Si
può dire che, umanamente, lui era un eclettico, un emotivo nel senso nobile della
parola (con un parolone, oggi si dice: un empatico), uno che pensava sempre
dentro le situazioni e quindi che era capace di dire una cosa e, dopo un anno, il
suo contrario, senza che nessuno vi sentisse contraddizione (d. Mario non
era un sistematico, uno capace di tirarsi fuori dalla realtà con la forza del
pensiero). Ma con tutto ciò non si è ancora detto che la sua vocazione
personale passa attraverso la sintesi degli opposti: lo spirito carmelitano e
quello benedettino.
"Maria si è scelta la parte migliore...". Dio è
per lui al primo posto e su questo mi sembra che non abbia mai ammesso
discussioni: quanti interventi - anche durissimi - per riportare tutti (suore,
frati, ausiliari...) a ciò di cui gli ospiti delle case sono un segno evidente!
A partire, dall'organizzazione spicciola della vita di casa, tutto parla di
questa priorità assoluta e concretissima. Questo è il senso della povertà
volontaria, che prima di essere un segno di condivisione, è espressione
dell'obbedienza radicale a Dio, del totale svuotamento di sé di chi si siede ai
piedi di Gesù e ascolta. A quelli che hanno vissuto con
lui, d. Mario ha comunicato che la preghiera è un grande faticoso cammino, il
quale ha la sua vetta
nell'adorazione di Dio. E' silenzio, passività, consegnarsi integralmente:
forse questo dono ce l'aveva già di suo, ma credo che sia stato anche un grande
regalo che Dio gli ha fatto attraverso gli ospiti delle case.
"Marta era tutta presa dai molti servizi": questa
è l'anima benedettina, dove la preghiera e il lavoro, l'accoglienza di Dio e
del fratello sono una cosa sola. Lui non era un esegeta capace di vivisezionare i
testi biblici (anzi, mi sembra che questo approccio gli desse un po' noia e
molto fastidio). Ma aveva capito che, quando parla di Marta, Lc non la denigra,
quasi fosse un esempio negativo da non seguire: per Marta (e così anche per d.
Mario) l'accoglienza e il servizio sono tutto, perché a chiunque siano
destinati, in realtà sono cose fatte a Gesù. Un piccolo ricordo personale: lo
sconvolgimento che mi creò suor Maria, quando una mattina di tanti anni fa mi
mise in mano un tazzone di caffelatte e mi disse: "Vai ad imboccare Gesù
Cristo". Non era per devozionismo che d. Mario esponeva l'eucaristia in
lavanderia, mentre le suore lavavano a mano le montagne di biancheria che
avevano appena cambiato servendo gli ospiti. Diciamo così: il sogno di d. Mario
era una riforma liturgica, in cui alla fine della messa si potesse dire:
"Continuate in pace".
L'eucaristia, e la spiritualità che da essa scaturisce,
contiene questa sintesi e mi piacerebbe sapere cosa sentì e come reagì d.
Mario quando lesse o ascoltò per la prima volta quella decisiva affermazione del Concilio: "l'eucaristia è la fonte e il culmine della
vita cristiana". Qui, in questo essere (e non solo fare) eucaristia c'è la
complementarietà di Marta e Maria: perché Lc - come lui fa spesso - ci lascia
con il fiato sospeso e non ci dice come andò a finire. Vuole che proviamo a
indovinarlo noi (è una tecnica narrativa molto moderna: così la nostra
immedesimazione diventa più forte). Mi immagino che la conclusione è il
ritrovarsi di Marta e Maria, sedute insieme a tavola con il Signore e la comitiva
sgangherata dei suoi amici. Se è andata davvero così, Gesù ne ha combinata
un'altra delle sue: non solo perché ha riappacificato il cuore esigente di
Marta con quello empatico di Maria; ma soprattutto perché ha fatto sedere due
donne alla tavola degli uomini. Allora le donne erano considerate delle serve: stavano in cucina e mangiavano
per conto loro.
Anche qui c'è qualcosa della genialità spirituale di d.
Mario, che va oltre il suo modo caratteriale di essere e di comportarsi. La sua
spiritualità eucaristica lo ha portato (forse ben oltre le sue intenzioni) a
scommettere sulle donne in una società ancora fortemente maschilista, a
inventare una cosa umamente contraddittoria ma cristianamente così semplice e
solare: la maternità di una donna consacrata a Dio nel battesimo (e magari
confermata in ciò nella professione religiosa). In questo modo di essere delle
donne che vivono nelle case della carità, si incarna ogni giorno la sintesi
eucaristica di ascolto e accoglienza, di svuotamento di sé e di servizio a
tempo pienissimo. Forse farei meglio a stare zitto... Ma mi sembra che la
componente maschile della famiglia delle case della carità non abbia sempre
colto la genialità di questa intuizione di d. Mario, che riporta l'essere donna
nella chiesa all'autenticità delle comunità apostoliche. Rprendere in mano questo
punto è più
importante che discutere se i frati devono avere il telefonino oppure no...
Vorrei concludere guardando insieme il cesto con i tre pani,
che è il "logo" delle case della carità. La prima cosa che vedo non
sono i tre pani, ma l'unico cesto. E la seconda, è che nel mezzo, tra il pane della parola
(Maria, donna dell'ascolto) e quello dei poveri (Marta, donna del servizio), c'è
il pane dell'eucaristia: anche nel segno, Gesù sta al centro... Ma non ci
sarebbe centro, se ci fosse un solo pane, o sei i pani fossero due e basta. Don
Mario ha intuito che Gesù non vale di per sé, ma solo nella relazione d'amore
che sa instaurare con Marta e con Maria: il Dio di d. Mario non è l'assoluto
perfettissimo e lontanissimo, ma il Padre e la Madre che dà del tu ai suoi
figli e li ama al punto da rispettare la loro originalità (l'ascolto, o il
servizio, o...) e di riunirli insieme intorno a quel centro unificatore e
liberatore che é il Gesù dell'ultima cena.
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