Futuro - Lc 1,39-56
Paolo Boschini
S. Paolo, che parla ai Corinti della risurrezione (cap. 15), ci dice che ogni festa cristiana è in realtà festa di Cristo risorto e di noi cristiani già risorti con Lui, in virtù della fede e del battesimo. Soprattutto, non si può capire la sorte eterna di Maria se non nella prospettiva della sorte eterna dell'umanità, o almeno dei discepoli di Gesù. Maria ha quindi un valore simbolico: è il futuro della chiesa. Allo stesso modo, nel suo vangelo Luca le attribuisce un carattere esemplare: è il modello del discepolo e della comunità cristiana.
Leggendo e rileggendo il "Magnificat", sono stato colpito dal fatto che Luca usa per ben due volte una parola che poi non ricorre più nel suo vangelo; e si tratta di una parola importante, perché definisce l'umiltà di Maria, la sua condizione di piccola davanti a Dio (e quella di tutti coloro che la prendono a modello del proprio credere). La parola in questione è "tapina": una parola che noi non usiamo mai e forse proprio per questo possiamo intenderne meglio il significato. "Tapina" si autodefisce Anna (1Sam 1-2), la donna anziana e sterile a cui il Signore ha riservato il dono di diventare madre di Samuele. "Tapino" è il povero che Dio rialza dall'immondizia e dalla polvere (Sal 113). Nel nostro linguaggio corrente, potrebbe essere assilmilato al "poveretto/poveraccio" che non è stato capace di combinare niente di buono nella sua vita; quello per il quale non ci sono speranze umanamente realizzabili: potremmo tradurre la condizione di Maria, schiava del Signore, anche con la parola "fallita". Ma il fallimento di tutte le possibilità umane significa il trionfo della misericordia di Dio, che rovescia tutte le nostre gerarchie e le nostre logiche: anche e soprattutto il modo che noi umani abbiamo di cercare e realizzare l'immortalità.
Sì, perché è innegabile che tutti desideriamo essere immortali. Anche i nostri comportamenti più devianti, come quelli dei giovani che spesso in queste sere d'estate sfidano la morte in gare di coraggio in auto o in moto, o degli altri che si sentono invulnerabili dall'alcool che ingurgitano in grandi quantità, o ancora di quelli che non hanno paura di sottoporre corpo e psiche a incredibili tours de force da una discoteca all'altra della nostra riviera. Anche noi adulti, che normalmente siamo più tranquilli, pensiamo però di essere immortali, quando ci riteniamo capaci di programmare a lunghissima scadenza il nostro futuro e quello della nostra famiglia. In tutti c'è un bisogno irrefrenabile di immortalità.
Dio è l'origine e il sostegno di questo desiderio di immortalità, ma Egli lo realizzerà per altre strade, molto diverse da quelle che noi normalmente percorriamo: le strade polverose dell'umiltà e della condivisione, quelle strade che Maria ha percorso da Nazaret di Galilea al villaggio sulla montagna di Giudea, dove abitava la parente Elisabetta. E' l'immortalità di chi lascia fare a Dio, costruendo il proprio futuro unicamente sulla sua Parola; di chi cerca di Dio nei fratelli bisognosi; di chi accetta anche il disorientamento e il disagio (pensiamo alla notte in cui Maria partorì Gesù), perché sa che questo prelude ad una maggiore comunione con il Dio fedele che mai abbandona.
Mi sembra che ora possiamo finalmente capire il perché di questa festa, che non è legata semplicemente alla devozione popolare o alla cristianizzazione più o meno forzata di antiche tradizioni rurali e di più recenti bussines turistici. La festa di oggi - come quella di Tutti i Santi - è la Pasqua della chiesa, la festa del nostro futuro nell'eternità di Dio. Ma è anche la festa di questa chiesa che nel presente appare spesso così carica di fatiche e così povera di umanità: la festa della chiesa che raccoglie molto meno di quello che semina. Ma proprio per questo è la festa della chiesa che rinuncia alla strada dell'organizzazione manageriale e dell'efficientismo, perché sa che alla proprie povertà non deve provvedere da sola, ma ci pensa il Signore. Per questo è la festa di una chiesa colma di gioia, che fa della lode a Dio il propria punto di forza anche nel proprio continuare a camminare nei sentieri polverosi dell'umanità accanto e incontro a tutti coloro che si sentono miseri e senza speranza.
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