La Villa Archeologica Romana di Minori
La Villa Marittima di Minori fu fatta edificare sicuramente da qualche patrizio romano, ricco e facoltoso, a giudicare dalla mole della costruzione e da quello che rimane della superba ornamentazione plastica e pittorica, che volle un luogo solitario e tranquillo per ivi trascorrere i suoi "otia" lontano dal caos e dal frastuono cittadino. Questa villa andò ad arricchire quella costellazione di residenze signorili che brillava lungo l’arco del Sinus Paestanus, tanto celebrato da insigni scrittori latini per la salubrità dell’aria e la mitezza del suo clima.
Non si conosce il nome del personaggio che commissionò l’opera né di conseguenza la sua provenienza. Le parti murali sono in un ottimo stato di conservazione e ci permettono di avere un’idea molto chiara circa la distribuzione interna dello spazio. Lo sviluppo planimetrico ci induce a pensare che le dimensioni della villa fossero considerevoli e che essa aveva uno straordinario impatto scenografico su chi ne avesse contemplato la mole dal mare. La Villa è databile al I sec. d.C. ed ha attraversato nella sua evoluzione storica varie fasi edilizie. Lo schema costruttivo è quello tipico che nell’architettura romana si applicava alle Ville o alle dimore residenziali; abbiamo, infatti, un peristilio che corre lungo un giardino (viridarium) con al centro una piscina, che si salda all’estremità dei lati minori a un corpo di fabbrica che include a sua volta le varie stanze costituenti la domus. Tra queste stanze spicca per ampiezza e per la decorazione musiva pavimentale il triclinio ninfeo che posto al centro della domus la divide in due ali simmetriche.
Del piano superiore rimangono solo alcune tracce di pareti divisorie interne, di mosaici e di una stanza fornita di sistema di riscaldamento del quale si possono ancora osservare le tipiche suspensurae. Il prospetto era chiuso da due ali laterali che gli dovevano conferire la forma di un atrio, con superfici plasticamente articolate con edicole, dove probabilmente erano alloggiate delle statue, semi-colonne, capitelli, lesene, cornici e modanature; tale prospetto affacciava direttamente sul mare essendo la linea di costa molto più interna rispetto ai tempi odierni. La parte interna del peristilio, delle stanze, sono in opus incertum, costituito da scapoli in calcare locale abbastanza regolari nel taglio e nella disposizione e cementati con poca malta grigiastra.
Gli stipiti e le testate di finestre e porte sono in blocchetti parallelepipedi di travertino paestano. La teoria di archi che descrivono il triportico è in opus latericium di buona qualità. La grande abilità degli architetti romani nell’ottenere effetti illusionistici si rileva nella scala che dal piano superiore della villa portava a quello inferiore. Detta scala dà l’impressione a chi la guarda dal basso di essere più profonda e monumentale di quanto non sia in realtà. Ciò è stato ottenuto con un restringimento della scala verso l’alto e con un graduale assottigliarsi della superficie della pedata al quale corrisponde un aumento dell’alzata. I criteri prospettici subordinati a effetti scenografici li troviamo anche applicati nel triclinio-ninfeo, l’ambiente più importante della villa, lo spazio, potremo dire, edonistico del padrone, dove ci si divertiva, si ballava e si mangiava fino ad ingozzarsi. L’arcone principale che apre detto ambiente è in asse con quello che rappresenta l’entrata principale della villa e il fornice del primo risulta essere inferiore rispetto al secondo in modo da creare una straordinaria fuga prospettica che conduce l’occhio in una spettacolare avventura scenografica dall’ingresso fino al ninfeo, sul fondo del triclinio. Questa prospettiva scenografica risulta ancora più accentuata se si pensa al baldacchino archeggiato che si ergeva davanti al ninfeo, il cui arco centrale più piccolo logicamente dei primi due (entrata villa e entrata triclinio-ninfeo), inquadrava a sua volta una scala scavata nella parete Nord, lungo la quale scorreva una cascata che andava ad alimentare i giochi d’acqua della piscina posti anch’essi sulla direttrice: l’effetto di dilatazione spaziale doveva essere davvero straordinario. I podi sui lati est ed Ovest del ninfeo aggiunti in una seconda fase dovevano costituire letti triclinari a terrapieno in muratura, piuttosto che, come è stato sempre sostenuto finora, vasche per l’acqua in relazione con il ninfeo. La Villa Romana di Minori possiede il più antico esempio databile di volta a vela, che si può spiegare col desiderio di coprire con un’unica gittata un vasto ambiente e con l’intento di creare una superficie unitaria per una decorazione pittorica continua.
Per quanto concerne la decorazione plastico pittorica ci troviamo di fronte a un repertorio che spazia dalla mitologia al mondo vegetale e animale, dal realismo all’astrattismo geometrico. Le pitture ci aiutano molto attraverso un’analisi comparativa con quelle di Pompei ed Ercolano a determinare le varie fasi cronologiche all’interno delle quali si è iscritta la storia della villa. Si passa da rappresentazioni geometriche illusionistiche che riproducono elementi architettonici quali cornici dentellate, paraste, incrostazioni marmoree, a quelle con figure umane, animali, o vegetali, collocate in un contesto spaziale indefinito, a quelle, infine, sconfinanti nella pura astrazione. Si può in definitiva all’interno della Villa di Minori, percorrere tutta la parabola ascendente della pittura romana che come un arcobaleno abbraccia questa terra innalzandola sui trionfali colori della gloria di Roma. La Villa in questa sua sontuosità plastico decorativo, illusionistica scenografica, subordinata a una concezione allegra e gaudente della vita non era solo il luogo degli otia, sospesi nel chiarore di questa terra favolosa, dove il cielo e il mare edulcoravano l’animo del padrone, ma anche un vero e proprio centro di produzione artigianale, una grande cellula economica alimentata dal lavoro proficuo e alacre di schiavi e liberti.
Sicuramente buona parte dei piani di calpestio della villa erano ricoperti di lastre marmoree. Sulle vasche a terrapieno del triclinio-ninfeo sono stati rinvenuti in situ frammenti marmorei che ci forniscono seri segnali sull’eleganza e sulla finezza dell’ambiente. Possiamo asserire con una certa tranquillità che pezzi pregiati, elementi ornamentali come colonne, capitelli, marmi siano stai asportati durante un periodo di spoliazione in età tardo antica. Il rinvenimento, inoltre, di lanterne cristiane databili al IV - V sec. d.C., ove è inciso chiaramente il simbolo della croce ci induce a pensare che la villa sia stata abitata fino al VII sec. d. C. spoliata del suo splendore intorno al IX-X sec. quando ci fu in Costiera un grande fervore di fabbriche romaniche, seppellita nel corso dei secoli a più riprese in seguito a violenti alluvioni. La Villa di Minori rientra in quello che il Mingazini definisce di "tipo chiuso", con tutti gli elementi costitutivi delimitati da uno spazio rigidamente geometrico, anche se l’autore sostiene che le ville marittime appartengono tutte al "tipo disperso". Comunque la simmetria, l’ordine interno del complesso costituiscono una caratteristica alquanto diffusa nella disposizione interna degli ambienti delle residenze patrizie in età imperiale. Un’eco infine, di tipo di facciate con alae, si può forse riscontrare in due quadretti paesistici con ville marittime conservate al Museo Nazionale di Napoli. Un’analisi estetica, strutturale, architettonica della Villa può essere il ponte sospeso sul fiume della storia che ci conduce a quelli che sono gli aspetti socioeconomici di una cellula comunitaria originale, prodomica, dalla quale si è sviluppata quella stupenda collana di paesini avvinghiati alle falde dei Monti Lattari.
La Villa nasce come residenza estiva un plutocrate romano, per diventare poi un vero e proprio laboratorio all’interno del quale operavano schiavi e liberti. Molti di questi erano dediti alla pesca e all’agricoltura a giudicare da materiali e attrezzi venuti alla luce durante le varie fasi di escavazione. La presenza di sale fornite di sistema di riscaldamento aggiunto in un secondo momento ci rende testimonianza del fatto che la Villa nata come un centro di vacanza venne adattata in seguito a una fruizione invernale. La Villa doveva avere numerosi inquilini soprattutto in inverno parte dei quali probabilmente soggiornavano in ambienti satelliti, dipendenti dalla Villa stessa i cui resti sono stati scoperti in zone molto prossime e in una certa corrispondenza assiometrica con il sito archeologico principale.
Sui cocci del vasellame rinvenuto in seguito a meticolosi rilevamenti analitici sono state scoperte tracce di garum che era una salsa di pesce molto usata nella cucina romana. Una consuetudine che nasce da una componente psico-sentimentale prettamente ludica quale poteva essere quella del patrizio romano di farsi edificare ville romane per ivi trastullarsi e passare periodi di spensieratezza, diventa per lo sviluppo economico che esse ebbero in seguito, il pilastro sul quale si ergerà la vita in Costiera Amalfitana. La Villa di Minori non può essere un esempio isolato, ce ne saranno sicuramente altre in vari punti lungo la Costa che conservano integro il fascino di mura che trasudano il fluido di una storia gloriosa, che sprigionano l’arcano potere incantatorio di ciò che appartiene al passato, soprattutto se questo si inscrive in un contesto cronologico bimillenario. All’interno di queste graziose e leggiadre dimore, oggi minacciate dall’irrefrenabile azione demolitrice del tempo e forse ancor più dall’incuria dell’uomo, un piccolo drappello di schiavi e liberti, operosi, volitivi, intraprendenti, iniziarono un fecondo e rispettoso dialogo con la natura. In questa stessa spiccavano un mare pescoso e una terra vergine che essi seppero diligentemente sfruttare creando quelle condizioni di produttività e di redditività che sono fattori imprescindibili per un tenace radicamento della vita alla terra. I codici genetici di quell’impeto mercantilistico che più tardi porterà gli Amalfitani ad avere scali commerciali nelle più ricche città del Mediterraneo, sono da ricercarsi nell’attività degli uomini che abitarono le Ville Romane della Costiera, sospese un tempo nelle candide nubi di un’atmosfera bucolica e oggi continuanti, nel fragore soffocante della modernità, a sussurrarci delicatamente le parole della storia solare di quel popolo che vive nell’amplesso trasumanante di questa meravigliosa terra.
Purtroppo questo monumento non è affatto tutelato. Ci sarebbe bisogno di un restauro e di un consolidamento delle strutture, ma l’indifferenza continua a regnare sovrana nel cuore dei potenti. C’è il pericolo che un giorno si assista al triste spettacolo di un patrimonio storico che cade i frantumi e dopo ci sarà solo spazio per il silenzio delle rovine.
Dott. Maurizio Ruggiero