LO SPIRITO DI FEDE
E LO SPIRITO DEL TEMPO ATTUALE
di P. G. Longhaye S.J.
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SOMMARIO
Ci dicono: Siate del
vostro tempo. Che cosa ne pensa lo spirito di fede?
I - ESSERE DEL PROPRIO TEMPO. Massima seducente, ma equivoca. Altro è conoscere il
proprio tempo, capirlo, altro è vederlo con favore, amarlo, adularlo o
conformarvisi facendo nostro il suo spirito. Delimitare l'argomento evitando la
politica, le teorie sociali, economiche ecc., restringendosi alle dottrine
direttrici della vita: religione, filosofia, morale e ciò che da essa
immediatamente deriva.
II - LO SPIRITO DEL TEMPO. Godere; sensualismo; non dipendere; individualismo ;
orgoglio ; seguire indistinta-mente gli appetiti naturali; naturalismo di tutti
i tempi, ma specialmente e sistematicamente di oggi. Classi che se ne vantano:
gli empi, col naturalismo radicale; da gente senza religione, col naturalismo
moderato; molti credenti con un cristianesimo più o meno inficiato di
naturalismo. In tutti si notano cinque cose perdute o diminuite rispetto alla
fede: la docilità, la modestia, l'intransigenza, la fierezza e -la logica. Altri
sintomi in dogmatica, in morale, in ascetica -ecc.
III -
INTRANSIGENZA EVANGELICA. Non possiamo essere del
nostro tempo, né prenderne lo spirito. Antagonismo irriducibile tra questo
spirito e quello della Chiesa, di Gesù Cristo, di Dio. Nessuna conciliazione
possibile, secondo la Scrittura. Bisogna optare. Noi l'abbiamo già fatto.
Obiezioni correnti: che tutto si evolve; che così rinunciamo ad ogni influsso
sul nostro tempo; che c'impegniamo in una lotta senza quartiere e
all'insuccesso; finalmente che questa opposizione ci porterà all'impopolarità
universale. Conclusione: Usciamo dunque anche noi dall'accampamento e andiamo
verso di lui, portando il suo obbrobrio (Eb
13,13).
* * *
Quante volte, specialmente
in questi ultimi anni, non ci siamo sentiti gridare: Camminate dunque col tempo!
Ammodernatevi!
A questo grido esterno, qualche volta di collera e altre volte
di benevolo allarme, forse qualche voce ci ha risuonato dentro e ha fatto eco.
Era lo spirito di fede o un altro? Facciamoci questa domanda grave e pratica,
immensa e semplice, delicata e forse irritante. Esaminiamoci con tutta serenità
tenendo l'occhio su Dio, e coi sentimenti di soda sapienza propri del Sacro
Cuore.
I - Essere del
proprio tempo
Prima di farci la domanda, lo
spirito di fede, che è anche di luce e di prudenza, ci spinge ad intendere con
la massima esattezza possibile, la portata della formula per molti assiomatica:
Bisogna essere del proprio tempo.
La massima a prima vista è molto seducente
per la nostra debolezza, che fugge la lotta per la curiosità e per l'amor
proprio, che è insofferente delle tradizioni e lusingato dall'opinione d'essere
più forti e più abili dei nostri predecessori; e, infine per l'apparenza di un
pratico buon senso, di larghezza di vedute e di zelo. Infatti, si aggiunge: Come
agire sul nostro tempo se non siamo del nostro tempo? - Ma la formula è quanto
mai elastica, e suscettibile delle più disparate interpretazioni; sicché lo
spirito di fede, prima che la ragione e la coscienza ci dicano se dobbiamo
accettarla o rifiutarla, si chiede innanzi tutto che cosa essa voglia
dire.
"Essere del proprio tempo" significa solo conoscerlo bene? Benissimo!
In questo caso facciamo senz'altro nostra la formula, perché noi dobbiamo - e
vogliamo - conoscerlo, e meglio di quanto non lo conoscano i mondani, sia per
guardarci da ciò che avesse di meno buono, sia per meglio servirlo. Significa,
invece, solo comprenderlo? Se "comprendere" sta per conoscere e vederne giusto i
fatti, le cause, pericoli, le risorse e i rimedi, è chiaro che l'apostolo deve
capire il suo tempo, come il medico deve capire il suo malato; ma se significa
approvare, allora la questione si sposta, come presto vedremo.
Significa
vederlo con occhio benevolo? Allora dobbiamo distinguere tra il nostro giudizio
e le disposizioni che lo precedono. Certo, dopo averlo esaminato, dobbiamo
sforzarci di vederlo qual é e di stimarlo nel suo giusto valore. Da apostoli.
Vederlo "con intelletto d'amore"; cioè nella fiducia di trovarvi anche del bene,
rallegrandocene quando lo troviamo, non dimenticandolo quando ci salteranno agli
occhi elementi tutt'altro che di bontà; insomma, conservando in noi la speranza
indispensabile al nostro apostolato, e per non perder coraggio noi stessi, e per
conquistare il cuore degli altri. Infatti, che cosa mai riusciremo a fare se
disperiamo? Che cosa otterremo dall'anima contemporanea se le lasciamo vedere
che disperiamo di essa? E come faremo a nasconderle la nostra sfiducia se
veramente non ne sentiamo alcuna?
Essere del proprio tempo, inoltre,
significa amarlo? Oh! Allora nessun dubbio che dobbiamo amarlo, il nostro tempo,
come si ama la propria patria, la propria città, la propria famiglia. Amiamolo
pero non per se stesso, che idolatria non è amore; ma per Dio, cioè per
riportarlo a Dio, con un amore di simpatia o di compassione secondo i casi, ma
sempre di sacrificio; con la generosità richiesta per dedicarci al suo vero
servizio, ma se necessario, anche per contrariarlo ed affrontare le sue collere,
come fa un bravo padre col figlio. Che se poi, per essere del proprio tempo, si
esigesse che noi lo adulassimo e ne venissimo adulati, allora no; non lo saremo
mai a questo prezzo! Ché questo non sarebbe né amare Dio, né il nostro tempo, ma
solamente noi stessi, e assai male, poiché facendolo perderemmo Gesù Cristo.
Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!
(Gal 1,10).
Se, infine, essere del nostro tempo, volesse dire
conformarci ad esso, metterci al suo passo, condividere le idee che gli
piacciono e tutte le sue inclinazioni? Non c'è dubbio che qui sta il punctum
dolens della questione; ma prima di sollecitare una risposta allo spirito di
fede occorre delimitarla precisandola.
Escludiamo prima di tutto la politica.
Siamo uomini dì Dio, separati da tutto per non appartenere che al Vangelo di Dio
(Rom 1,1); padroni, certo, di avere e di difendere a questo proposito le
nostre preferenze tradizionali o spontanee; ma è pure vero che la politica in
quanto tale non ha nulla che fare con la nostra vocazione, la quale ci fa
eminentemente sudditi e soldati del Re del Regno e degli Stendardi
(S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, nn. 91-148), del Re
immortale dei secoli, che non conosce né conoscerà tramonti. Ed e assolutamente
intangibile da costituzioni, o carte o atti limitatori del suo potere. Questa è
tutta la politica che ci conviene. Le politiche terrestri non hanno per noi
valore pratico e definitivo che in relazione e in funzione di
questa.
Escludiamo anche le questioni sociali, per quanto esse abbiano con la
religione un legame più stretto. In se stesse, non sembrano affatto di nostra
immediata competenza. La chiave dei loro delicati problemi sta nei principi
della giustizia e della carità cristiana; che perciò, come esempio di queste
virtù base, essi possono riguardarci, ma secondo il nostro stato noi possiamo
essere sociologi o economisti solo per essere apostoli. Atteniamoci dunque
all'essenziale della nostra gloriosa professione di ministri del Cristo e di
dispensatori dei misteri di Dio! (1 Cor 4,1).
Restano. dunque, le
verità e le leggi veramente direttrici della vita: la religione, la filosofia,
la morale, la visione generale ed essenziale della vita umana, il modo pratico
di viverla. Qui soprattutto siamo invitati ad essere del nostro tempo e siamo
biasimati quando ci trova:no, o suppongono, che non lo siamo sufficientemente;
soprattutto qui dunque dobbiamo prender consiglio dallo spirito di fede! Perciò
poniamo così la questione ultima, l'unica per noi, ormai. Su questi tre punti
capitali: religione, filosofia e morale, possiamo essere del nostro tempo?
Possiamo, far nostro lo spirito del nostro tempo?
II - Lo spirito
del tempo
A giudicare da come si parla, si
scrive e si agisce si e tentati di,sintetizzare lo spirito del nostro tempo
prima di tutto in un immenso appetito di godimenti, -mirabilmente servito dai
ritrovati della scienza applicata; poi in un violento desiderio di scuotere
tutto ciò che pesa all'intelligenza e alla volontà: dottrine -ricevute,
tradizioni, -leggi, governi; infine una tendenza più o meno dichiarata a
emancipare e a praticamente divinizzare la natura, le sue energie fisiche o
intellettuali, le sue passioni e la sua conclamata indipendenza? Insomma:
sensualismo, razionalismo, naturalismo.
Forse si dirà che questo è stato lo
spirito di tutti i tempi!
- Rispondo che, sì, nel suo fondo, tutti i secoli
l'hanno fatto loro: si tratta, purtroppo, della sempre presente concupiscenza!
Ma è pur certo che tè spirito veramente caratteristico della nostra epoca,
perché oggi più che in passato ne è vasta e universale la diffusione e
soprattutto per il suo carattere dottrinale, teorico, per l'audacia con cui si
erge a sistema, si spaccia per la verità, per il bene, per il diritto! Che
cos'é, infatti. lo spirito rivoluzionario se non l'orgoglio dei diritti
dell'uomo sostituiti al diritto di Dio, la scalata dell'uomo al posto di Dio?
"L'umanità si sostituisce definitivamente a Dio" diceva Augusto Compte, non
pensando forse alla descrizione anticipata fattane da san Paolo a proposito
dell'Anticristo: l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si
contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di
culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio (2
Tess. 2, 3-4).
Se tale è appunto lo spirito del tempo, la questione per
noi è già chiusa,
Ma per non contentarci di una battuta tanto spiccia,
esaminiamo un po' quanti si vantano d'essere del loro tempo, di camminare col
loro tempo, e di rappresentarlo distinguendo i clamori di questo grande e
confuso parlamento., unanime solo nel proclamarsi fedele allo spirito
moderno!
Ecco a sinistra gli oltranzisti dell'anticristianesimo e del
naturalismo spinto fino alla negazione di Dio. Le loro posizioni sono chiare: in
filosofia, tutto, purché non si parli di Dio; nella morale le sabbie mobili
perché Dio manca; ultimo rifugio d'ogni sapere è l'agnosticismo, cioè
l'ignoranza sistematica nei riguardi delle sole cose che è necessario sapere.
Ora, se siffatti uomini sono quelli che più apertamente si vantano d'incarnare
la mentalità nuova, lo spirito del tempo, e che più si agitano per imporlo alle
masse e per trasmetterlo alle generazioni future, e se il loro vanto è reale, la
nostra scelta e immediata e senz'ambagi: un cristiano oggi non può essere del
suo tempo.
Al centro della torbida assemblea ci sono i naturalisti., quelli
cioè che lo amalgamano alla meglio con certi deteriori residui di filosofia
spiritualista e d'ignorato cristianesimo. È inutile dire che essi non credono al
soprannaturale; ma intanto in pratica mostrano di temerlo più del peggior
nichilismo filosofico, come praticamente mostrano di temere la Chiesa più della
rivelazione. Gente di centro e perciò gente del giusto mezzo; ma quando
dovessero scegliere, voteranno per la sinistra piuttosto che per la destra, con
Satana piuttosto che con Gesù Cristo. E perché mai? Perché sanno che Gesù Cristo
e la Chiesa forse chiederebbero loro di rinunciare allo spirito moderno com'essi
lo concepiscono, e al quale si sentono attaccati con tutta l'anima. Eccoli,
dunque, che disputano con gli empi radicali l'onore di rappresentare il nostro
tempo, gloriandosi d'esserne la espressione più perfetta, perché più addolcita e
più moderata. In questo caso, se questi campioni del compromesso fossero
realmente l'unico modo possibile di "essere del nostro tempo", noi ripetiamo
come sopra che siamo decisi a non essere del nostro tempo.
C'è finalmente la
destra. ove siedono o si agitano nostri amici e fratelli cattolici di
professione e di cuore: laici, sacerdoti e anche religiosi, che si mostrano
ansiosi d'essere del loro tempo e che non si lasciano sfuggire occasione per
biasimarci se non lo siamo (o non lo sembriamo). Ma quale senso danno costoro
alla fatidica espressione? Sarebbe sufficiente per loro adeguare i nostri mezzi
d'azione alle mutate condizioni di vita del mondo contemporaneo, ringiovanire
qualche procedimento apostolico o apologetico? Piacesse a Dio! Ma, purtroppo,
forte è la suspicione che essi vadano molto più lontano con le loro
esigenze!
Giustizia e carità esigono che non venga dato un troppo cattivo
giudizio sulle persone le cui intenzioni sono note solamente a Dio; ma intanto,
esaminando scritti, discorsi e idee di certi cattolici così gelosi d'esser del
loro tempo, chi non avverte qua e la una strana diminuzione del senso cattolico,
dello spirito di fede? A voler sintetizzare la mentalità di questi scrittori o
parlatori, si possono rilevare cinque lacune.
1 - Qualche volta fa
difetto la docilità alla fede. Roma ha parlato condannando errori o tendenze
pericolose? Gli incriminati discutono se si debbono o no sottomettere, avallano
o addirittura, con singolare illusione o più singolare audacia, cercano di
eludere il provvedimento dell'autorità, ritenendo che la condanna non li tocca,
perché essi non hanno mai avuto altri sentimenti che quelli della Chiesa; e ad
essi applaudono rumorosamente. E intanto -continuano a insinuare, se non a
professare, le opinioni che essa ha riprovato!
2 - Fa difetto la modestia
della fede; l'umile attenzione a non azzardar nulla, a camminare con l'autorità
e con l'antichità, sul filo millenario della tradizione cattolica; e si è,
invece, arditi, temerari e smaniosi d'essere originali.
3 - Molto spesso
fa difetto l'intransigenza dottrinale, tanto necessaria in necessariis; e
quanti e quali sintomi denunciano questa carenza! Minimismo, in materia
di fede e strano orrore per nuove definizioni come se fossero solo e
prevalentemente un giogo che affatica e non piuttosto una conquista sul dubbio e
sull'ignoranza; freddezza dell'ortodossia, riguardata come una vecchia signora,
onesta e rispettabile senza dubbio, ma rigida, sorpassata e nemica dell'estro
intellettuale. Rispetto agli erranti, agli increduli e agli apostati, tendenza a
esagerare, anche contro ogni prudente apparenza, l'ipotesi di lealtà e di buona
fede, tanto che, anche avanti alla morte e al giudizio, sembrerebbe che ben poco
importi che uno abbia o non abbia creduto e che, insomma, solo gli ortodossi
debbano temere per la loro salvezza. Rispetto poi allo stesso errore, - e non,
si noti, delle persone che lo seguono - spesso quale spreco di attenzioni e di
cortesia! Si elogeranno con amore le sette separate e le virtù che vi si
conservano; si esalterà la scienza degli eretici o dei razionalisti, mentre
verso la scienza cattolica si avrà diffidenza, se non disprezzo
addirittura.
4 - La quarta lacuna che si -riscontra in cattolici troppo
vogliosi di essere del loro tempo riguarda la santa e umile fierezza della fede.
Certo, non arrossiscono formalmente del Vangelo e della sua fede; però la
professano timidamente come un'opinione inoffensiva, qualche volta come una
specie di compatibile debolezza, che sarebbe crudeltà togliere ad anime che ne
sentono il bisogno. Sono come imbarazzati dal soprannaturale, dal mistero, dal
miracolo, e cercano di ridurli, di naturalizzarli quant'è possibile, allo scopo
di renderli meno inaccettabili all'orgogliosa ragione.
5 - Finalmente,
agli adoratori dello spirito moderno quasi sempre manca la logica della fede.
Essi dimenticano facilmente i suoi contatti necessari con tutte le scienze
umane, salvo forse le matematiche pure; il chiaro diritto che ha di richiamarle
sul retto sentiero quando l'abbandonassero entrando in contraddizione col dogma,
sicché non v'è verità contro la verità. E così si adagiano in una specie
d'innaturale scissione e opposizione tra il sapiente e il credente, sicché il
cattolico, e magari il sacerdote, è capace d'insegnare in filosofia o altrove
teorie inconciliabili col dogma, scusandosi col dire che parlano da filosofi, da
scienziati e non da teologi.
E oh, quanti altri ne potremmo enumerare di
affievolimenti della fede! Criticismo ad oltranza che mette in pezzi la Sacra
Scrittura; teologia fantastica che riduce i dogmi e li svuota d'ogni sostanza e
d'ogni realtà oggettiva, per conservarne soltanto una certa vibrazione del
sentimento nella quale consisterebbe in definitiva tutta la religione. Chi non
ravvisa in questi tratti quella sintesi di errori che fu il modernismo? Chi non
vede che, per quanto siano numerose le sue lusinghe è ottimiste le sue
apparenze, esso prepara la rovina d'ogni fede, e, o prima o dopo, a rigore di
logica, anche la rovina d'ogni certezza? Dal medesimo spirito e nata quella
morale nuova che si vanta dì essersi sbarazzata di alcune virtù "sorpassate" e
"passive" : come l'umiltà e l'ubbidienza, cioè quanto implica freno alla nostra
superbia o che non tiene conto della nostra vera condizione di creature, di
sfrenati e di peccatori. E non s'e sentito parlare d'un'ascetica senza
penitenza, senza direzione spirituale, persino senza propositi, in modo che, la
liberta si trova sempre tutta intera; di un disprezzare, e Dio solo,sa se si fa
in buona fede, i voti religiosi togliendo il dovuto onore allo stato religioso
che li propone? E in tutta questa strana pedagogia senza freni e senza
disciplina anche nei riguardi della morale, insomma, in quest'educazione senza
educazione, chi non ravvisa la parente prossima delle pazze teorie
dell'Emilio di Rousseau?
Ma fermiamoci qui, non senza però notare a
proposito di tutte le lacu-e rilevate, ch'esse, purtroppo, non sono affatto
irreali; infatti idee pericolose e atteggiamenti indisciplinati sono stati
professati da cattolici, specialmente da un secolo in qua (L'autore si riferisce
specialmente alle crisi razionalista e modernista che fecero gemere la Chiesa ai
suoi tempi. Purtroppo però le stesse cose potrebbe ripetere ai nostri giorni, in
cui razionalismo e modernismo hanno avuto come' un rigurgito tra i cattolici,
non meno forse subdolo e pericoloso, degli errori di mezzo secolo fa. Basta, per
convincersene, rileggere la forte enciclica Humani generis, cfr A.A.S.
del 42 (1950), 561-582). Quelle e questi tradiscono chiaramente un germe e un
primo stadio di quello spirito inquieto, di quell'espandersi istintivo dell'io,
e dì quel naturalismo che in certe anime ancora credenti tentano un compromesso,
se non proprio una conciliazione col soprannaturale, ma che, sviluppati sulla
stessa linea, generano gli increduli e i settari. Né dicendo ciò vogliamo fare
un processo alle intenzioni o alle tendenze! No: non ce l'abbiamo con le persone
ma con le idee per quello che sono e per le conseguenze che necessariamente ne
derivano.
Del resto, se anche delle persone fossero in causa, non sarebbe
questo un motivo per tacere; ché, se sarebbe ozioso e sciocco punire un uomo per
le sue tendenze, nel caso che fossero pericolose, per lui e per gli altri, ci
sarebbe motivo per avvertirlo, per non seguirlo per la china in cui si è messo e
-per allontanarne gli altri.
Infine notiamo che spesso tra i cattolici
proprio quelli che più ostentano e sostengono idee di questa natura sono quelli
che più si vantano di essere del loro tempo, e che ci biasimano se non lo
fossimo
III -
Intransigenza evangelica
Chiaramente così delineato il vero
senso della formula in sé troppo generica, siamo finalmente in grado di
ascoltare la risposta dello spirito di fede sulla questione pratica che vi è
connessa; e cioè : noi, cattolici istruiti e conseguenti, religiosi, gesuiti,
possiamo e dobbiamo essere del nostro tempo conformandoci al suo
spirito?
Ebbene! Assolutamente no! In tutto quel che tocca la religione, la
filosofia e la morale noi, sostenitori e cavalieri del soprannaturale, non
possiamo patteggiare col naturalismo; noi, campioni dei diritti di Dio, non
possiamo conceder nulla all'uomo che si atteggia a nemico di Dio; noi., compagni
di Gesù, non possiamo cospirare, per poco che sia, con quell'idolatria
umanitaria che in fondo, secondo, san Paolo, non e che lo spirito genuino
dell'Anticristo (2 Tess. 2, 4).
Si applicano a noi più che a ogni
altro le energiche ingiunzioni dell'apostolo., il quale, identificando in
pratica i tre termini di tempo secolo e mondo, intimava ai primi fedeli di
scegliere tra il tempo e Dio come tra due cose incompatibili: Nessuno si
illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia
stolto per diventare sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza
davanti a Dio (1 Cor. 3, 18-19).
Ma se lo spirito del tempo, del
secolo, del mondo, e lo spirito Dio . sono follia l'uno per l'altro, una terza
follia e maggiore sarebbe quella di chi pretendesse di metterli d'accordo: come
con non meno energici termini nota san Giacomo: Gente infedele! Non sapete
che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si
rende nemico di Dio (Gc 4, 4).
Dopo una siffatta perentoria
intimazione, non c'è, dunque, che prender partito, perché non possiamo davvero
rifugiarci nel sofisma che gli apostoli parlassero per il loro tempo e non per
il nostro! Per loro il loro tempo non era altro che il mondo condannato da Gesù
Cristo; lo spirito del loro tempo era lo spirito del mondo inconciliabile con
quello di Gesù Cristo. Le cose sono forse cambiate da allora? Forse lo spirito
del nostro tempo non é più quello del mondo? Si e fatto forse un accordo tra Dio
e il mondo, tra Cristo e Belial? (cf 2 Cor 6, 15)
No, non c'è via
d'uscita. Nei termini veri in cui il problema si pone, per esser di Dio bisogna
non esser del nostro tempo; per piacere a Dio bisogna dispiacere al nostro
tempo; per essere riconosciuto da Dio e confessato da Gesù Cristo davanti al
Padre suo, dobbiamo essere sconfessati, rinnegati e vituperati dallo spirito del
mondo. La natura stessa delle cose taglia corto a tutti i sogni di
riavvicinamento e di tolleranza tra estremi e nemici che non possono
assolutamente andare d'accordo.
Ora, da quale parte stiamo e vogliamo stare
noi? Vogliamo prendere le idee correnti e con esse vestire la nostra
intelligenza secondo la moda, oppure raggiungere in tutto la verità
(…ut in omnibus veritatem assequamur… S. Ignazio di Loyola, Esercizi
Spirituali, Regole per sentire con la Chiesa, n. 365).prendendo i
pensieri di Dio e la forma mentis di Gesù Cristo? Da chi e secondo che
cosa saremo giudicati in punto di morte? Sulle idee in voga, da un giurì
composto di giornalisti e di ecclesiastici "moderni", oppure sul Vangelo
immutabile, e da Gesù Cristo? Come non pensare che, mentre il mondo pretende di
avere e di darci la vera parola d'ordine del presente e dell'avvenire, Gesù ha
parole di vita eterna? Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna (Gv 6, 68).
Ascoltiamo, dunque senza impressionarci, e
malto meno scomporci, chi protesta, ci condanna e ci compatisce come gente
paralizzata e suicida; anzi, passando dalla difesa all'assalto sgommeremo i
nostri non richiesti "moderni" censori.
Se ci vituperano come immobili e
attaccati al passato quando tutto intorno a noi si muove e si evolve, chiediamo
loro di spiegarci questo termine equivoco! Lo intendono essi secondo il senso
originale, di un normale e progressivo sviluppo di un essere che resta
sostanzialmente lo stesso, come della ghianda che diventa quercia, del bruco che
diventa farfalla, del fanciullo che diventa uomo? Allora concediamo loro che si
le cose si evolvono. Ma ribattiamo subito che nella babele concettuale moderna,
evoluzione sta spesso per trasformazione radicale, quasi diremmo
transustanziazione reale, una dottrina vera cessando d'essere tale. E neghiamo
che veramente in questo senso tutto si evolva. intendendo che molte cose non si
evolvono se non alla superficie, permanendo intatta la -loro sostanza.
Altrimenti, se tutto si evolvesse nel loro senso nella natura fisica. addio
permanenza dei fenomeni e le loro leggi, addio alle nostre scienze, che
resterebbero senza fondamento! Si "evolverebbe" cosi la natura dell'uomo? Ma
questa sarebbe la fine di tante altre cose: della morale innanzi tutto, e anche
del senso comune! Forse Dio si evolverebbe? Ma sta scritto: Essi periranno,
ma tu rimani, tutti si logorano come veste, come un abito tu li muterai ed essi
passeranno. (Sal 101, 27-28). Forse Gesù Cristo? Indubbiamente no:
Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! (Eb 13, 8). Forse la
Chiesa? Ma allora Gesù Cristo, l'immutabile, non sarebbe più con essa fino alla
consumazione dei tempi e le porte dell'inferno prevarrebbero contro di essa!
Forse il dogma, con le ragioni che ne rendono razionale l'assenso? Forse la
morale coi suoi precetti e i suoi consigli? — No: non tutto si evolve! La verità
non si evolve; solo l'errore è una specie di serpente che cambia pelle, o,
meglio, si sforza di riuscirvi e non riesce ad altro che a rabbuiare qualche
specioso sofisma, vecchio quanto la superbia dell'uomo. Cerchiamo, dunque, la
nostra felicita dove si trova: nel restare immobili con Dio, nel guardare come
lui, con compassione e con compiacenza, passare questo carnevale multicolore di
fantasie umane. E noi sentiamoci fieri delle nostre forze nella
verità!
Se ci rinfacciano che col non essere del nostro tempo ci
precludiamo ogni facilità d'influsso su di esso, domandiamo a quale nostro
"influsso" si riferiscono, molti'increduli che ci accusano di mirare al dominio
del nostro tempo, a ogni costo e con ogni mezzo. Respingiamo l'errore e la
calunnia. Noi sappiamo di agire sul nostro tempo solamente per ricondurlo
all'immutabile, alla fede; alla Chiesa, a Gesù Cristo, a Dio. Ebbene! come ve lo
condurremo se noi stessi ce ne allontaniamo? Come potremo aspettarci di cambiare
lo spirito moderno, infettandocene noi? Può uno salvare un altro annegando con
lui? Chi non vede che per agire sul nostro tempo dobbiamo innanzi tutto non
appartenergli proprio nel senso in cui esso ci vorebbe suoi?
Se ci rifiutiamo
d'essere del nostro tempo, non è soltanto per la gloria di Dio, che non vogliamo
tradire; né soltanto per l'anima nostra che non vogliamo perdere; e anche per
amore al nostro tempo e ai nostri contemporanei che vogliamo salvare con noi. Ma
proprio perché lo amiamo questo tempo, e nella misura in cui l'amiamo, dobbiamo
contrariarlo, come il medico contraria i capricci dei suo malato, come un padre
serio e veramente affezionato combatte i difetti del figlio.
Né vale dire che
in tempo di peste un medico può e deve esporsi al rischio di prendersi il male e
di morirne per salvare i malati; ché il caso nostro é tutto diverso; si tratta
qui d'una peste intellettuale e morale dalla quale si guariscono gli altri
inoculandola a se stessi: si muore semplicemente con essi.
Se ci
replicheranno che cosi facendo ci condanneremo a una lotta senza quartiere e
senza tregua risponderemo che ce lo sappiamo benissimo, che "il nostro mestiere"
lo richiede; se ribatteranno che la nostra sarà una lotta senza speranza, e che
noi siamo vinti in anticipo come chi vuol far risalire un fiume alla sua
sorgente facendo retrocedere l'umanità, noi risponderemo che chi questo obietta
non è affatto sicuro che sia impossibile riportare nel mondo la fede che se ne
va. Chi mai può assicurarci che Dio, dopo aver dato al Figlio suo la gloria di
conquistare il mondo, non gli darà quella di riconquistarlo, e forse più d'una
volta, prima dell'Anticristo e della consumazione dei secoli? Che importa
l'esserne o no testimoni, se i nostri sforzi vi contribuiranno per la loro umile
parte? Perciò, quand'anche l'immensa maggioranza dei nostri contemporanei si
ostinasse contro la luce, non sarebbe questo per noi un motivo per rinunciare
alla conquista delle anime e per mettere la lampada sotto il moggio! — Non ci
riusciremo? Forse che Gesù Cristo esige che ci riusciamo? Ed e riuscito lui,
prima di salire al Calvario? Fino all'ora sanguinosa in cui, sollevato da
terra., egli attirò tutto a se, non furono, almeno in apparenza, men che
meschini i frutti del suo zelo? Dovremmo noi dunque sentirei in diritto e in
grado di ottenere di più? Faremo nostra la orgogliosa e vile massima: "o tutto o
nulla"?
Finalmente, se altri, nell'interesse stesso della Compagnia., alla
quale apparteniamo, ci apostrofasse: "Se voi persisterete nell'opporvi alle
grandi correnti moderne, esse vi sommergeranno, o gesuiti! Con la vostra rigida
ortodossia, con la vostra intransigenza dottrinale e morale, non vedete che già
alcuni cattolici e alcuni sacerdoti vi giudicano gente sorpassata., retrograda,
oggi più nociva che utile? Non vedete che state lavorando a diventare
insopportabili? Che la vostra Compagnia, rischia di soffrire l'impopolarità
universale?". — Rispondiamo che, se, Dio non voglia, essa dovesse perire prima
della fine dei tempi, che essa perisca per non aver voluto patteggiare col
naturalismo degli ultimi secoli! Per aver rifiutato di essere di un tempo che
rinnega Dio e ogni verità! Oh splendido martirio collettivo! La sua Compagnia.,
morta per averlo coraggiosamente confessato, Gesù Cristo la "confesserebbe"
davanti al 1Padre suo. Egli le direbbe, come Dio a Ezechiele: ma gli
Israeliti non vogliono ascoltar te, perché non vogliono ascoltar me (Ez
3,7), o, come a Samuele: costoro non hanno rigettato te, ma hanno
rigettato me, perché io non regni più su di essi (1 Sam 8,7).
Ma
l'ipotesi, grazie a Dio, è poco verosimile. Che le potenze della terra e i primi
schiavi dello spirito del, tempo possano rendere alla Compagnia l'esistenza
molto difficile, passi! Ma che la Chiesa, che un altro Clemente XIV la
distrugga, per non aver voluto essere del suo tempo, potrà mai Dio permettere
che il mondo veda questo inverosimile fenomeno? Circa, poi l'impopolaritá che ci
frutta la nostra ortodossia e l'intransigenza dottrinale e morale. non saremo
davvero noi a vergognarcene e a impaurircene! Lo spirito di fede ci assicura
ch'essa sarebbe per noi piuttosto una gloria, perché sarebbe un certificato di
fedeltà alla verità alla Chiesa, a Gesù Cristo, a Dio; ci fa vedere in essa
un'invidiabile partecipazione all'improperium Christi, che Mosè, al dire
di san Paolo, riteneva ricchezza maggiore di tutti i tesori d'Egitto (Eb
11, 24-26: Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio
della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio
piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava
l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto; guardava infatti
alla ricompensa.). Il quale san Paolo, poi, dopo aver ricordato che
Gesù Cristo soffrì fuori delle porte della città, concluse esortando: Usciamo
dunque anche noi dall'accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo
obbrobrio (Eb 13,13).
Certo non faremo violenza al testo
applicandolo all'argomento che ci occupa. Già una volta, per seguire la nostra
vocazione, siamo usciti dal campo tumultuoso e dalla Babilonia delle cupidigie
che, e il mondo, suddito di Lucifero (capo di tutti i nemici in quel gran
campo di Babilonia: S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, n.
140); e ne siamo usciti per raggiungere Gesù Cristo e schierarci sotto di lui, a
condizione di rivestirci della sua impopolarità e del suo ridicolo, del suo
improperium come sua livrea. Ma quest'inizio impegnava e regolava tutto il
seguito; poiché quale può essere il seguito della nostra vita: religiosa se non
lo sviluppo e il frutto della nostra vocazione? Exeamus
igitur ad eum extra castra. Usciamo, dunque, senza stancarci,
dalle pastoie del mondo e teniamoci fuori del tempo che ci vuol fare suoi!
Viviamo assolutamente e rigorosamente estranei al naturalismo e alle sue idee
dominanti; al culto del godere e dell'autonomia; nonché alle due grandi correnti
del secolo: la deificazione dell'uomo e la negazione, se non l'annientamento, di
Dio. Usciamo da tutto ciò: Usciamo!
Noi non siamo eremiti, certosini o
trappisti; per dovere di stato viviamo, mescolati col mondo, nella sua atmosfera
e nel suo contagio. Ma questa è una ragione di più per difendercene e per
liberarcene uscendone continuamente con lo spirito e col cuore, praticando lo
spirito di fede e il più generoso amore di Gesù Cristo: Usciamo! Non
temiamo che uscire così dal nostro tempo, prendendo una posizione intransigente
rispetto ad esso, sia un fargli danno, — no: noi non l'abbandoniamo o ce
ne disinteressiamo per egoismo! Non l'odiamo come qualcuno sospetta. Tutt'al
contrario, noi l'amiamo, e sappiamo che la nostra e l'unica maniera di amarlo e
di servirlo.
Ma soprattutto il nostro uscire dal mondo e dal tempo e l'unica
maniera di raggiungere Gesù e di restare con lui; Usciamo dunque… verso di
lui; usciamo incontro a Gesù che non sta con gli inconseguenti, gli
indecisi. Egli, così dolce e indulgente con gli uomini tanto da morire per tutti
loro, a proposito di dottrina e di morale è assolutamente categorico e
intransigente: le mie parole non passeranno (Lc 21, 33) e Chi
non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde (Lc
11,23). Gesù Cristo, amico e salvatore della nostra natura che si e degnato
di far sua, non può conceder nulla alla natura peccatrice e ribelle, cioè al
naturalismo. Se, dunque, il naturalismo, in un grado o in un altro., è lo
spirito caratteristico del nostro tempo, noi dobbiamo deciderci: se Gesù Cristo
non è col nostro tempo, e se non ci e possibile stare contemporaneamente con
Gesù e col suo avversario, concludiamo con il versetto Usciamo dunque anche
noi dall'accampamento e andiamo verso di lui! Portiamo come un ornamento e
un trofeo la parte della sua impopolarità e del suo obbrobrio che ci tocca:
Usciamo dunque anche noi dall'accampamento e andiamo verso di lui, portando
il suo obbrobrio. Per andare a lui, per raggiungerlo, non sarebbe troppo
caro prezzo il passare sul fuoco; e noi temeremmo di passare tra gli schiamazzi
e le collere del mondo? Esiteremmo, ad affrontare le debolezze, le illusioni, le
piccole viltà della nostra povera natura?
Lo spirito di fede ci mostra qui la
meta e la strada; lo spirito di fede ci ispirerà il coraggio di camminare
diritti e fermi per amore di questo povero tempo che non possiamo servire
diversamente; per amore delle nostre anime, che non possiamo salvare
diversamente; per l'amore supremo di Gesù Cristo, che non possiamo diversamente
raggiungere.
Testo tratto da: G. Longhaye S.J.,
Lo spirito dei fede, Roma: Civiltà Cattolica, 1953, pp.
105-121.