“ Bisogna sforzarsi di mostrare la
razionalità e la credibilità del Vangelo in rapporto al matrimonio e alla
famiglia, riorganizzando il sistema educativo della Chiesa. La spiegazione del matrimonio
e della famiglia a partire da una visione antropologica corretta (…) non è
soltanto una questione di fede (…) Il problema delle unioni di fatto
rappresenta una grande sfida per i cristiani, che devono essere capaci di
mostrare l’aspetto razionale della fede, la razionalità profonda del Vangelo
del matrimonio e della famiglia. Ogni annuncio di questo Vangelo che non sia in
grado di rispondere a tale sfida alla razionalità (…) sarebbe inefficace “(
Pontificio Consiglio per la famiglia, Famiglia, matrimonio e - unioni di fatto
-, supplemento a L’Osservatore romano n.47, 24 novembre 2000, n. 45 e n. 48).
In ogni essere umano è presente il desiderio di realizzare
un amore perfetto in cui potersi abbandonare totalmente: all'origine di questo
desiderio c'è, nell’inconscio , il desiderio di Dio.
L'amore fra l'uomo e la donna è per sua natura
limitato e soggetto al fenomeno della delusione: pretendere dalla relazione di
coppia un amore senza limiti, senza difetti, senza delusioni in cui potersi
abbandonare totalmente, significa non comprendere la necessità dello sforzo
quotidiano, dell'impegno, del sacrificio e della responsabilità per la riuscita
del rapporto.
La vita di coppia è un habitat privilegiato che
favorisce un continuo processo di crescita psicologica ed umana nei partners e
nei figli ed è un luogo dove può crescere più facilmente l'amore autentico
verso la persona il cui valore viene considerato superiore al valore del
piacere.
Questo habitat favorisce e custodisce l'amore
verso la persona solo quando costituisce un universo psico - ecologico stabile
in cui vivere e relazionarsi con l'altro.
Jurg Willi, direttore della clinica psichiatrica
dell'Università di Zurigo e docente di psichiatria e psicoterapia, dice che in
ogni essere umano è presente il desiderio di potersi abbandonare nel
completo godimento di un eterno abbraccio: si tratta del desiderio di realizzare
il perfetto abbandono nell'amore.
Nella vita il perfetto abbandono nell'amore si
limita solo ad alcuni momenti di felicità che sono impossibili da prolungare e
conservare.
Nel periodo che caratterizza l'innamoramento,
per esempio, si crea un clima d'intenso entusiasmo affettivo in cui gli
innamorati sperimentano la sensazione momentanea del perfetto abbandono
nell'amore, la sensazione di un'accettazione incondizionata e totale al di là
dell’io e del tu, del tempo e dello spazio: non si tratta dell'assoluto ma
di una finestra da cui si può intravedere la trascendenza.
Questo tipo d'amore, inizialmente, non conosce
altro bisogno se non quello di stare insieme, ma si tratta di un periodo che
ha una durata limitata e che precede lo sforzo quotidiano per la riuscita del
rapporto.
L’innamoramento è il periodo in cui si desidera
realizzare con la persona da cui si è attratti un’unione completa, esclusiva,
totale e, nello stato nascente di questo movimento che gli innamorati
intraprendono verso l’obbiettivo della fusione affettiva, essi sperimentano una
sensazione intensa, straordinaria, esaltante.
L’entusiasmo affettivo straordinario che si ha
nel periodo dell’innamoramento è uno stato transitorio destinato a diminuire
appena inizia l’amore, che consiste nello stare insieme veramente con la realtà
e con la totalità della persona dell’altro: amore deriva dalla parola greca ama
che significa insieme.
Anche se la scelta del coniuge, che deve essere
fatta in base a criteri di affinità e di affidabilità dal punto di vista delle
idee e dei progetti di vita, è stata una buona scelta, appena la conoscenza si
fa più profonda, attraverso l’unione con tutti gli aspetti della vita
dell’altro, ci si rende conto che l’altro è un essere imperfetto come noi:
quando si vive veramente insieme con una persona, quando si vivono insieme le
costrizioni della vita quotidiana, le preoccupazioni materiali e le
responsabilità comuni, diventa sempre più evidente che l’amore fra l’uomo e la
donna è per sua natura un amore limitato, soggetto a tensioni, difficoltà,
delusioni e non in grado di realizzare le aspettative e le sensazioni esaltanti
che accompagnano l’innamoramento.
L’amore fra l’uomo e la donna è un amore in cui
non è possibile abbandonarsi completamente nelle braccia dell’altro senza avere
più problemi, ma è un amore in cui occorre fare uno sforzo quotidiano per la
riuscita del rapporto, cioè occorre l’impegno della volontà e della ragione, il
sacrificio, la responsabilità, la capacità di perdonare, la capacità di
ricominciare.
La relazione fra l’uomo e la donna non è immune
da tensioni e difficoltà ma, al contrario, è sempre insistentemente minacciata
e richiede di essere difesa, rinnovata e costruita ogni giorno.
Da dove nasce l’entusiasmo affettivo
straordinario degli innamorati che sentono e intravedono la possibilità di
potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio?
Questa sensazione meravigliosa nasce da
un’esigenza che è prettamente spirituale. In ogni essere umano è presente la
tendenza verso l’assoluto, il bisogno di un bene infinito, assoluto, totale:
questo bisogno è in realtà un bisogno di Dio perché nessun bene materiale,
nessun amore umano può essere infinito, assoluto, totale.
Per Jurg Willi, l'aspirazione al perfetto
abbandono nell'amore ha il carattere archetipico dell'unione mistica: è il
desiderio di uno stato originario in cui ci si fonde liberamente in un tutto
più vasto, si fa parte di qualcosa che tutto comprende.
Si tratta del desiderio di ritornare a quella
situazione paradisiaca in cui lo stato d'isolamento si dissolve e si confluisce
in una coscienza trascendente. E', in fondo, una nostalgia religiosa
dell'unione mistica con Dio, nella quale ci si svuota di ogni creatura limitata
e imperfetta per essere riempiti della Divinità. Nell’inconscio di ogni essere
umano, all'origine del desiderio d'amore c'è il desiderio di Dio. In questa
vita, infatti, il perfetto abbandono nell'amore si limita ad alcuni momenti
impossibili da prolungare e conservare: ogni amore umano è, per sua natura,
limitato, imperfetto, soggetto alla delusione, incapace di riempire
completamente il cuore dell'uomo.
Tutti gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi
completi e appagati totalmente, tutti hanno bisogno di questa pienezza, tutti
hanno bisogno di essere riempiti da Dio e nessuno è un recipiente con le stesse
capacità di un altro: il Paradiso è proprio quella condizione in cui ognuno
avrà tutto ciò che basta per lui.
Credere che sia possibile trovare nel coniuge o
nell'amante colui o colei che possa soddisfare tutti i nostri bisogni e tutte
le nostre aspirazioni costituisce propriamente l'illusione del cosiddetto amore
romantico
L'amore romantico è un tentativo di realizzare lo stato
paradisiaco in terra attraverso un'esperienza di solidarietà perfetta con un
essere umano che viene ritenuto portatore di qualcosa di assoluto e che ci è
sempre mancato.
Si tratta di un desiderio verso la totalità,
verso la perfezione che dà origine ad una sorta di ossessione della fantasia concentrata
sull'immagine della persona amata le cui caratteristiche sembrano avere un
fascino speciale.
Gli studiosi di psicologia concordano nel
ritenere che, in realtà, l'immagine che seduce negli innamoramenti di tipo
romantico - e soprattutto nella fenomenologia del colpo di fulmine - è un'immagine
interiore che l'altro è stato capace soltanto di richiamare alla mente: si
tratta di una dimensione interna che emerge, l'individuo viene - rapito - non
dall'essere che gli sta dinanzi ma da un'idea di cui era inconsciamente
portatore, un'idea che viene risvegliata ed evocata dall'incontro.
L'amore romantico non funziona mai perché non
appartiene alla realtà dei rapporti umani, esso è il surrogato di un'esigenza
religiosa che non ha trovato o che ha smarrito la propria consapevolezza: nasce
dal tentativo di attribuire ad una creatura umana un valore di infinità, dal
tentativo di concentrare su questa il desiderio insoddisfatto di perfezione e
di infinito.
Quando il desiderio di realizzare il perfetto
abbandono nell'amore viene cercato non in Dio ma nelle creature, il cuore
dell'uomo diventa inquieto e questo può indurre ad una ricerca quasi morbosa di
rapporti sentimentali o sessuali che tuttavia non sono in grado di soddisfarlo.
(cfr Jurg Willi, Che cosa tiene insieme le coppie, Arnoldo
Mondadori editore, Milano 1992, traduzione di Paola Massardo e Palma Severi,
pp.20-24; cfr Francesco Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1992,
pp.21, 57, 62, 77-78; cfr Aldo Carotenuto, Eros e Pathos, Bompiani, Milano
1994, pp.21-25, 41-47; cfr M. Scott Peck, Un’infinita voglia di bene,
Frassinelli editore, Como 1995, traduzione di Laura Sgorbati Buosi, pp.224-225
)
S. Agostino, che prima della conversione
confessava di non poter dormire in un letto senza una donna, scrive :"Ci
hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore sarà irrequieto fin quando non si
abbandonerà in Te"( citato in S. Tommaso d’Aquino, Opuscoli
teologico-spirituali, ed Paoline, Roma 1976, traduzione di P. Raimondo M.
Sorgia o.p., pag. 254 )
La dottrina della Chiesa Cattolica ricorda che
il bisogno di un amore assoluto e perfetto troverà soluzione e appagamento
soltanto nella vita del mondo che verrà perché solo l'unione con Dio farà
nascere nell'uomo un amore di tale profondità in grado di soddisfare ogni
bisogno ed in grado di rendere inutile la stessa necessità del matrimonio, la
stessa necessità della relazione sessuale: solo la perfetta comunione con Dio
realizzerà la perfetta comunione con se stessi e con gli altri. Per questo
Nostro Signore Gesù Cristo rivela che: - alla risurrezione.... non si prende
né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo–(Mt 22,30; cfr
Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, Città
nuova editrice e Libreria editrice Vaticana, Roma 1985, capitolo 68 )
Pretendere dalla relazione di coppia un amore
senza limiti, senza difetti, senza delusioni significa non comprendere la
necessità dell'impegno, del sacrificio, della responsabilità per la riuscita
del rapporto.
Gli orientamenti del pensiero moderno sull'amore
pongono l'accento soprattutto sugli aspetti utilitari del rapporto uomo -
donna, siano essi di natura sentimentale o sessuale. Si possono comprendere
tali orientamenti nel concetto generico di amore libero, da intendersi come
antitetico al concetto di amore vero.
La cultura moderna dell'amore libero ha
contribuito soprattutto a diffondere la falsa convinzione che i rapporti di
coppia debbano donare un clima di intenso entusiasmo affettivo, una grande
felicità o un grande piacere, in questo modo gli individui sono ossessionati
dal culto idolatrico del grande amore o della sessualità totalmente appagante e
i rapporti di coppia sono destinati al fallimento sin dall'inizio a causa delle
eccessive pretese di felicità perché l'amore viene concepito in modo astratto,
non riferito alla comunione di vita con la totalità della persona del partner,
privato dell'impegno e della responsabilità; in molti casi l'amore viene
addirittura consegnato al libero mercato della domanda e dell'offerta e ridotto
ad un oggetto di consumo.
Si pretende, infatti, dai rapporti di coppia
quello che non si pretende da altri rapporti umani come quelli con i genitori o
con i figli. Chi non è particolarmente felice con i genitori o con i figli non
si affretta a sciogliere il suo rapporto con loro.Dai rapporti di coppia,
invece, si pretende un pieno soddisfacimento.
Non si riesce più a concepire il fatto che le
sofferenze e le limitazioni nell'ambito di una convivenza, se accettate e
vissute positivamente, sono indispensabili aspetti del processo di crescita
individuale all'interno del rapporto e quindi viene a mancare la convinzione
che, in un rapporto di coppia, sopportare anche delle lunghe crisi possa
tornare a vantaggio dell'evoluzione personale. ( cfr J. Willi, op. cit., pag
6, pp.10-11 )
Lo psichiatra svizzero Jurg Willi dice che la
vita di coppia deve essere studiata secondo un'ottica – psicoecologica - : cioè
nella vita di coppia la persona deve essere vista come - entità relazionale -
che si sviluppa con il partner creando con esso un universo psicologico in cui
abitare.
Secondo la psicoecologia il rapporto di coppia
viene visto come uno degli strumenti fondamentali per rendere più facile
all'uomo lo svolgimento del più importante dei suoi doveri esistenziali: la
propria crescita psicologica ed umana.
Scrive Willi che "- chi vive con un
altra persona è sollecitato a rendersi comprensibile all'altro, e diventa
quindi più trasparente anche a se stesso-". (
J. Willi, ibidem, pag 204 )
L'uomo, da solo, con molta difficoltà riesce a
prendere coscienza dei propri difetti e delle proprie illusioni. La coppia,
invece, è un luogo privilegiato della cura del sentire e del pensare perché
luogo dell'intimità, dell'unione fisica e psicologica e quindi luogo dove viene
condivisa e messa a nudo la realtà totale.
In questo habitat privilegiato, che è il legame
di coppia, è possibile prendere più facilmente coscienza del proprio modo di
essere cognitivo - comportamentale e quindi autocriticare e smascherare le
proprie idee irrazionali, le illusioni, le fanatizzazioni, le emotivizzazioni,
i disordini affettivi ed intellettivi ( che si oppongono ad un'autentica
crescita psicologica ) attraverso il confronto diretto con l'altro e con la
critica che proviene dall'altro.
Scrive Willi:-"i coniugi si convalidano
a vicenda le regole individuali, la concezione del mondo (...) fino ad arrivare
agli innumerevoli dettagli della vita quotidiana, di cui sovente essi stessi
non erano coscienti finché non sono stati loro segnalati dal partner. La
convivenza stimola dunque a prendere continuamente posizione e ad autodefinirsi
(...) le regole individuali vengono continuamente verificate e corrette (...)
il raccontarsi a vicenda libera da un'ottica unilaterale e soggettiva e ha
un'importante funzione di rigenerazione e di compensazione. (...) Abitare in un
universo costruito in comune consente di vedere il mondo reale con altri occhi.
(...) In ogni caso un rapporto di coppia è un continuo processo di crescita e
di cambiamento, nel quale costantemente si soffre, si ridimensionano le
aspettative e si ricomincia daccapo"-. ( J. Willi, pp. 202-205, pag
102 )
L’amore fra l’uomo e la donna è un amore in cui non è possibile
abbandonarsi completamente nelle braccia dell’altro senza avere problemi, ma è
un amore in cui occorre fare uno sforzo quotidiano per la riuscita del
rapporto. La vita di coppia, per l’impegno che comporta da parte di tutte le
componenti della personalità, sentimento, ragione e volontà, è l’ambiente che
favorisce la crescita dell’amore autentico verso la persona e che permette un
continuo processo di crescita psicologica nei partners: questi due aspetti sono
fondamentali per la formazione psico – affettiva dei figli.
Qual è l’amore autentico? L’amore autentico è
quello che cerca prima di tutto il vero bene dell’altro e non il proprio
benessere.
L’amore autentico non è fatto solo di belle
sensazioni e di bei sentimenti ma è fatto di sacrificio, di perdono, di aiuto
reciproco. L’amore autentico è una strada diversa da quella di chi cerca
soprattutto il proprio benessere, l’assenza di dispiaceri, delusioni,
contraddizioni, è una strada diversa da quella di chi rimane insieme con
un’altra persona soltanto fino a quando tutto procede senza problemi.
Quello dell’amore autentico è un percorso
faticoso e difficile ma è un percorso che mette al primo posto il bene
dell’altro, è un itinerario diametralmente opposto a quello dell’egoismo e che
porta a concepire e a vivere un amore sempre più disinteressato, simile a
quello di Dio, un amore che mette al primo posto il valore della persona e non
il valore del piacere.
Insegna Giovanni Paolo II che “- (…) l’amor
coniugalis non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un
impegno verso l’altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di
volontà “-( Giovanni Paolo II, Discorso al tribunale della Rota Romana,
21- 1- 1999 ).
Stare insieme stabilmente con una persona comporta un impegno
totale e il rapporto a due favorisce la crescita psicologica perché, chi vive
con un altro, è costretto a conoscere meglio se stesso: per rendersi
comprensibile all’altro, infatti, deve rendersi comprensibile a se stesso, deve
mettersi in discussione, deve cercare ciò che è giusto oggettivamente al di
fuori delle proprie visioni unilaterali e soggettive.
Nella vita di coppia si diventa più facilmente
consapevoli della soggettività delle proprie interpretazioni attraverso il
confronto con la continua critica che viene dall’altro.
Secondo la – psicoecologia – il rapporto di
coppia stabile rappresenta una fonte naturale e preziosa di psicoterapia.
L’innamoramento è propriamente il desiderio di
stare insieme con l’altro e cioè il movimento verso l’altro determinato
dall’attrazione verso i suoi valori, oppure determinato dall’attrazione verso
l’idea che ci si è fatta dell’altra persona – ripiegamento sul proprio
sentimento -: mentre la pura e semplice attrazione è uno stato passeggero,
l’innamoramento è un’attrazione che tende a perdurare nel tempo, diventando uno
– stato affettivo – ( cfr Massimo Introvigne, Le domande dell’uomo, Cirone,
Torino 1984, p. 117 ). Il periodo dell’innamoramento può andare avanti
anche qualche anno ma resta sempre un periodo relativamente breve perché le
emozioni alte che costituiscono il meccanismo psicologico dell’attrazione sono
destinate a cessare appena la convivenza diventa più ravvicinata e il contatto
con la realtà trasforma l’oggetto del desiderio in una persona concreta e
imperfetta come noi.
Scrive lo psicanalista Piero Bellanova,
segretario nazionale della società psicoanalitica italiana, che il periodo
dell’innamoramento “- (…) è il momento che nella vita di un individuo
suscita le maggiori emozioni, fa riaffiorare aspetti adolescenziali e infantili
con tutta una serie di comunicazioni che non fanno parte normalmente dell’età
adulta.
Le emozioni sono più risonanti, più coinvolgenti
(…) sono comunque tali da far sì che l’individuo colpito esca dalla routine
abituale della sua vita e cominci a viverne un’altra. E’ come se uomini e donne
si staccassero di colpo dal comune senso di realtà proponendosi l’uno all’altro
in modi che sfiorano la patologia. (…) Il periodo dell’innamoramento è sempre
relativamente breve perché si scontra presto - appena la convivenza diventa più
ravvicinata – con la realtà, che non è mai quella utopizzata. Le piccole cose
quotidiane, anche se non sempre avviliscono l’amore, lo rendono molto più –
banale -. Così l’innamoramento sfuma in un sentimento che apparentemente sembra
aver dimenticato le punte alte e gli eccessi, per dedicarsi semmai alla
formazione di un’unione approfondita e costante. Quelle emozioni che
l’innamoramento ha dato sembrano cessare, o quanto meno sfioccarsi, pronte
magari a riaffiorare in circostanze cruciali della vita a due”- ( Piero
Bellanova, L’innamoramento, l’amore, in Dieci Psicoanalisti spiegano i temi
centrali della vita, a cura di Stefania Rossini, Rizzoli, Milano 1987, pp. 77
–78 ).
Nel caso degli amanti – termine usato per
indicare prevalentemente rapporti illeciti e segreti -, l’innamoramento è
destinato a prolungarsi per un periodo maggiore a causa della mancanza di una
piena comunione di vita. Al di fuori delle costrizioni della vita quotidiana a
due, delle preoccupazioni materiali e delle responsabilità comuni, ognuno dà il
meglio di sé e la speranza di una – perfezione – del rapporto, l’illusione di
una – intimità speciale – possono durare più a lungo.
Solo gli amanti possono mantenere in vita per
più tempo il – mito dell’anima gemella –, ma il loro entusiasmo affettivo è
destinato a diminuire appena il desiderio di stare insieme diventa più concreto
e pretende di essere verificato. In genere possono realizzarsi due condizioni
fondamentali: gli amanti possono cercare di rendere effettivo il loro desiderio
di essere insieme e la convivenza ravvicinata mostrerà progressivamente che la
realtà non è mai quella sperata e utopizzata.
L’altra condizione consiste nel fatto che uno
dei due amanti, prima o poi, porrà all’altro il problema di vivere insieme: -
se ci amiamo veramente dobbiamo vivere insieme -., - se mi ami veramente devi
rinunciare a tua moglie o a tuo marito - . La non disponibilità di uno dei due
di assumere un impegno effettivo con l’altro, dimostrerà la natura illusoria e
la sostanziale falsità dell’idealizzazione romantica dell’amore.
Scrive il sociologo Massimo Introvigne che “- (…)
l’innamoramento non è ancora vero amore: l’innamoramento offre materiali,
mattoni per una costruzione che è successiva”- ( Massimo Introvigne, op. cit.,
p.118 ).
L’amore, che consiste nello stare insieme
veramente con la totalità della persona dell’altro, implica un giudizio
razionale sul materiale offerto con l’innamoramento e sul tipo di
rapporto giusto che si intende costruire con l’altro.
Il giudizio razionale fa giustizia di molte
illusioni perché cerca di capire com’è veramente l’altra persona – i suoi
criteri di giudizio, i suoi valori di riferimento, la sua prospettiva
religiosa, i suoi interessi, i suoi difetti, la sua disponibilità ad
autocriticarsi e correggersi ecc. – e si rende conto che non tutto è facile e
che una convivenza esige sacrifici.
Nella vita di coppia non si vive insieme con un
desiderio, un entusiasmo, un sentimento ma con una persona concreta.
Al giudizio razionale segue l’impegno della
volontà di donarsi interamente all’altro e questo impegno presuppone la
reciprocità. L’innamoramento è un fatto passionale legato ai sentimenti, cioè
alle sensazioni e alla sensibilità, mentre l’amore riguarda anche la ragione e
la volontà.
Nell’amore di coppia - amore coniugale –
vengono impegnate tutte le componenti della personalità ed esso richiede la
capacità di integrare queste componenti: sentimenti, sensibilità, ragione e
volontà ( cfr Massimo Introvigne, ibidem, pp. 117-121 ).
Dopo il giudizio razionale sul materiale offerto
con l’innamoramento, occorre riflettere sul tipo di rapporto giusto che
si deve costruire con l’altro. Qual’è il tipo di rapporto giusto che si deve
costruire con l’altro? L’esperienza psico – biologica dell’innamoramento rivela
che alla base di questo processo c’è il bisogno di unicità o – monogamia -. La
genesi dell’amore avviene nella primissima infanzia ed è l’amore fra la madre e
il figlio: la madre che china sul volto del figlio, fino ad allora immerso in
una vita opaca e indistinta, vi fa nascere il miracolo del primo sorriso (
cfr C. Jamont, Bruxelles, La libertà comincia in due, in Enciclopedia della
sessualità, a cura di A. Willy e C. Jamont, trad. italiana, ed. Borla, Bologna
1974, p.634 ).
Il bisogno di unicità fa nascere il processo
dell’innamoramento, anzi, questo bisogno di unicità viene potenziato
soprattutto durante l’innamoramento. Ogni essere umano sa di essere portatore
di un’inconfondibile specificità: noi vogliamo essere amati in quanto esseri
unici, insostituibili, assolutamente noi stessi. Scrive il sociologo
Alberoni:”- vogliamo essere vissuti come unici, straordinari, indispensabili
da chi è unico, straordinario ed indispensabile. Per questo l’innamoramento è
monogamico e non può che essere monogamico (…).
Noi, ogni singola persona, siamo diversi da
tutti gli altri e lo sappiamo, ma è solo nell’innamoramento che questa nostra
individualità irriducibile viene colta e apprezzata in modo totale. Un segno
sicuro ed inconfondibile dell’amore è questo apprezzamento della specificità e
unicità dell’altro. L’apprezzamento che sentiamo venire da lui ci consente di
apprezzare noi stessi, di dare sostanza di valore al nostro io” ( F. Alberoni,
op. cit., pp.41 – 42 ).
Nello stato nascente dell’amore, gli innamorati promettono
di essere, l’uno per l’altro, l’unico uomo e l’unica donna ma promettono anche
di amarsi per tutta la durata della vita: nell’innamoramento emerge una realtà
che è inscritta nella natura umana, un bisogno specificamente umano di amore
unico – cioè monogamico – e stabile – cioè indissolubile -.
Ognuno di noi vuole poter essere amato come
persona unica ed insostituibile e amato per tutta la durata della sua vita:
nessuno di noi vuole essere amato soltanto per qualche aspetto della sua
persona, ma ognuno di noi ha bisogno di essere amato per quello che è il centro
e il cuore della sua personalità, cioè l’io spirituale fatto di coscienza e
volontà.
Rientra nella logica dell’autentico amore coniugale il promettersi di essere,
l’uno per l’altro, l’unico uomo e l’unica donna: questa verità può essere
offuscata e dimenticata nel corso delle difficoltà coniugali, nel contrasto
inevitabile fra le passioni e la ragione ma essa è presente nel subconscio
spirituale dell’essere umano. La ragione, guidata e sostenuta dalla fede, è in
grado di poter conoscere le verità che devono essere poste alla base di un
giusto rapporto di coppia: queste verità consistono nella monogamia e
nell’indissolubilità. Dopo l’innamoramento, solo un legame di coppia monogamico
e indissolubile permette di costruire un habitat in cui il valore della persona
sia considerato superiore al valore del piacere. Divorzio e poligamia sono le
facce di una stessa medaglia: esse sono unicamente o prima di tutto delle
istituzioni atte a permettere la realizzazione del godimento sessuale dell’uomo
e della donna ma non l’unione completa delle persone ( cfr. Carlo Wojtyla,
Amore e responsabilità, Marietti, trad. italiana, Casale 1979, pp.30- 34,
pp.197- 211 ).
Come impedire che l’uomo e la donna si strumentalizzino
reciprocamente senza amarsi veramente, come impedire che il sesso diventi il
fine, anche se non sempre consapevole, delle relazioni fra l’uomo e la donna,
invece di essere ciò che deve essere e cioè segno e strumento di reciproca e
totale donazione fra due persone di sesso complementare ?
Per impedire questo, bisogna che entrambi i
partners abbiano un bene comune e oggettivo da amare e a cui subordinare ogni
altro bene soggettivo, utile o piacevole che sia. Nel matrimonio questo bene
comune e oggettivo è la discendenza, la famiglia e la crescente maturità nei
rapporti delle due persone su tutti i piani della comunità coniugale ( cfr
Carlo Wojtyla, ivi, p.21 ).
Solo nei confronti di una persona – cioè solo
all’interno di una scelta monogamica e indissolubile - sarà possibile assumere
un impegno esclusivo e totale finalizzato alla piena comunione interpersonale,
al reciproco perfezionamento e all’educazione dei figli: educazione che deve
avvenire nella stabilità e nella continuità di quell’unione da cui i figli
stessi sono nati.
I coniugi non devono cercare in un’altra donna o
in un altro uomo ciò che devono costruire e realizzare con il proprio partner.
Ogni sforzo che venisse indirizzato dai coniugi verso un’altra persona di sesso
complementare, allo scopo di costruire con lei un’unione psicologica, affettiva
o sessuale, sottrarrebbe – energie – all’amore coniugale: questo bloccherebbe
la crescita e il perfezionamento della vita di coppia, provocando una –
lacerazione – profonda nella relazione stessa. Non bisogna dimenticare che
l’amore coniugale è un’opera che nasce soprattutto dall’impegno della volontà e
della ragione verso una persona e all’interno di un ordine morale oggettivo:
l’amore coniugale è soggetto a un continuo processo di sviluppo e di
rinnovamento e deve essere sempre nutrito, curato, difeso.
Scrive Guido Gatti che “- istinto e sentimento, lasciati a se
stessi, verrebbero travolti da crisi e difficoltà ricorrenti se non fossero
sorretti dalla decisione spirituale di appartenenza reciproca. Le stesse
istituzioni giuridiche possono svolgere, in questo, solo un compito sussidiario
di sostegno.
Ci si può chiedere fino a che punto sia
autentico un amore che sembra a volte ridotto alla sola volontà di essere
fedeli a qualcosa che non si sente più, fino a che punto l’uomo in questo caso
scelga liberamente e fino a che punto resti schiavo di una scelta passata e non
più condivisa.
Certo la realtà psicologica può essere complessa
e diversissima da caso a caso e si può effettivamente dare anche questa
situazione – limite in cui l’amore sembra ridursi a una forma di volontarismo
disumano.
Bisogna però ammettere l’esistenza di una
libertà dello spirito capace di sovrapporsi alla spontaneità della carne: in
fondo solo le decisioni spirituali sono veramente libere. Del resto, se è vero
che l’amore non può restare a lungo privo delle sue basi d’istinto e di
sentimento, resta anche vero che sotto la guida di una volontà sincera,
simpatia e tenerezza possono superare facilmente momenti di crisi e riemergere
più forti e non meno sinceri –“ ( Guido Gatti, Morale sessuale educazione
dell’amore, Elle Di Ci, Torino 1987, pp. 36 –37 ).
Il Concilio Vaticano II dice che per tenere fede
agli impegni dell’amore coniugale occorre “- (…) una virtù fuori del
comune(…)”- ( Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo del 7 dicembre 1965, n. 49 ) e questo accade perché le
esigenze dei sentimenti, che accompagnano l’attrazione fra l’uomo e la donna,
esercitano una speciale e particolarissima violenza contro la ragione e la
volontà: “- l’amore è un tipo d’esperienza in cui l’affermazione della
razionalità si trova di fronte a spinte contrapposte, quasi a una certa
resistenza del senso e del sentimento che sembrano volere affermarsi autonomamente,
far valere le loro – ragioni – anche contro la ragione -“ ( Massimo Introvigne,
op. cit., p.124 ).
Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che
il peccato originale ha avuto come prima conseguenza la rottura della comunione
fra l’uomo e la donna: da allora la loro unione è sempre minacciata dalla
discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia e da
conflitti che possono arrivare fino all’odio. Questo disordine ha un carattere
universale e senza l’aiuto della grazia l’uomo e la donna non possono giungere
a realizzare l’unione delle loro vite ( cfr Catechismo della Chiesa Cattolica
n. 1606, 1607 1608 ).
Solo un rapporto di coppia stabile può favorire
un processo di crescita e di maturazione: la cultura dell'amore libero, invece,
trasforma il rapporto di coppia in un rapporto soltanto di tipo utilitario:
secondo questa visione esclusivamente utilitaria si rimane insieme soltanto
fino a quando si è in grado di ricavare dalla relazione un utile, cioè un
benessere fisico e/o affettivo.
Il rapporto di tipo utilitario, però, è
destinato a mantenere e ad alimentare il narcisismo dei partners ed i loro
disordini affettivi ed intellettivi: in questo senso la cultura dell'amore
libero, che si concretizza nelle avventure sessuali, nell'adulterio, nel
divorzio o nella convivenza, contribuisce a determinare un habitat psico -
ecologico disordinato ed instabile che non fa crescere l'amore autentico verso
l'altra persona, l'amore che cerca prima di tutto il vero bene dell'altro, ma
favorisce l'egoismo, il narcisismo e la ricerca predominante o esclusiva del
proprio benessere.
Le esperienze dell’amore libero creano un
ambiente instabile un ambiente in cui si rimane insieme solo fino a quando si è
in grado di ricavare dalla relazione un utile, un ambiente in cui il valore del
piacere viene considerato superiore al valore della persona.
La verginità ed il celibato nella vita
consacrata non contraddicono l'itinerario di crescita e di maturazione dell’amore
autentico che si ha nella vita di coppia stabile perché anche essi
costituiscono un legame con Dio e con la comunità verso i quali il consacrato
deve mettersi al servizio in maniera completa, esclusiva totale, libera da ogni
vincolo e interesse. ( cfr 1 Cor 7,25-40 )
Anche queste scelte, quando sono vissute nella coerenza, creano un tipo di vita dove è più facile mettere al primo posto il
vero bene degli altri: il religioso, infatti, attraverso il sacrificio della
sessualità e della famiglia, conserva con minore difficoltà la consapevolezza
che solo in Dio è possibile trovare un amore perfetto e totale e può imparare
ad amare le persone in maniera disinteressata, al di fuori della ricerca
predominante del proprio piacere: il religioso ha la possibilità di farsi dei
figli e dei fratelli mediante la misericordia e la carità.
Solo la stabilità della convivenza può costruire
un habitat che offre sicurezza e intimità ai partners e solo nel rapporto a
lungo termine l'amore per la persona, il cui valore viene considerato superiore
al valore del piacere, può diventare la condizione di base dell'habitat
psicoecologico in modo da dare luogo ad un continuo processo di crescita nel
quale costantemente si soffre, si ridimensionano le aspettative e si ricomincia
daccapo "- (...) nella vita dell'adulto la più profonda e personale
esperienza di relazione è il rapporto amoroso . (...) Un più frequente
cambiamento di partner è legato alla mancanza di uno stabile senso di
sicurezza, ripetuti scioglimenti di unioni comportano uno smembramento
dell'habitat spirituale e materiale, frequenti interruzioni di un percorso
comune sottraggono continuità alla propria storia e la libertà dai legami
definitivi rende difficile diventare fecondi"- ( J. Willi, ibidem, pp.
263-265 e ivi cfr pp. 76-78 )
Amore, abbiamo detto, deriva dal greco ama che
significa insieme: la vita di coppia monogamica ed indissolubile è l'unica
condizione che rende possibile all'uomo e alla donna di essere - insieme - in
una maniera totale, senza riserve e calcoli egoistici.
Willi non giunge a formulare queste verità
definitive sull'amore umano e cioè non giunge a concepire la verità e la
necessità della monogamia e dell'indissolubilità.
Ciò non deve meravigliare considerando il fatto
che la ragione umana non è una facoltà dotata dell'infallibilità: la ragione
può sbagliarsi nei suoi giudizi sia per difetto di conoscenza e sia perché il
conflitto fra le passioni disordinate e la volontà può confondere l'itinerario
della ragione facendoci ritenere falso o quantomeno dubbio ciò che non vorremmo
fosse vero: questo contrasto fra le passioni e la volontà e fra la volontà e la
ragione è particolarmente presente nelle relazioni fra l'uomo e la donna perché
in questo tipo d'esperienza il sentimento spesso fa valere le sue - ragioni -
contro quelle della ragione stessa.
Nell'amore fra l'uomo e la donna ciò che è vero
e giusto entra facilmente e drammaticamente in conflitto con le esigenze
momentanee del piacere, dell'attrazione, della sensibilità, del sentimento.( cfr.
Catechismo della Chiesa Cattolica n. 37 )
Tuttavia le ricerche di Jurg Willi e quelle di
altri sociologi e psicologi sono preziose quando gli elementi di verità, come
tessere di un mosaico, vengono sistemati secondo una sequenza logica ed
unitaria all'interno di un quadro organico e più ampio.
Questo lavoro di sistemazione può essere svolto
in maniera più spedita quando la ragione opera all'interno dell'orizzonte
fornito dalla fede, la quale fornisce le coordinate, i punti cardinali, la
direzione di marcia, consentendo di purificare gli elementi di verità, di
elevarli ed inserirli lungo la direzione indicata dalla verità sostanziale
rivelata.
Nella Chiesa esiste il deposito della verità:
questo deposito è costituito dalla verità rivelata sostanziale ma la
Rivelazione non è offerta già esplicitata e richiede uno sviluppo di conoscenze
che non esime dalla ricerche e dalle fatiche umane.
La Rivelazione è la parola definitiva e completa
di Dio ma questa parola è come un giacimento, una miniera che contiene tutti i
tesori della sapienza e della scienza i quali devono essere pazientemente
conosciuti ed estratti: “- (…) anche se la Rivelazione è compiuta, non è però
completamente esplicitata: toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente
tutta la portata nel corso dei secoli –“ ( Catechismo della Chiesa Cattolica n.
66 )
Ogni comandamento, ad esempio, è una verità sostanziale di natura
morale, una indicazione generale che racchiude al suo interno un numero
infinito di verità morali da conoscere e da approfondire.
L’annuncio della fede è “ (…) certamente
conservatore nel senso che custodisce e conserva le radici dell’uomo. Proprio
in questo, però, tale annuncio è al tempo stesso creativo perché così offre
all’uomo la possibilità di crescere e di progredire, possibilità che non può
darsi senza l’indicazione di una direzione in cui muoversi ”.( Joseph
Ratzinger, Collaboratori della verità, San Paolo, Torino 1994, traduzione di
Annarita Torti pp. 270-271 )
Il progresso, nella Chiesa, non riguarda il
deposito dove è custodita la verità sostanziale rivelata ma riguarda la
comprensione soggettiva della verità contenuta nel deposito, nel senso che
viene reso esplicito ciò che è implicito e viene dedotto ciò che è deducibile e
le cose nuove che vengono comprese e spiegate non sono in antitesi con le
antiche precedentemente spiegate ma sono in perfetta continuità e servono per
approfondirle e svilupparle: l’intelligenza o comprensione, tanto della realtà
quanto delle parole, contenute nel deposito della fede, progredisce nella vita
della Chiesa. (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 94). Scrive il
pensatore cattolico Gomez Davila che, nella Chiesa cattolica, “ per rinnovare
non è necessario contraddire, basta approfondire.”(cfr Giovanni Cantoni, Gomez
Davila il conservatore, Dizionario del pensiero forte, a cura dell’istituto per
la dottrina e l’informazione sociale )
Giovanni Paolo II ricorda che la ragione non
deve essere separata dalla fede ma deve trovare nella fede un alleato prezioso:
quando il lavoro della ragione viene inserito nell'orizzonte della fede, allora
la ragione può percorrere la sua strada in maniera spedita, senza ostacoli e
fino alla fine. (cfr Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, lettera enciclica circa
i rapporti tra fede e ragione, San Paolo, Milano 1998, n.16 )
Per quanto riguarda l'indissolubilità, le
ricerche scientifiche e gli studi più recenti confermano che il divorzio
rappresenta uno dei più seri pericoli per la salute – psicosociale - : il
divorzio non risolve i problemi della persona ma ne crea di nuovi.
Si è visto statisticamente che i separati in
generale corrono maggiori pericoli di cadere nell'alcolismo e in altre
dipendenze, di commettere suicidio e ammalarsi di disturbi fisici e psichici:
la percentuale di decessi fra i divorziati è più del doppio rispetto agli
uomini sposati.
Gli studi sulle
conseguenze del divorzio nei figli hanno dimostrato che i danni psicologici che
vengono prodotti diventano più gravi nel tempo e permangono in età adulta. (
cfr J. Willi, op. cit., pp. 7 –11 )
La sociologa Judith Wallerstein, che ha
pubblicato i risultati di un'ampia ricerca sociologica, dimostra che i figli
dei divorziati portano quasi tutti cicatrici emotive così profonde che li
rendono incapaci di avere relazioni stabili da adulti.
Anche la Joseph Rowntree Foundation ha compiuto
uno studio sui danni psicologici che il divorzio provoca nei figli. Il dottor
John Tripp dell'università di Exter, in Inghilterra, ha tenuto sotto
osservazione centinaia di bambini appartenenti a due campioni di studio: i
figli delle famiglie rimaste integre, pur fra litigi e incomprensioni, e i
figli dei divorziati che hanno uno dei genitori che si è risposato. Lo studio
ha dimostrato che la guerra in casa è meglio del divorzio e che i figli dei
divorziati soffrono di più e presentano danni psicologici più gravi.
Gli individui del
primo campione (quelli con la guerra in casa) mostrano la capacità di superare
con relativa semplicità i traumi provocati dai litigi mentre i secondi si
trovano in una condizione oggettivamente peggiore: presentano segni di una
maggiore sofferenza psicologica, scarsa stima di se stessi, difficoltà di
relazione ma soprattutto presentano una profonda incapacità di superare le
difficoltà inerenti alla vita di coppia e quindi una disposizione all'intolleranza
verso il proprio coniuge: i figli dei divorziati non hanno conosciuto,
attraverso i modelli parentali, la possibilità del perdono e quindi i dinamismi
comportamentali che portano al pentimento ed alla riconciliazione ( cfr J.
Willi, ibidem; Paolo Filo Della Torre, la guerra in casa meglio del divorzio,
uno studio: i figli dei divisi soffrono di più, La Repubblica 8 febbraio 1994,
pag 21; cfr Vittorio Zucconi, legge e divorzio, la ricerca sociologica di
Judith Wallerstein, La Repubblica 4 giugno 1997; cfr Joseph Rowntree
Foundation, Children living re-ordered families, Social Policy Research
findings N° 45, february 1994, Published by the Joseph Rowntree Foundation The
Homestead 40 Water End York YO3 6LP )
Questo studio fa
riflettere sul fatto che, nei casi di grave conflittualità familiare, la
soluzione estrema per i mali estremi non è il divorzio ma la separazione perché
questa non comporta l'abbandono del partner e la formazione di una nuova
famiglia e quindi lascia aperta la porta ad una futura riconciliazione.
La dissoluzione del
rapporto di coppia danneggia gravemente i figli, nei quali giunge, perfino, a
provocare una cronica incapacità di vivere in comunione con l'altro, di
sopportare e superare le difficoltà, di riconciliarsi, di saper perdonare e
ricominciare.
Il dottor C. Haffter, dell'Università di
Basilea, nota che la dissoluzione familiare, quando nella generazione dei nonni
la cifra dei divorzi supera la media, è un trauma profondo che danneggia i
figli rendendoli incapaci di avere legami stabili di coppia, dando luogo con
maggiore probabilità ad un effetto a catena che può propagarsi per almeno tre
generazioni. Questa sorta di - ereditarietà - dell'infelicità coniugale dipende
in gran parte da una anormale evoluzione di tipo nevrotico. ( cfr C.
Haffter, Il divorzio e la sorte dei figli, in Enciclopedia della sessualità, a
cura di A. Willy e C. Jamont, edizioni Borla, Bologna 1974, pp. 355-356, op.
cit. )
Anche il sociologo M.
Barbagli sottolinea il fatto che il divorzio è un processo che si auto
-alimenta e si auto - rafforza: i figli dei divorziati hanno maggiore
probabilità di divorziare rispetto a coloro che provengono da relazioni
stabili. ( cfr Donata Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino,
Bologna 1992, pag 55 )
Il divorzio danneggia
i figli ferendoli gravemente nella volontà, nell'intelligenza, nella memoria,
negli affetti. La restaurazione di un abito virtuoso capace di sopportare,
di sacrificarsi, di rinunciare, di perdonare, di ricominciare, richiede da
parte dell'individuo, ferito dalle colpe dei genitori, uno sforzo maggiore, uno
sforzo eroico ed un percorso più lento e tutto in salita.
Le esperienze traumatiche della dissoluzione
familiare determinano degli effetti che perdurano nel tempo condizionando il
comportamento della persona, lasciando un'impronta nel suo temperamento, un
ricordo che rende più difficile il controllo delle proprie reazioni.
Il sociologo G.
Campanini fa notare che l'introduzione del divorzio ha determinato in alcune
componenti della popolazione un atteggiamento di minore responsabilità nei
confronti dell'impegno coniugale che viene preso: questo dimostra come la
legge divorzista, che non protegge l'istituto familiare dalla dissoluzione,
comporta la perdita della consapevolezza sociale del bene rappresentato dalla
integrità familiare e quindi influisce negativamente sulla famiglia stessa
perché contribuisce a - deformare - il comportamento delle persone. ( cfr
Donata Francescato, ibidem, pag 56 )
Il Catechismo della
Chiesa Cattolica dice che il divorzio determina gravi danni nei coniugi, nei
figli e nella società: il suo effetto contagioso lo rende una vera piaga
sociale (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2385 )
I disordini affettivi
ed intellettivi spingono verso la strada dell'amore libero e l'amore libero
mantiene, consolida, sviluppa e propaga tali disordini.
I disordini affettivi
ed intellettivi che portano all'amore libero possono essere compresi
all'interno di quattro cause fondamentali:, il bisogno di conquista, la tendenza
umana verso l'assoluto che viene fissata su qualcosa di relativo, la perdita
dell'identità di genere e quindi la fine della complementarietà fra l'uomo e la
donna, la tendenza a gustare il frutto proibito
Queste cause in realtà
non presentano confini ben delimitati, ma sono variamente associate, sfociano
l’una nell’altra e solo per esigenze descrittive abbiamo cercato di
catalogarle.
Abbiamo già scritto (
p.3 ) che l’amore romantico è un tentativo di realizzare lo stato paradisiaco
in terra attraverso un’esperienza di solidarietà perfetta con un essere umano
che viene ritenuto portatore di qualcosa di assoluto che ci è sempre mancato.
Quando il desiderio di realizzare il perfetto abbandono nell’amore viene
cercato non in Dio ma in un essere umano, il cuore dell’uomo diventa inquieto e
questo può indurre ad una ricerca quasi morbosa di rapporti sentimentali o
sessuali che tuttavia non sono in grado di soddisfarlo. Una nuova relazione,
con il periodo iniziale dell’innamoramento, permette di proiettare nell’altro
il desiderio di una felicità assoluta e totale. Il nuovo, in quanto ignoto, si
presta a questa proiezione: si tratta della costruzione di un Paradiso
artificiale momentaneo. La comunione di vita implica la conoscenza della realtà
della persona e ogni conoscenza rivela difetti e imperfezioni delle creature e
anche il fatto che esse sono soggette alla legge del mutamento: tutto cambia,
la bellezza e la giovinezza sfioriscono ma anche il carattere è soggetto al
cambiamento.
Lo psichiatra americano M. Scott Peck – che ha
diretto l’istituto di igiene mentale al New Milford hospital, nel Connecticut –
scrive che l’amore romantico è una delle più grandi illusioni.
“- Il grande ideale
americano di amore romantico crede che sia possibile per Cenerentola cavalcare
col principe verso un tramonto di orgasmi infiniti “-. Chiunque crede “- (…)
che in un rapporto l’amore romantico non debba finire mai è destinato a una
delusione dopo l’altra. Ritengo infatti che uno dei maggiori problemi di questa
e di altre culture sia la ricerca di Dio nell’ambito dei rapporti di amore
romantico tra umani.
Quel che facciamo è guardare al coniuge o
all’amante come a un dio. Cerchiamo nel coniuge o nell’amante colui o colei che
possa soddisfare tutti i nostri bisogni e tutte le nostre aspirazioni, che ci
porti a un durevole Paradiso in terra.
E non funziona mai.
Tra i motivi per cui non funziona – che si sia consapevoli o meno di ciò che si
fa – c’è la violazione del primo comandamento che afferma:- Io sono il Signore
Dio tuo, e non avrai altro Dio all’infuori di me -. Tuttavia è molto naturale
fare così. E’ naturale voler avere un Dio tangibile, qualcuno che non solo
possiamo vedere e toccare ma che possiamo anche afferrare, abbracciare, con cui
possiamo dormire e che forse possiamo persino possedere. Così continuiamo a
cercare nel coniuge o nell’amante un dio e facendolo dimentichiamo il vero
Dio-“. (M. Scott Peck, Un’infinita voglia di bene,
trad. italiana, Frassinelli, Como1995, pp. 224-225).
La nostra citazione di
Peck non vuole assolutamente essere un’approvazione di certe idee
relativistiche di questo autore che, secondo il sociologo Massimo Introvigne,
può essere considerato il precursore dell’attuale Next Age, anche se il suo
recente percorso culturale lo avrebbe portato dal buddismo zen e da una
posizione strettamente individualistica verso un cristianesimo non ben definito
( cfr Massimo Introvigne, New Age e Next Age, Piemme, Casale Monferrato (
AL) 2000, pp.18-20 ).
Il sesso al di fuori
di un’unione totale e indissolubile – e già questa non preserva da abusi e
disordini – viene vissuto in modo narcisistico e può essere anche la
conseguenza di motivazioni inconsce che nascono da strategie difensive
nevrotiche e quindi sbagliate che cercano di compensare, attraverso la
relazione sessuale, problemi conflittuali interiori.
Un’approfondita
indagine clinica ha evidenziato vari disturbi nevrotici che si nascondono
dietro la motivazione sessuale: tra queste motivazioni non autentiche, che
nascono da problemi profondi non risolti, ci sono i rapporti sessuali che
vengono cercati come tentativo di difendere la stima di se stessi, per essere
confermati, per sentirsi importanti e anche come prova di potere-dominio su
un’altra persona perché si vuole dimostrare a se stessi di essere attraenti,
capaci di attirare un’altra persona. Spesso il soggetto è spinto alla ricerca
del rapporto sessuale dal bisogno di essere rassicurato sulla propria mascolinità
o femminilità perché non si sente normale o adeguato: questo bisogno è forte
negli adolescenti, ma può continuare ad essere presente anche negli adulti che
non hanno superato i propri complessi d’inferiorità. Altra motivazione
nevrotica che può nascondersi dietro il desiderio sessuale è quella di cercare
attraverso la relazione un momentaneo sollievo dall’ansia: si abusa del sesso
come dell’alcol, si cerca nel sesso una sensazione passeggera di benessere
anche per evitare stati d’animo spiacevoli, come la solitudine o la paura della
morte, della malattia. (
cfr Friederich Mary-Anna, Motivations for Coitus in Clinical Obstetrics and
Gynecology, 3 (1970 ), pp.691-700).
La perdita
dell’identità di genere
Una causa che porta
alla dissoluzione familiare può essere trovata nella perdita dell’identità di
genere e quindi nella fine della complementarietà fra l’uomo e la donna.
L’habitat psico-ecologico della coppia, per poter esistere, presuppone la
differenza e la complementarietà dei soggetti che lo costituiscono. La famiglia
è una realtà costituita da una certa unione, da un certo focolare, da una certa
divisione dei compiti che nasce dalla paternità e dalla maternità e quindi da
una certa gerarchia: è evidente e logico che questo habitat non possa avere un’esistenza
reale se vengono a mancare questi tratti fondamentali ( cfr Louis Salleron,
L’avvenire della famiglia, in Cristianità, anno I, n.2, Piacenza,
novembre-dicembre 1973 ).
Ulrich Beck, uno dei
maggiori sociologi viventi, dice che la famiglia è ormai una categoria zombie,
specie da quando le donne sono entrate nel mondo del lavoro. Da un punto di
vista sociologico non si riesce più a dare una definizione di unità di base
della società e Beck ricorre alla definizione del sociologo francese Claude Kaufmann:
la coppia nasce quando due persone comprano una lavatrice insieme ( cfr
Giancarlo Bosetti, Beck il rischio globale della seconda modernità, Corriere
Della Sera, 5 gennaio 2001, p.31; cfr http//www.caffeeuropa.it, attualità del
12-01-01, La coppia? E’ comprare una lavatrice insieme ).
Il Catechismo della
Chiesa Cattolica insegna che la famiglia è una realtà sociale la cui esistenza
dipende dalla differenza dei compiti fra l’uomo e la donna: l’uomo e la donna
devono riconoscere e accettare la propria identità perché la vita familiare,
l’armonia della coppia e della società dipendono dal modo in cui si vivono e si
sviluppano le differenze e le complementarietà fra l’uomo e la donna ( cfr
Catechismo della Chiesa Cattolica n.372,2333, 2203 ).
Donata Francescato,
che insegna psicologia di comunità nell’università di Roma, ha effettuato
un’ampia ricerca sociologica sui motivi della dissoluzione familiare. Il
fattore che maggiormente ricorre nella dinamica delle separazioni è la perdita
del ruolo tradizionale della donna all’interno della famiglia: dove è
maggiormente mutato il ruolo della donna, dove la donna è più interessata
all’ambiente extrafamiliare, lì è più elevato il tasso delle separazioni ( cfr
Donata Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino, Bologna 1992, p.157 ).
In tutti i paesi
occidentali l’impennata del numero dei divorzi si è avuta nel periodo in cui è
avvenuto un forte aumento dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e il
tasso di divorzio resta direttamente proporzionale al tasso di lavoro
extrafamiliare svolto dalle donne ( cfr ivi, p.55).
Ciò che incide
maggiormente nella disgregazione familiare è, dopo la mancanza di interessi
comuni, la perdita del ruolo tradizionale della donna all’interno della
famiglia ( cfr ivi, p.57 ).
Da un punto di vista
psicologico, la fine della divisione dei compiti fra l’uomo e la donna comporta
la fine della complementarietà e questa la fine del bisogno dell’altro come soggetto
complementare di una relazione esistenziale che vada oltre il semplice e
momentaneo incontro di tipo genitale. L’identità nasce dalla consapevolezza fra
ciò che in noi è uguale agli altri e ciò che è diverso dagli altri. L’amore
nasce dalla giusta disuguaglianza fra persone equivalenti cioè di uguale
valore: ogni individuo, infatti, si dirige verso l’individuo diverso da lui per
completarsi. Tanto maggiori sono le differenze, tanto più investono tutti i
livelli della persona, tanto maggiore sarà il bisogno vicendevole di
relazionarsi, di completarsi e di aiutarsi: come nel magnetismo, tanto più i
poli sono diversi, tanto più essi si attraggono. Possiamo dare e ricevere solo
ciò che abbiamo di diverso e specifico: nessuno ha bisogno di ricevere ciò che
già possiede. L’incontro tra due persone uguali, per la costruzione di una
società comune, produce soltanto conflittualità e competizione: l’amore e la
fecondità hanno bisogno di armonia e l’armonia è l’unità nella diversità.
La perdita dei ruoli
determina con il tempo una perdita dell’identità di genere: sono fenomeni
interdipendenti, l’uno provoca l’altro. Da ricerche sociologiche recenti sono
emersi fenomeni sociali crescenti di androginia e di indifferenziazione ( cfr
Donata Francescato, op.cit., p.158).
Il bisogno di identità non è una tendenza
indotta dall’ambiente ma un bisogno cognitivo fondamentale il quale, se non
viene soddisfatto, genera disagio e alienazione, aumentando i conflitti
familiari e sociali ( cfr Irenaus Eibl-Eibesfeldt, Etologia Umana, le basi
biologiche e culturali del comportamento, Bollati-Boringhieri, Torino,1998,
p.410 ).
Una delle cause che
spinge l’essere umano verso la strada dell’amore libero è la tendenza a gustare
il frutto proibito. Il poeta pagano Ovidio, nato nel 43 avanti Cristo, che fu
l’idolo della gioventù aristocratica romana, di cui interpretava le esigenze
edonistiche, descrive il fascino particolare del proibito nelle relazioni
sessuali:- tendiamo sempre verso ciò che è proibito e desideriamo
soprattutto quello che ci è negato (…) ciò che è lecito non dà piacere,
quello che è proibito infiamma (…) spesso l’amore appagato si muta in noia e
procura fastidio, come un cibo troppo dolce”- ( Publio Ovidio Nasone, La
saggezza degli antichi, a cura di Federico Roncoroni, Milano 1993, pp.335-336
).
Che cos’è propriamente il proibito? Il
proibito - da pro habere – è ciò che abbiamo davanti e quindi ciò che è lontano
da noi. Tutto quello che è lontano dalla nostra esperienza e dalla nostra
conoscenza può essere più facilmente trasformato in un oggetto del
desiderio: la lontananza permette di proiettare nell’altro i nostri sogni,
le nostre fantasie, i nostri desideri illusori. In questi casi l’attrazione non
avviene nei confronti di un individuo reale del quale condividiamo tutti gli
aspetti della vita e della personalità, con i suoi difetti, le sue esigenze, le
sue sofferenze, ma l’attrazione è determinata soprattutto da un’idea che ci
siamo fatti di una data persona: questa idea preconcetta, dettata dal bisogno e
dalla speranza, trasforma e nasconde la realtà dell’altro grazie alla
lontananza, trasforma l’altro in un – contenitore - delle nostre
fantasie sessuali e / o sentimentali.
Questo gusto del proibito nasce da una separazione
o frattura psicologica che si produce fra il sesso – inteso in senso lato come
sensibilità, sentimento, passione – e l’amore, che è lo stare insieme con la
realtà e la totalità della persona dell’altro: si tratta di una separazione
che origina dalla tendenza umana al piacere momentaneo e disordinato.
Questa situazione di disordine e di separazione
fra le passioni e l’amore e la difficoltà ad unire le diverse componenti
psicologiche, presente in ogni essere umano, può essere potenziata e aggravata
da alcune situazioni particolari: l’aver ricevuto un’educazione cosiddetta –
asessuale -, una problematica conflittuale non risolta con il genitore dello
stesso sesso – che possiamo comprendere nella nozione generica detta complesso
di Edipo -, i rapporti pre-matrimoniali, le convivenze e i cosiddetti matrimoni
per esperimento. Prima di parlare dettagliatamente di queste situazioni occorre
capire che cos’è il piacere disordinato
Felicità deriva da fertile ed una pianta per
essere fertile, per dare frutto, presuppone un itinerario, un processo: la
semina, la coltivazione, lo sviluppo, la potatura e la raccolta.
Per un uomo essere fertile significa vivere in
armonia con le leggi fondamentali della realtà e con la propria natura: cioè in
armonia con tutte le componenti della propria personalità. Questo presuppone un
cammino perfettibile e mai perfetto attraverso il quale l’uomo cerca di
conoscere sempre meglio la verità e di metterla in pratica e presuppone un
itinerario attraverso il quale la persona cerca di riportare ad unità e secondo
un ordinamento gerarchico le potenze dell’anima che sono entrate in conflitto a
causa del peccato originale: in ogni uomo c’è il bisogno di integrare e
coordinare le passioni con la volontà, la volontà con la ragione e la ragione
con la verità e da questo processo, che intende ordinare tutte le potenze
dell’anima fra di loro e nei confronti della verità, nasce propriamente la
condizione che chiamiamo felicità. San Tommaso d’Aquino spiega che la felicità
consiste primariamente nell’attività intellettuale - che è propria dell’essere
umano - e risulta soprattutto dalla contemplazione della verità:
secondariamente la felicità ha carattere affettivo perché rendendo l’uomo
felice in ciò che gli è essenziale, tutto l’uomo diventa felice in ogni sua
dimensione ed attività ( cfr San Tommaso d’Aquino, II Sent. d. 4, q. 1, a.
1; Summa Teologica I- II, q. 3, a. 4).
La felicità – fertilità
è dunque uno stato, una condizione incipiente e perfettibile fondata su un
processo che si concluderà in Paradiso, con uno stato di felicità perfetta.
I piaceri sono buoni
solo quando sono il risultato e la conseguenza della realizzazione di
obbiettivi giusti ed adeguati: il piacere ed il desiderio sono fattori da
ordinare e da vivere all’interno di un processo che intende integrare e
coordinare gerarchicamente le potenze dell’anima fra di loro e nei confronti
della verità.
Il piacere disordinato
è il piacere momentaneo di una facoltà che entra in contrasto con le altre
componenti della personalità, con i bisogni di natura spirituale che,
nell’uomo, si trovano sempre mescolati con forme inferiori e biologiche di
bisogni ed entra in conflitto con le leggi fondamentali della natura che l’uomo
è in grado di conoscere mediante la sua ragione (vedi paragrafo su istinti e
bisogni umani ).
Giuseppe Cesari, ordinario di psicologia clinica
all’università di San Diego in California, dice che l’aspetto specifico della
natura umana è il bisogno di significato e introduce in psicologia il concetto
di fecondità che è analogo a quello di felicità: felice è il termine
corradicale di fecondo. Secondo Cesari, ad esempio, nel campo sessuale la
genitalità risulta pienamente soddisfacente solo se è vissuta all’interno di
un’autentica relazione d’amore perché, altrimenti, rimane inappagato quel
bisogno fondamentale, vero – basic need – che consiste nell’essere in
una vera relazione con l’altro (cfr Giuseppe Cesari, in Giuseppe Cesari e
Maria Luisa Di Pietro, L’educazione della sessualità, La Scuola, Brescia 1996,
pp. 27-38 e 46-50 ).
Il piacere è propriamente la quiete che si ha
nel raggiungere e possedere l’obbiettivo del proprio desiderio, mentre il
desiderio è il movimento verso un obbiettivo.
Quando l’oggetto del proprio desiderio è
inadeguato – in quanto non naturale e non conforme alla giustizia – il possesso
è imperfetto rispetto alle aspettative per colpa della inadeguatezza della cosa
posseduta nei confronti delle esigenze più profonde della persona, il piacere
momentaneo viene frustrato perché l’uomo si sente insoddisfatto e diviso,
contemporaneamente schiavo del male fatto e deluso dal piacere ottenuto: il
movimento del desiderio non cessa ma diventa ossessivo e non si ha il vero
piacere che è la quiete di tutte le facoltà nel bene amato. Dal movimento ossessivo
del desiderio nasce il – culto – della novità e del cambiamento perché
quando la realtà, con il suo ordine e le sue finalità, viene sostituita e
deformata dall’immaginazione, l’intelligenza, privata dell’oggetto suo proprio,
non è mai sazia del nutrimento inconsistente che le viene offerto e ne reclama
subito un altro perché finché si viaggia verso un falso obbiettivo si può
continuare a sognare ma quando ci si ferma per possederlo esso delude le
aspettative. Nel caso della genitalità, ad esempio, quando il sesso viene
privato del suo ordine e della sua finalità, quando viene separato dall’amore
autentico e dalla tenerezza, gli atti sessuali – disordinati – producono
assuefazione ma non attenuano il bisogno sessuale il quale, ad ogni
ripetizione, viene esaltato: l’innalzamento della soglia richiede l’aumento
continuo dello stimolo sessuale, la ricerca della novità e del cambiamento, la
ricerca di nuove perversioni per ottenere lo stesso effetto.
Emblematico è il libro dello psicoterapeuta
americano Jack Morin che, nella ricerca di nuove perversioni da giustificare e
propagandare, introduce alla pratica del – fisting - . Per chi è ormai abituato
all’uso sessuale contro natura dell’ano e del retto, ora è il colon che sta
diventando oggetto di interessi particolari. La pratica del fisting consiste
nell’introdurre gradualmente - l’autore parla di molte ore di pratica - la mano
intera e lo stesso avambraccio attraverso l’ano per raggiungere il colon.
Morin, che segue i meccanismi di un desiderio ormai separato dalla ragione e
dalla realtà, dice che, chi mette in atto questa forma di perversione, resta
affascinato dalla sensazione che dà l’esplorazione all’interno del corpo del
partner e afferma che alcuni descrivono questa esperienza come una forma di
meditazione ( cfr Jack Morin, Il piacere negato, fisiologia del rapporto
anale, trad.it.,editori riuniti, Roma 1994, pp. 111-112 ).
Tra l’uomo e le passioni disordinate, tra l’uomo
e le cattive abitudini si può venire a creare un rapporto e si può attivare un
meccanismo analogo a quello che s’instaura nel caso delle tossicodipendenze:
ogni abitudine sbagliata, anche se impedisce la felicità dell’individuo, ne
determina uno stato di schiavitù, un circolo vizioso fatto di delusioni e di
ricerca ossessiva di piaceri momentanei ottenuti aumentando la – dose – o
attraverso la ricerca di nuovi oggetti di – perversione -.
Rollo May, il padre della psicologia
esistenzialista americana, spiega che ogni atteggiamento sbagliato porta con sé
la sua sofferenza e la sua delusione ma, quando si instaura una forma di
dipendenza, la persona non riesce più ad utilizzare la sofferenza e la
delusione in modo costruttivo e cioè mettendole in relazione con
l’atteggiamento sbagliato ma, a causa dell’abitudine e dell’illusione, finisce
per trasformarle in un circolo vizioso ( cfr Rollo May, L’arte del
counseling, il consiglio, la guida, la supervisione, trad. it., casa editrice
Astrolabio-Ubaldini, Roma 1991, pp 98-102 ).
Una psicoterapia ancorata alla realtà
dovrebbe tenere conto del fatto che in ogni essere umano è presente un
conflitto fra la tendenza al piacere disordinato e la tendenza alla giustizia.
Esiste un'esperienza fondamentale che facciamo tutti: in certi casi vediamo con
certezza che dovremmo fare una certa cosa che riconosciamo essere buona per noi
e tralasciare un'altra che riconosciamo essere cattiva ma dalla quale possiamo
ricavare un piacere momentaneo e disordinato.
In questa situazione la scelta giusta e
conveniente implica uno sforzo perché dobbiamo superare la nostra repulsione di
fronte a qualcosa che sul momento non ci piace e ci costa fatica.
Questa situazione di conflitto ci fa soffrire e
da essa nasce lo sforzo necessario e quotidiano per mettere ordine fra le
componenti della personalità.
La necessità che gli uomini hanno di mettere
ordine dentro se stessi, lo sforzo quotidiano che devono fare per comandare se
stessi testimoniano l'esistenza di una situazione di disordine che è presente
all'interno di ogni essere umano, di una ferita che tutti abbiamo al nostro
interno.
Una ferita è sempre una situazione di
lacerazione, di disordine che si è prodotto fra gli elementi di un tessuto che
era originariamente integro e quindi ordinato: l'esistenza di una ferita
presuppone sempre l'esistenza di uno stato di ordine che c'era ed è stato perso.
Il conflitto fra la tendenza al piacere
momentaneo e disordinato e la tendenza alla giustizia e quindi il conflitto fra
le passioni e la volontà, tra la volontà e la ragione è un conflitto che è
presente all'interno di ogni uomo ed è il risultato di una misteriosa ferita
originale dell'umanità.
“ Ignorare che l’uomo ha una natura ferita,
incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della
politica, dell’azione sociale e dei costumi “ ( Catechismo della Chiesa
Cattolica n. 407).
Omero, che è uno dei primi autori pagani che ci
sono pervenuti, presenta in tutte le sue opere il più vistoso dei conflitti che
assillano l’uomo: la lotta fra la mente e il cuore, cioè fra la ragione e le
passioni. Questo conflitto all’interno dell’uomo spinge gli eroi omerici
all’instabilità psichica. Così, nel libro XXII dell’Odissea, Odisseo “ rimproverò
il suo cuore con il ragionamento “.
L’episodio che meglio mostra questo conflitto
che c’è nell’interno dell’uomo e il tentativo di unificare le componenti
psichiche in lotta, è quello delle sirene. Odisseo prevede con la mente
la possibilità che il proprio impulso, passando accanto alle sirene, venga
allettato dal loro canto in modo da disubbidire alla ragione e andare incontro
alla morte accecato dalla passione. Odisseo previene il pericolo facendosi in
anticipo legare dai marinai a cui ha accuratamente turato le orecchie con la
cera affinché non siano sedotti dal loro canto.
In questo caso la passione viene ridotta
all’obbedienza con la previsione e la coercizione. Ma il collegamento fra la mente
e il cuore per funzionare stabilmente, e non solo momentaneamente
con l’uso continuo di quella che Omero chiama l’accortezza – pinytés -,
è una sorta di talento che viene dall’alto e che solo alcuni personaggi come
Achille possiedono in maniera eccezionale. Achille è un eroe che ha quel
fortunato stato psichico di unione stabile fra la mente e il cuore che Omero
indica con il termine di risolutezza – ménos -, per cui riesce ad agire
senza essere messo in crisi dalle passioni come ad esempio la pigrizia o la
paura. Ma l’uomo, con la sua sola volontà, non è in grado di procurarsi questa
stabile padronanza al suo interno per cui ad Omero non resta che attribuire
l’origine della risolutezza a qualche divinità ( cfr Armano Plebe, Storia
del pensiero, vol 1, ed. Ubaldini, Roma 1970, pp.12-15 ).
Queste riflessioni fondamentali fanno di Omero
un precursore del cristianesimo: ha ragione il pensatore cattolico Gòmez Dàvila
quando scrive che – tanto dopo come prima di Cristo, vi è un paganesimo di
precursori e un paganesimo di avversari – (cfr Giovanni Cantoni, Gòmez Devila,
certosino dell’altopiano, in Percorsi , anno IV, febbraio 2000, p48 ).
L'uomo, da solo, non riesce a lottare
durevolmente contro tutte le proprie passioni disordinate, non riesce, da solo,
a superare le difficoltà più gravi, le illusioni, i condizionamenti, gli
attaccamenti disordinati a cose o persone che determinano quella che, con
linguaggio psicanalitico, viene denominata l'angoscia della separazione.
Il Concilio Vaticano II ricorda che
l’uomo non può perseverare nello sforzo di combattere contro le proprie
passioni disordinate senza compiere grandi sforzi e senza l’aiuto della grazia
( cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo del 7 dicembre 1965, n.25 ).
Gli istinti dell’uomo non sono, in se stessi, né
buoni né cattivi: essi sono componenti naturali dello psichismo umano che
devono essere integrati e coordinati con la volontà e la ragione e posti al
servizio di ciò che è buono.
In ogni esperienza specificamente umana
dell’istinto in quanto tale, accanto a forme inferiori e biologiche di bisogni,
coesistono sempre forme – superiori – di bisogni e l’essere umano può spostare,
mediante l’intervento della volontà e della ragione, la spinta ad agire (
energia ), determinata da un bisogno, verso altre forme di bisogno. Questo
lavoro della volontà e della ragione, quando è coscientemente finalizzato,
provoca, nel tempo, una progressiva integrazione e sottomissione delle forme
inferiori di bisogno a quelle superiori e può anche determinare la volontaria
diminuzione di alcune forme d’interesse verso realtà ritenute d’importanza
secondaria.
Questa diminuzione lascia via libera all’azione
di altri dinamismi, quali la grazia e l’ispirazione divina e promuove la
crescita dell’interesse verso attività superiori e più nobili, attività
superiori verso cui diventa progressivamente più facile spostare l’energia
determinata dai bisogni inferiori: questa è la nozione corretta della
mortificazione nell’ascetismo cristiano. Non si tratta, come sostiene la
psicoanalisi freudiana, della conversione dell’inferiore al superiore ma della
sottomissione dell’inferiore al superiore, dello spostamento volontario
dell’energia dall’inferiore al superiore, della liberazione e dello sviluppo di
interessi più alti, di disposizioni interiori superiori; lo sviluppo di
motivazioni superiori determina l’atrofia degli interessi verso realtà
considerate di importanza secondaria. Abbiamo parlato di lavoro della volontà e
della ragione che devono intervenire nella gestione degli istinti, degli
interessi e dei bisogni umani.
Infatti, la pura e semplice repressione
di un istinto, di un’idea o di un interesse finisce per ossessionare e
tormentare colui che li reprime. La repressione può
essere solo la fase iniziale di un processo che porta l’uomo a costruire e a
sviluppare la sua personalità altrimenti non si ha una vera mortificazione nel
senso cristiano ma una pseudo–mortificazione che è un surrogato, una
contraffazione di quella vera. Per distinguere una mortificazione vera da
una pseudo-mortificazione un buon metro di misura è la pace del cuore e l’umiltà
con l’assenza delle manie di perfezionismo.
Il perfezionismo nasce dalla confusione che
viene fatta fra il modello ideale verso cui camminare con l’impeccabilità, cioè
con il proprio io idealizzato. Nel perfezionismo c’è la continua preoccupazione
che nasce dal pensiero dei propri difetti, c’è il rifiuto di se stessi e il
desidero di essere un altro; il perfezionista non sa accettare la crescita
progressiva che, in quanto progressiva, non sarà mai perfettamente compiuta in
questo mondo, per questo il perfezionista si rattrista spesso ma la tristezza
non nasce mai dall’amore di Dio ma dall’amor proprio che agisce camuffandosi
dietro le apparenze dell’umiltà. Un maestro di spiritualità come sant’Ignazio
di Loyola ricorda che, nella via dello spirito, la tristezza, i tormenti di
coscienza, i dubbi, lo scoraggiamento ed ogni atteggiamento che toglie la pace
non provengono mai da Dio che è pace, gioia, certezza, serenità, ma provengono
dall’amor proprio o dall’azione demoniaca.
Abbiamo detto che la repressione può essere solo
la fase iniziale di un processo che porta l’uomo a costruire e a sviluppare la
sua personalità.
Quando si è alla guida di un automobile, per
esempio, non è sufficiente il non andare in una certa direzione ma occorre
girare e imboccare un’altra strada che bisogna percorrere e amare in quanto
all’obbiettivo da raggiungere. Non fare qualcosa di negativo è soltanto la
condizione indispensabile e iniziale per poter fare qualcosa di positivo.
Per esempio, non si può soltanto rinunciare a un
piacere ritenuto sbagliato perché il desiderio per questo piacere aumenterebbe
e finirebbe per ossessionarci. Dopo aver detto di no, bisogna cercare di
diventare sempre più consapevoli dei motivi per cui l’oggetto del desiderio a
cui abbiamo rinunciato è sbagliato, sempre più consapevoli della sua
illusorietà, del fatto che rappresenta soltanto un soddisfacimento momentaneo
che non risolve i problemi più profondi della persona e che alla lunga
impedisce la propria realizzazione e felicità, in modo analogo a quanto
succede, per esempio, con il fenomeno della tossicodipendenza.
Questo itinerario di progressiva consapevolezza
presuppone - insieme con l’aiuto della grazia, che, ordinariamente, svolge
un’azione sussidiaria che illumina e incoraggia, facendoci amare la strada da
percorrere, ma senza sostituirsi al cammino che dobbiamo fare, alle opere che
dobbiamo svolgere- non solo il fuggire le cattive occasioni, non solo il
non fare il male, ma richiede di fare il bene prima di tutto all’interno del
proprio cuore. Queste opere buone da svolgere all’interno del proprio cuore
consistono nel ragionamento, nell’osservazione oggettiva, nella contemplazione
del reale, nel dissolvimento critico delle illusioni.
Nostro Signore Gesù Cristo afferma, come
riferito in Matteo 15,19, che la sorgente del male che affligge l’uomo sta
dentro la sua personalità: dal cuore, infatti, provengono i propositi
malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false
testimonianze, le bestemmie.
L’ebreo concepisce il cuore come l’interno
dell’uomo in un senso molto ampio. Oltre ai sentimenti il cuore comprende anche
i ricordi, le idee, i progetti e le decisioni: il cuore è il centro dell’essere
dove l’uomo dialoga con se stesso e si assume le proprie responsabilità ( cfr
Dizionario di teologia biblica pubblicato sotto la direzione di Xavier Leon-
Dufour e di AA.VV., Marietti, Torino 1978, pp. 242, 243 ).
All’interno dell’uomo avviene il conflitto fra
le passioni, la volontà e la ragione, all’interno nascono i tentativi di
riportare ordine fra queste potenze dell’anima e sempre da questo cuore hanno
origine i dialoghi che l’uomo intraprende con se stesso: dialoghi interiori che
lo portano, prima ad interpretare i messaggi interni ed esterni, e poi a
decidere e ad agire.
Solo dopo un corretto lavoro svolto nel proprio
cuore, cioè dopo un continuo e perseverante dialogo interiore finalizzato a
dissolvere in maniera critica le illusioni e a prendere consapevolezza della
realtà, la rinuncia a un piacere disordinato si trasforma nella preferenza
verso un altro piacere, un piacere ordinato che non contrasta con la verità e
la giustizia; solo allora la rinuncia si trasforma nella scelta di un altro
obbiettivo e di un’altra direzione di marcia.
In questo modo la persona progredisce dirigendo,
regolando, mettendo in equilibrio e utilizzando costruttivamente tutte le sue
energie: si tratta di un’opera simile a quella che l’essere umano svolge nei
confronti delle forze della natura, come quando incanala verso una centrale di
energia le acque torrenziali.
Nessuno può progredire senza conservare
l’indicazione di una direzione valida in cui muoversi. La ragione, dopo il
peccato originale, può sbagliarsi nei suoi giudizi sia per difetto di
conoscenza e sia perché il conflitto fra le passioni e la volontà può
ostacolare e confondere l’itinerario della ragione, con il rischio continuo e
reale che le nostre debolezze diventino la misura del bene e del male in modo
da farci ritenere falso ciò che non vorremmo fosse vero. Il cattolico,
attraverso la guida e il sostegno della fede, può conservare l’indicazione
valida delle strade in cui inserire la ricerca razionale. Il razionalismo –
ragione senza fede – che non riconosce l’importanza della fede come guida e
sostegno, finisce per dimenticare che la ragione non è una facoltà dotata di
infallibilità ma che essa, al pari delle altre facoltà umane, è soggetta
all’imperfezione e al limite e pertanto, nella sua ricerca, non riesce a
rimanere per molto tempo lungo la giusta direzione senza incontrare degli
ostacoli che possono gradualmente portarla fuori strada.
Non è forse vero che tanti sistemi di pensiero,
nati con l’intenzione di aiutare l’uomo, hanno finito per costruire strutture
oppressive per l’uomo stesso e tanti itinerari della ragione sono giunti a
negare valore alla ragione stessa ? ( cfr Giovanni Paolo II, , Fides et
ratio, lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, del 14 settembre
1998, n.16,45,46).
Non basta conservare la fede, la fede deve
essere pienamente vissuta, deve svilupparsi insieme a tutte le facoltà
dell’uomo, deve accompagnare tutte le fasi e le vicende della sua vita.
Se la fede viene separata dalla vita e dalla
cultura dell’uomo diventa inutile e viene persa. Per sviluppare il dono della
fede il credente deve meditare sulla Sacra Scrittura e sul magistero della
Chiesa e deve inserire costantemente la ricerca della ragione lungo l’orizzonte
fornito dalla fede, in modo da amare Dio con l’intelletto, con la volontà, con
le azioni. Questo lavoro ha bisogno di essere sostenuto dal continuo dialogo
con Dio che il cattolico incontra attraverso la preghiera e, in modo speciale,
attraverso i sacramenti: i sacramenti sono forze vive che escono dal corpo di
Cristo per nutrire l’anima e per curarla. Tornando al problema degli istinti,
giova ripetere che la loro corretta gestione è fondamentale per la costruzione
della personalità.
L’istinto di aggressività, per esempio, non solo
è fondamentale per difendersi ma l’energia da esso determinata, può essere
utilizzata, grazie al controllo e all’orientamento della volontà e della
ragione, per – aggredire -, nel senso più vasto, un compito o un problema e può
essere messa al servizio della giustizia e dei diritti degli altri: il bisogno
sociale e il bisogno di giustizia sono forme superiori di bisogni che sempre
accompagnano nell’uomo l’istinto puramente biologico di aggressività. L’istinto
sessuale non solo è fondamentale per unire l’uomo e la donna fisicamente, ma
l’energia da esso determinata può essere utilizzata, grazie al controllo,
all’orientamento e alla consapevolezza della volontà e della ragione, per
integrare l’impulso copulativo con il bisogno di tenerezza e di affetto, in
modo che l’unione genitale diventi segno e strumento di reciproca donazione fra
due persone di sesso complementare e possa soddisfare il bisogno d’amore.
L’energia generata dall’istinto copulativo può
anche essere messa a disposizione per un servizio d’amore verso i fratelli e la
verità. Lo sviluppo di una forma superiore e spirituale di bisogno, come quella
che spinge verso i significati più alti della stessa sessualità umana - cioè
l’amore per gli altri e la donazione di se stessi agli altri – fa diminuire
l’interesse verso la relazione coniugale e in questo caso è più facile spostare
l’energia determinata dall’istinto copulativo su di un piano più alto.
Insegna Giovanni Paolo II che - nella
verginità e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario,
quello cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso
servizio all’amore di comunione e di donazione interpersonale: il bisogno
di affetto, di amore e di donazione sono forme superiori di bisogni che sempre
accompagnano nell’uomo l’istinto puramente biologico della sessualità ( cfr
Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Dabo Vobis,
all’Episcopato, al Clero e ai Fedeli circa la formazione dei Sacerdoti nelle
circostanze attuali, 25 marzo 1992, n.29 ).
Significative di questo bisogno di amore sono le
parole che escono dalla penna di un poeta che aveva fatto della lussuria la sua
ragione di vita. Scrive Gabriele D’Annunzio in una sua poesia:
Tristezza atroce de la carne immonda
quando la fiamma del desìo nel gelo
del disgusto si spegne e nessun velo
d’amor l’inerte nudità circonda!
( E tu sorgi ne l’anima profonda,
pura Immagine. Come su lo stelo
èsile piega un funebre asfodelo,
su’lcollo inclini la tua testa bionda ).
Tristezza immensa de la carne bruta
quando nel petto il cor fievole batte
lontano e solo come in una tomba!
( E tu guardi, tu sempre guardi, o muta
Imagine, tu pura come il latte,
con i tuoi teneri occhi di colomba ).
( Gabriele D’Annunzio, L’Imagine, in Femmine e muse, Il Vittoriale degli
Italiani, 1942, p. 65 ).
Joseph Nuttin, direttore del laboratorio di
psicologia sperimentale e del centro di ricerche sulla motivazione presso
l’Università di Lovanio, dice che ogni bisogno dà origine a un’energia di tipo
generico, a uno stato di generica tensione energetica dell’organismo che può
essere momentaneamente dissolta attraverso una qualsiasi soddisfazione o
attività organica: questo anche nei confronti di bisogni vitali.
Certo, esistono dei meccanismi riflessi
automatici, per esempio l’istinto di evacuare e di respirare, che non possono
essere repressi oltre una certa soglia critica. Ma l’uomo dimostra una grande
possibilità di scelta anche nei confronti degli istinti di necessità vitale
individuale, come quello della fame e della sete: l’essere umano può riuscire
ad esercitare verso questi istinti anche una repressione totale, fino a
giungere alla morte e questo senza bisogno di ricorrere all’uso di mezzi
coercitivi esterni alla sua persona.
Nell’uomo, a differenza dell’animale, attraverso
il controllo della volontà e della ragione, l’energia originata da un bisogno
inferiore può anche essere messa a disposizione di una finalità superiore:
tale finalità nasce da motivazioni intellettuali e spirituali che, nell’essere
umano, sempre si trovano mescolate con bisogni di natura inferiore.
Questo provoca la graduale integrazione e
sottomissione dei bisogni inferiori a quelli superiori e anche, se necessario,
l’atrofia di certe forme di interesse verso realtà secondarie, atrofia che
provoca la liberazione e lo sviluppo di altre disposizioni interiori più
elevate e più nobili. Il concetto di sublimazione, nel senso
della psicoanalisi freudiana, è erroneo perché non esiste un’energia specifica
di tipo sessuale che si converte in attività di altro genere ma esiste il fenomeno
della trasposizione cioè dello spostamento dell’energia insita in un bisogno,
la sottomissione dei bisogni inferiori ai superiori e anche l’atrofia di
interessi secondari e la conseguente liberazione e crescita di forme superiori
d’interesse e di motivazione ( cfr Joseph Nuttin, Pasicanalisi e personalità,
trad. italiana,ed. San Paolo, Roma 1984, pp. 85-87 ).
Joseph Nuttin dice che in una stessa attività
umana forme – inferiori – di bisogni si trovano sempre mescolate a forme –
superiori -, si tratta di manifestazioni di uno stesso dinamismo trapassante i
diversi piani della vita psichica: gli elementi spirituali costituiscono delle
vere – componenti – di un’esperienza specificamente umana dell’istinto in
quanto tale. A tale proposito scrive Nuttin: ”- recentemente uno psicologo
ci ha detto, descrivendo la sua esperienza personale:- Ho costatato spesso che
la soddisfazione e il piacere, provati nel corso delle relazioni coniugali,
sono infinitamente più intensi e più“ricchi” ogni volta che realizzo i legami
umani e spirituali che mi uniscono alla moglie, e cioè quando mi rendo conto di
ciò che “significa “ per me la “persona “ con cui mi unisco.
Tutte le volte, invece, che tali
relazioni si svolgono su un piano più esclusivamente sessuale e istintivo, il
piacere è meno intenso e duraturo”- ( Joseph Nuttin, ivi, p.312).
Lo psichiatra Giambattista Torellò dice che lo
studio del comportamento umano “-(…) ha permesso alla psicologia più recente
di riconoscere, nella repressione e nella soddisfazione dei cosiddetti istinti,
fenomeni ugualmente propri e confacenti alla natura dell’essere umano, che solo
in rapporto ad un’altra serie di valori umani sono in grado di causare salute o
malattia, serenità o tensione, piacere o disagio. Ciò che decide la loro
positività o negatività, la loro sanità o azione patogena è il quadro d’insieme
in cui s’inseriscono, l’atteggiamento fondamentale dell’esistente, le
motivazioni libere dello spirito.
Per quanto si riferisce concretamente al
cosiddetto “istinto” sessuale, decisivo sarà il ruolo dell’ “amore “:
continenza per amore è rasserenante e soddisfacente, così come rasserenante e
soddisfacente è il rapporto sessuale per amore -“ (Giambattista Torellò, Dalle
Mura di Gerico, note di psicologia spirituale, Ares, Milano 1987, pp.116-117 ).
Nel campo della sessualità e
dell’affettività, la tendenza a gustare il frutto proibito, che trasforma
l’altro in un puro oggetto del desiderio, nasce dall’inclinazione al piacere
momentaneo e disordinato. Questa inclinazione al piacere disordinato, che la
Chiesa Cattolica chiama con il termine di – concupiscenza – , e la conseguente
difficoltà ad unire e integrare le varie componenti dello psichismo umano, è
comune a tutti gli esseri umani, ma tale difficoltà può essere aggravata da
condizionamenti negativi subiti nell’infanzia e nell’adolescenza. Un
condizionamento negativo, per esempio, si ha quando il soggetto riceve
un’educazione cosiddetta – asessuale -. Nell’educazione asessuale – il sesso è
un vero e proprio tabù: l’individuo non viene abituato a gestire, controllare,
ordinare l’istinto sessuale per metterlo al servizio dell’amore, in maniera
analoga, per esempio, a ciò che viene fatto con l’istinto di aggressività: nei
confronti dell’istinto di aggressività, infatti, l’individuo viene abituato, in
genere, a svolgere una funzione direttiva e regolatrice in modo da adattare
tale istinto alle circostanze, orientarlo verso la realizzazione di un
progetto, metterlo al servizio della giustizia e dei diritti degli altri.
Nell’educazione - asessuale – la persona
viene lasciata completamente sola e abbandonata dall’educatore e di solito
incontra, come unico interlocutore, films e letture romantiche, erotiche o
pornografiche. L’amore viene confuso con l’innamoramento e concepito come
fatale e struggente attrazione per un partner che deve avere le caratteristiche
del proibito, una specie di territorio ignoto da esplorare, al di fuori della
vita ordinaria, in modo che si attivi desiderio e dolore, mistero e passione,
competizione, lotta e struggenti abbracci, in un’avventurosa ricerca e riconquista
del paradiso perduto che viene identificato nell’immagine ossessivamente
coltivata dell’altro. Tutto ciò che attiene alla sessualità viene visto o viene
fatto intravedere come forza oscura, demoniaca, peccaminosa ma nello stesso
tempo terribilmente potente e fascinosa: qualcosa di incoercibile che
perseguita e domina l’individuo, che lo seduce e lo chiama, come le sirene di
Ulisse, da zone proibite, nascoste, pericolose nelle quali vuole essere servito
e adorato.
In questo modo, quando l’esercizio della
sessualità dovrebbe diventare lecito, come nel matrimonio, l’individuo perde
ogni desiderio sessuale, la sua sana facoltà di godimento sessuale si inceppa,
oppure è completamente assente. L’educazione asessuale sviluppa proprio la
tendenza a gustare il frutto proibito e in questa maniera si evolve il tipo di
individuo che trova e gusta la voluttà sessuale nelle braccia di qualunque
partner ma mai del coniuge ( cfr Dr A. Willy Parigi, Dr H. Giese Amburgo,
L’Infedeltà coniugale, in enciclopedia della sessualità, a cura di A. Willy e
C. Jamont, Borla, Bologna 1974, p.344).
Anche l’abitudine alla
masturbazione, scrive lo psicologo e psicanalista Pierre Daco, membro
dell’Istituto internazionale di psicoterapia e della fondazione internazionale
di psicologia analitica, “-(…) può impedire relazioni sessuali normali”- perché
il soggetto che si masturba si abitua alla sua immaginazione solitaria che
coglie le persone non come tali, ma come oggetti sessuali, egli mentalmente si
ritira dall’atto sessuale reale che sta conducendo fisicamente perché “- non è
(…) l’unione sessuale che gli permette di giungere al piacere, ma unicamente le
sue fantasie”-. Quando la conoscenza del partner reale e la reciprocità del
rapporto impediscono a questo individuo di considerare l’altro come oggetto
sessuale, ostacolando il suo lavoro mentale di astrazione, il desiderio
sessuale diminuisce ed egli, per continuare ad alimentare le sue fantasie, ha
bisogno della novità e del proibito ( Pierre Daco, Che cos’è la psicologia,
trad. italiana, Rizzoli, Milano 1994, p 286 e p. 393 ).
Il complesso di Edipo,
inteso nel senso generale di desiderio erotico del bambino verso il genitore di
sesso opposto, con il tentativo di allontanare, come concorrente, quello dello
stesso sesso, non è una scoperta della psicanalisi. La letteratura greca, oltre
al mito di Edipo re, ha un testo importante scritto da Platone nella
Repubblica. Platone parla di questi desideri sessuali incestuosi che sono
presenti in ogni uomo e che spesso si manifestano nei sogni ( cfr Platone, La
Repubblica, capitolo IX, 571b e 572 b ).
Il complesso di Edipo
viene in genere risolto attraverso l’identificazione con il genitore dello
stesso sesso e con la rinuncia al desiderio di possedere il genitore del sesso opposto.
La mancata soluzione del complesso di Edipo dà luogo a molti problemi
psicologici, in gran parte inconsci, ed è merito di Freud aver messo a fuoco
questa fenomenologia.
Quello che non è accettabile è
l’interpretazione pansessualista del complesso di Edipo che Freud fa. Per
Freud, infatti, il non appagamento sessuale del bambino con il genitore del
sesso opposto è all’origine di ogni attività culturale e spirituale, cioè il
mito, l’arte, la poesia, la religione sarebbero soltanto manifestazioni deviate
di quella energia sessuale primitiva che il bambino non ha potuto indirizzare
verso il genitore complementare desiderato ( cfr Joseph Nuttin, op. cit., ed.
Paoline, Roma, 1984, pp.47-54 e pp.80-81 ).
Se si riduce ogni forza costruttiva
dell’uomo alla sola libido, come fa Freud, non si vede, però, quale potrebbe
essere l’elemento in grado di trasformare la libido in attività complesse e
superiori come quelle dello spirito umano, né si capisce perché nell’animale
non avvenga la stessa cosa: come può il sesso dare origine ad un’attività
diversa da quella sessuale?
Inoltre, non si vede neppure da dove
potrebbe nascere la resistenza a questa libido. Le censure e le inibizioni
sociali non possono dare una spiegazione definitiva e soddisfacente perché tali
censure e inibizioni sociali nascono sempre dalle forze dello psichismo
individuale e quindi sarebbero, in ultima analisi, il prodotto della libido
stessa: ma come può il sesso dare origine alla repressione del sesso?( Joseph
Nuttin, ivi, pp.226-227 ).
Torniamo al complesso di Edipo senza
l’interpretazione pansessualista di Freud. La sessualità, che nel bambino è
presente, diffusa ed inconscia, si attiva all’interno della stessa famiglia
quando i sessi complementari si trovano l’uno di fronte all’altro. Prendiamo il
caso del bambino: se la normale e istintiva attrazione verso la madre non viene
superata attraverso la stima del padre – che assume un ruolo di modello e di
guida – ma viene soltanto repressa e rimossa per rispetto e per dovere, giunto
all’età adulta iniziano vari problemi di natura psicologica perché il padre è
rimasto un rivale: il soggetto prova aggressività e gelosia nei suoi confronti
ma nello stesso tempo si sente inferiore e incapace di eliminare questo potente
rivale. Da queste problematiche conflittuali non risolte e inconsce nascono
diversi disturbi: tendenza esasperata a gustare il frutto proibito, impotenza,
frigidità, timidezza, omosessualità, continua paura di essere disapprovato,
sentimento di inferiorità, sentimenti di colpa, sentimento di trovarsi
disarmato di fronte alla vita o, al contrario, aggressività.
Lo psicanalista Pierre Daco fa questo
esempio di disturbo sessuale, dovuto alla non soluzione del complesso di Edipo:
tale esempio, egli dice, non è affatto eccezionale ma diffuso e frequente. Un
uomo sposato adora sua moglie ma è incapace di avere rapporti sessuali con lei
o è incapace di avere rapporti sessuali soddisfacenti perché per lui diventa
impossibile conciliare il sesso con l’affetto e con il rispetto. Questo
soggetto è attratto in maniera ossessiva dai rapporti sessuali clandestini e
proibiti.
Un giorno la moglie, stanca, si fa un
amante e immediatamente il marito ritrova la sua normale sessualità con lei.
Perché? Perché la moglie, avendo un amante, cessa di essere – come sua madre –
ed è – meno degna di rispetto -. Spesso anche i fidanzamenti ufficiali pongono
questi soggetti di fronte al loro futuro problema sessuale: ogni fidanzamento
ufficiale getta questi individui in uno stato di angoscia, dal quale riescono a
venirne fuori soltanto arrivando alla rottura del fidanzamento.
Nello stesso tempo anche questi soggetti,
quando sono fidanzati ufficialmente, sono attratti dai rapporti clandestini e
da una sessualità di tipo predatorio. Dato che per loro vale il rapporto -
rispetto uguale non sessualità -, essi cercano di giungere , se riescono a
trovare le occasioni per farlo, ad una rottura del fidanzamento, per poi
tornare sulla stessa strada, alla ricerca di un nuovo amore e di una nuova
unione. Una volta conquistata una nuova donna, l’angoscia sessuale che subentra
cerca di provocare nuovamente la fuga: è questo il destino di Don Giovanni (
cfr Pierre Daco, op. cit., pp. 188-197 ).
I rapporti
pre-matrimoniali contribuiscono a costruire l’abitudine di separare la
sessualità dall’amore per la totalità della persona, rafforzando la tendenza a
gustare il frutto proibito. I rapporti sessuali prima del matrimonio sono
rapporti che si svolgono prima che venga realizzata una piena comunione di vita
fra i partners e prima che venga preso un impegno definitivo e totale verso
l’altra persona: prima di arrivare al matrimonio vero e proprio resta nei
fidanzati la concreta possibilità di un ripensamento e quindi è presente in
loro una certa riserva psicologica.
Questa situazione fa
sì che i rapporti prematrimoniali conducano ad un incontro non personale ma
istintivo, che privilegia e rafforza – anche senza volerlo – la ricerca del
benessere fisico e/o affettivo. In questo modo la ricerca del benessere fisico
e/o affettivo finisce per avere, nella relazione, un ruolo dominante, gli
aspetti della persona legati al piacere sentimentale e/o fisico vengono
inconsciamente concentrati, fissati, ingigantiti e separati dall’insieme della
persona: la vita reale, la comunione di vita, la totalità della persona
dell’altro, gli interessi comuni, i progetti comuni, la fedeltà a Dio, la
capacità di sacrificarsi, la responsabilità, la capacità di riconoscere i
propri errori, la capacità di chiedere perdono e di perdonare, la capacità di
ricominciare, insomma, tutto ciò che è fondamentale e non è legato al piacere
finisce per avere un ruolo debole, marginale, assolutamente secondario.
I rapporti
pre-matrimoniali, per la psicologia esaltante che creano, impediscono la
reciproca conoscenza e l’assimilazione vicendevole della personalità. I
fidanzati, attraverso il controllo della sessualità, possono conoscersi meglio,
possono mettere alla prova la loro capacità di amarsi per gli aspetti integrali
della loro personalità, per le idee e le concezioni di vita che hanno,
indipendentemente dalle esigenze momentanee dell’istinto: in questo modo
possono allenarsi al reciproco rispetto e alla fedeltà ( cfr Catechismo della
Chiesa Cattolica n.2350; CEI, Matrimonio e famiglia oggi in Italia del 15
novembre 1969, n.18 in Matrimonio e famiglia nel magistero della Chiesa a cura
di P. Barberi e D. Tettamanzi, i documenti dal concilio di Firenze a Giovanni
PaoloII, ed. Massimo, Milano 1986, p.658, cfr Congregazione per l’educazione
cattolica, orientamenti educativi sull’amore umano del 1 dicembre 1983, n.95,
in ivi, p.602; cfr CEI, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio del 20
giugno 1975, n.76, in ivi, p.688).
Studi sociologici sui
separati – sono state intervistate più di 2500persone – dimostrano che alla
base della scelta del partner c’era stata soprattutto l’attrazione fisica,
l’aspetto fisico: solo in qualche caso la scelta era stata determinata dal
bisogno di voler aiutare e salvare l’altro.
icono gli studi che,
inizialmente, l’attrazione fisica fa provare un piacere intenso e questo
piacere porta ad attribuire alla persona delle caratteristiche positive –
processo di idealizzazione del partner -, questo processo di idealizzazione,
con l’entusiasmo che comporta, fa minimizzare le differenze esistenti, facendo
credere e sperare che le divergenze – riguardanti il carattere, gli interessi,
la concezione di vita – siano facilmente superabili dato il clima psicologico
esaltante creato dall’attrazione stessa.
Quando si instaura una
piena comunione di vita, la spinta iniziale, cioè la forza propulsiva
determinata dal fascino dell’aspetto, diminuisce mentre le divergenze diventano
più evidenti e non sono più sopportabili.
La ricerca ha
riscontrato che, tra le persone ancora sposate, a differenza dei separati,
c’era stata alla base una scelta motivata più da caratteristiche di
personalità, da interessi comuni che da attrazione fisica (cfr. Donata
Francescato, op.cit., pp.28-38 e p.57).
La persona giusta, ai
fini di una relazione coniugale, è, dunque, quella con la quale stiamo bene
insieme a parlare – con cui stabiliamo una comprensione e una complicità sulla
base dei comuni interessi e della comune concezione della vita – senza la
necessità, al fine di mantenere in vita il fidanzamento stesso, di dover provare
un piacere intenso per l’aspetto fisico del partner: questo piacere falsifica
la reciproca conoscenza della personalità perché dà l’illusione, prima del
matrimonio, di poter superare le divergenze e può essere potenziato e
prolungato, nei tempi del fidanzamento, attraverso i rapporti sessuali, i quali
creano soltanto l’atmosfera di una falsa intimità, una falsa intimità che,
durante la vita coniugale, è destinata a sciogliersi e a scomparire come la
neve al sole. L’attrazione fisica e l’unione dei corpi sono come dei potenti
allucinogeni che possono dare per molto tempo l’illusione di un’unione delle
persone.
Ogni innamorato
dovrebbe chiedere all’altro: il matrimonio non è soltanto dormire insieme, mi
ami abbastanza da aspettare?
Oltre ai rapporti pre-matrimoniali, anche
le convivenze e i cosiddetti matrimoni per esperimento rafforzano la tendenza a
separare la sessualità dall’amore per la totalità della persona.
In queste unioni non c’è un impegno
definitivo e totale verso l’altra persona, la ricerca del benessere fisico e/o
affettivo finisce per avere un ruolo dominante: il rapporto di coppia viene
trasformato in un rapporto di tipo utilitario secondo il quale si rimane
insieme solo fino a quando si è in grado di ricavare dalla relazione un utile.
Il rapporto di tipo utilitario rafforza e mantiene il narcisismo dei partners
impedendo la crescita dell’amore autentico verso la persona.
Solo l’amore vero
supera gli ostacoli più gravi, chi cerca nella convivenza o nel matrimonio per
esperimento una garanzia sul funzionamento futuro della relazione, ottiene
l’opposto di quanto si è prefissato. Infatti, spiega Robert J. Sternberg,
docente di Psicologia presso l’università di Yale, che, una volta che questi
soggetti si sposano, il loro atteggiamento non cambia, pretendono dalla
relazione un continuo entusiasmo affettivo, una completa assenza di problemi,
continuano a non accettare le difficoltà, evitano ogni sacrificio e continuano
a mettere alla prova i loro compagni: coloro che hanno convissuto vanno più
facilmente in crisi degli altri perché sono maggiormente suscettibili ad una
condizione psicologica chiamata reazione di difesa di fronte ai problemi che
inevitabilmente nascono in ogni matrimonio e che questi soggetti considerano
come una vera e propria trappola ( cfr Robert J. Sternberg e Catherine Whitney,
L’intelligenza del cuore, Sperling e Kupfer, Milano 1996, trad. italiana, p.10
). Significativa, a tale proposito, è la ricerca svolta negli Stati Uniti dalla
Wisconsin University. Da tale ricerca è emerso che i giovani i quali si sposano
dopo un lungo periodo di convivenza sono più soggetti alla separazione rispetto
alle coppie che si sposano senza aver convissuto. Entro dieci anni dal
matrimonio, il 38% di coloro che hanno vissuto insieme prima del matrimonio si
sono separati, contro il 27 % di coloro che si sono sposati senza coabitare.
Dunque, all’interno della cultura dell’amore libero, costituita dalla diffusa
pratica dei rapporti pre-matrimoniali e dalla mentalità divorzista, la
convivenza aumenta dell’11% le possibilità, già elevatissime, del divorzio,
rafforzando sensibilmente il narcisismo e l’irresponsabilità dei partners (
cfr. Nereo Condini, Convivere per divorziare, Avvenire, 5 ottobre 1989, p.12 ).