S. Vito Martire

Il Santo

La figura di San Vito è stata costruita dalla letteratura e dalla devozione popolare, più che dalla storia. Patrono di moltissime cittadine e d'intere regioni, come la Sassonia, la Boemia, la Pomerania, San Vito è uno dei santi più popolari e ci sono moltissime chiese e numerosi monasteri a lui dedicati. Nonostante la grande devozione nei suoi confronti e la sua popolarità, la tradizione agiografica sul santo è ancora in larga misura da studiare. I codici d'età medievale che riportano la sua storia, facendola derivare dagli Acta martyrum, sono numerosi, ma non è accertabile la veridicità delle notizie fornite. Infatti, sebbene si sia cercato da sempre di reperire gli atti dei processi che condannarono i cristiani, pochissimi sono quelli autentici; la maggior parte degli Acta sono racconti redatti con grande libertà inventiva per avere materiale utile all'educazione dei cristiani.
Le fonti documentarie più antiche che riportano il nome di San Vito risalgono alla fine del V secolo; si tratta di testi in seguito rimaneggiati e modificati, per questo le indicazioni da essi fornite non sono sempre attendibili. La menzione più antica del santo si trova nel Sacramentarium Gelasianum, un testo che conteneva le formule usate nella celebrazione dell'eucarestia, raccolte dal Papa Gelasio alla fine dei V secolo. Altre fonti sono i martirologi, testi che riportano, per ciascun giorno dei calendario, le commemorazioni dei santi; il più antico sembra essere il Martirologium Geronimianum, nel quale è contenuta una scarna notizia riferita a San Vito, con due indicazioni geografiche, una relativa alla Lucania, l'altra alla Sicilia. Il nome del martire è, inoltre, rintracciabile nei libri liturgici della chiesa bizantina dell'Italia meridionale, detti sinassari. Altre opere che citano il santo sono rielaborazioni, con aggiunte, del Martirologio Geronimiano, risalenti all'VIII e al IX secolo; in epoca moderna tutti questi martirologi sono confluiti nel Martirologio Romano, pubblicato nel 1537, che rappresenta "l'elenco" ufficiale dei martiri cristiani, in cui San Vito è menzionato alla data del 15 giugno. Infine bisogna ricordare la menzione del santo nel cosiddetto "Calendario Napoletano", un calendario liturgico del IX secolo con l'indicazione dei santi festeggiati in ciascun giorno, dove al 15 giugno c'è il riferimento a San Vito.
L’altro filone di fonti su San Vito è costituito da testi elaborati fantasiosamente nel Medioevo per scopi pedagogici; questi racconti, seppure poco attendibili, rappresentano una parte importante della tradizione agiografica su San Vito. Si tratta di leggende e storie più o meno favolose, di carmi e di orazioni.
A partire dal XIII secolo trovarono larga diffusione anche i leggendari ossia raccolte di racconti su varie figure di santi, realizzate soprattutto ad opera dei frati domenicani che, per il loro apostolato, avevano bisogno di raccontare vicende di esemplare eroismo cristiano. Un breve racconto su San Vito si trova inserito anche nella Legenda Aurea di jacopo da Varagine, che raccoglie numerosi testi agiografici. Tutte le notizie contenute nei testi medievali furono, a partire dal 1500, edite da diversi studiosi ricordiamo a questo proposito Sanctuarium sive Vitae Sanctorum e le edizioni della Societas Bollandiana, che si occupava di valutare le fonti agiografiche della cristianità. Lo studio dei Bollandisti, sfociato nella pubblicazione degli Acta Sanctorum, negò valore storico a molte notizie ma ciò nonostante gli scritti agiografici, soprattutto quelli di carattere popolare continuarono a tramandare le vecchie leggende.
La storia di San Vito che conosciamo è stata tramandata con numerose varianti: il nucleo fondamentale di essa, comunque, narra di un fanciullo nato in Sicilia intorno al 291 da nobile famiglia e martirizzato a Roma al tempo dell'imperatore Diocleziano, tra il 303 e il 304 d.C. Figlio di un uomo pagano di nome Ila, Vito era stato educato al cristianesimo dal precettore Modesto e dalla nutrice Crescenza ai quali il padre lo aveva affidato. Vito operava molti miracoli e prodigi nella sua terra, tanto che ne giunse notizia all'autorità locale, rappresentata dal preside Valeriano, il quale lo fece arrestare. Dopo aver tentato invano di farlo recedere dai suoi propositi, Valeriano ordinò che Vito fosse torturato, ma appena i servi lo afferrarono, le loro braccia s'irrigidirono e la mano del preside rinsecchì; guarito per benevolenza da Vito, Valeriano lo affidò al padre perché lo inducesse a rinnegare la fede cristiana.
Il padre cercò di convincere il fanciullo sia con punizioni fisiche sia con lusinghe: arrivò al punto di introdurre al suo servizio delle bellissime fanciulle perché lo allettassero e lo spingessero a peccare e a rinnegare la fede in Dio, ma Vito resisteva a tutto. Un particolare, riportato in alcune versioni del racconto, è che il padre di Vito era diventato cieco per aver spiato il figlio rinchiuso in una stanzetta; l'apparizione degli angeli al cospetto dei fanciullo e il loro fulgido aspetto avevano procurato l'accecamento dell'uomo. San Vito gli ridonò la vista ma, privo di gratitudine, il padre credette autori del prodigio gli dei e ricominciò a tormentare il figlio per indurlo alla fede pagana.
Liberato da un angelo, insieme a Modesto e Crescenza riuscì a fuggire per mare dalla Sicilia e approdò in Lucania, dove, nutrito da un'aquila inviata da Dio, continuò a compiere prodigi e miracoli. In seguito venne convocato a Roma dall'imperatore Diocleziano che aveva un figlio posseduto dal demonio. Vito lo guarì e, nel momento in cui il demone usciva dal corpo del ragazzo, accadde che molti idolatri che avevano insultato Dio fossero colpiti da morte. L’imperatore, irriconoscente, non risparmiò nulla per corrompere il giovane Vito e per allontanarlo dal cristianesimo; gli offrì il suo favore e la sua amicizia e, secondo alcune versioni, gli avrebbe addirittura promesso di adottarlo come suo figlio, offrendogli una parte dell'impero. Il santo rispose a Diocleziano che ciò che voleva togliergli era molto più di ciò che gli offriva e l'imperatore ordinò che Vito, Modesto e Crescenza fossero segregati nelle prigioni, legati con pesanti catene, e che fossero torturati, ma un angelo venne in loro soccorso e alleviò le loro sofferenze. Avendo saputo che la punizione non aveva effetto, l'imperatore volle allora che Vito fosse posto in un calderone colmo di pece e piombo bollente, ma prodigiosamente il fanciullo rimase illeso, allora Diocleziano ordinò che fosse sbranato da un leone, ma la bestia feroce, per un altro prodigio, divenne mansueta e non accadde nulla al giovinetto. L’uccisione dei tre santi, datata al 15 giugno, avvenne tramite il supplizio del cavalletto o "ecùleo", le loro membra furono tirate innaturalmente e i loro corpi lacerati; questo è quanto riporta una delle numerose versioni della storia. Secondo un'altra versione, invece, i tre sarebbero morti bruciati vivi su una catasta ardente. Tuttavia entrambe le tradizioni tramandano che, dopo la morte, le anime di Vito, Modesto e Crescenza sarebbero state condotte in Lucania, dove i tre corpi vennero sepolti da una nobildonna di nome Fiorenza. Secondo una terza versione, però, i tre martiri non sarebbero morti a Roma, ma sarebbero stati trasportati, ancora vivi, da un angelo in Lucania, dove in seguito sarebbero morti. Oltre a questi particolari, le altre varianti più frequenti nelle varie tradizioni agiografiche sono rappresentate dal luogo di nascita, a volte indicato in Lucania, e dal diverso ruolo di Crescenza, raffigurata non come la nutrice di Vito ma come una spettatrice dei tormenti dei santo che, incoraggiata dal suo esempio dichiara la sua fede cristiana; inoltre in una versione si fa riferimento ad una figlia e non ad un figlio di Diocleziano, in preda al demonio. In questa storia confluirono, di sicuro, diversi spunti leggendari fioriti nei luoghi di culto più antichi, mescolati per giunta con elementi propri della tradizione religiosa e mitologica pagana; in seguito il racconto si diffuse con varianti più o meno significative in tutto il mondo cristiano e, nel corso dei secoli, vennero aggiunti svariati particolari. A questo proposito, alcuni studiosi ritengono che San Vito sia l'unico autentico martire e che Crescenza e Modesto siano solo un'invenzione o per lo meno che i due siano stati associati a San Vito per una deformazione linguistica dialettale legata ad un tradizionale detto siciliano, che in italiano si potrebbe tradurre "Vita modesta è crescenza". Dopo una revisione storica dei documenti relativi alla vita del santo, il Concilio Vaticano II, nel 1969, ha deciso l'eliminazione dal catalogo dei santi di Modesto e Crescenza.

 

Storia della Festa

Nel 1775, non sappiamo se per iniziativa di un cappellano o di un devoto macchiese, viene formalmente richiesta all'Arcivescovo di Messina l'autentica di una reliquia (parte del cranio) di S. Vito, procurata certamente presso una chiesa che in quel momento ne amministrava la distribuzione (al di fuori di una tale fonte d'acquisizione, sarebbe stato infatti impossibile ottenere dall'autorità ecclesiastica l'autentica con sigillo della reliquia racchiusa oggi in una preziosa teca d'argento).
E', quindi, dalla data 1775, che deve farsi decorrere l'autorizzazione concessa dall'Arcidiocesi di Messina ad introdurre nella chiesa il culto del martire siciliano, Vito di Mazzara, che venne associato a quello della Titolare. Il possesso della reliquia da solo non bastava ad ufficializzare il culto, anche se già favorevolmente accolto dalla popolazione ed in qualche misura praticato come dimostrano i libri dei battesimi dai quali si evince che, ancor prima che venisse offerta alla venerazione dei fedeli la reliquia, il nome del Santo conterraneo figura attribuito ai nuovi nati con frequenza sempre crescente. Sulla prima diffusione del culto e donde venne, però, non abbiamo notizie certe, vicende varie hanno cancellato la memoria.


Di particolare importanza è un documento recuperato da Padre Filippo Fresta (il nostro vice-parroco), dopo la morte del Sacerdote Rosario Costa. È un panegirico recitato in onore a S. Vito certamente nel primo anno dell'Ottocento. Dice una nota, nella prima pagina: "Il panegirico fu recitato da un giovanetto di Macchia" Non è riportato né il nome dell'autore, né il nome del giovanetto. Ma si fa un riferimento importante sulla data, sull'anno e sull'occasione nella quale fu recitato. Nell'introduzione l'autore esordisce così: "...Tra i martiri di Gesù Cristo [c'è San Vito] di cui oggi la nostra Patria con singolare apparato di solennità celebra la festa". Il giorno in cui fu recitato il panegirico è il 15 di giugno, data della morte di San Vito, data in cui è stato sempre festeggiato.
L'anno in cui è stato festeggiato il santo e recitato il panegirico, l'autore lo cita nella preghiera di conclusione che rivolge al santo protettore con le parole: "Volgi dall'alto ove soggiorni da XV secoli favorevol lo sguardo sopra il popolo fedele". I 15 secoli della sua morte e i tre secoli prima della nascita di Gesù, ci portano al 1800 circa. La circostanza in cui è stato festeggiato il santo e recitato il panegirico, l'autore la dice continuando, nella preghiera: "Volgi lo sguardo sopra il popolo fedele raccolto in questo tempio, che la pubblica pietà dei fedeli oggi riapre al culto avendolo di recente con tanto studio e magnificenza restaurato". Si parla di "Tempio restaurato". Bisogna rifarsi agli ultimi decenni del '700, anni in cui violenti terremoti hanno sconvolto e danneggiato le abitazioni di tutta la zona e quindi anche la chiesa che, restaurata ed ampliata, aveva acquistato la struttura architettonica e le dimensioni di oggi.

Quadro del pittore catanese Giovanni Zacco, recentemente restaurato che ci presenta il giovane martire San Vito mentre ferma la lava che minaccia il borgo di Macchia. E' datato 1828. 

 

La Festa 

Già da alcuni mesi prima dell'ultima domenica di agosto, data dei festeggiamenti, una commissione si mette al lavoro per organizzare modi e tempi dello svolgimento della festa esterna, curando l'allestimento di un palco per la banda musicale nella piazza illuminata a giorno e decorosamente addobbata. Tutto deve essere pronto per il giorno dell'uscita in processione con tanto di banda, del fercolo con il Santo, tra lo scampanio gioioso delle campane e lo sparo assordante di meravigliosi fuochi d'artificio. In una piazza gremita di pubblico giunto da ogni parte per assistere sin dalle prime ore del pomeriggio alla "festa patronale", un momento di intenso tripudio e di irrefrenabile commozione viene vissuto quando, affacciatosi il Santo sul sagrato della chiesa, dal palco antistante si levano le note della cantata che il popolo esultante intona in onore al santo protettore per rinnovargli coralmente e pubblicamente la sua fede, nel pieno rispetto di un antico rituale rimasto immutato attraverso i secoli, quasi a significare che i tempi cambiano, ma la fede rimane sempre integra.

 

'A Cantata

L'inno popolare è un testo in 10 strofe di anonimo, che viene eseguito comunitariamente due volte: il sabato sera e la domenica sera prima che il Santo vada in processione per le vie del paese; la musica è stata composta in epoca imprecisata da un maestro di banda di Viagrande, da dove è probabile che sia giunto a Macchia il culto di San Vito. Lo sparo di bombe a pioggia "no' vadduni"  ed il fragore della moschetteria segnano dopo la mezzanotte la chiusura della festa. Bancarellari e venditori di "calia", figure immancabili in queste feste, si danno già appuntamento per il prossimo anno.  

 

Primo movimento dell'inno a San Vito ('A Cantata)

INNO POPOLARE A
S. VITO MARTIRE
('A CANTATA)

Salve o Vito di Mazara
Degno figlio e cittadino,
La tua vita a Dio fu cara
Perché scorsa in buon cammino

 

Indi poi, per Suo consiglio
La tua patria lasciasti:
E, con angeli in naviglio,
Salvo in Silaro arrivasti

 

Lode e gloria in tutte le ore
Al mio santo protettore

Ed in Silaro ed in Lucania,
Stabilita la tua fama
Ogni morbo esenti e sana
Ben chiunque te richiama

 

Di Modesto e di Crescenza
Tu compagno ed istruttore
Fosti sempre in guerra immensa
contro il mondo seduttore:

 

Ma l'Eterno in tuo consolo
dalla Sua celeste stanza,
manda d'angeli un grande stuolo
Per formare la tua costanza.

 

L'inuman tuo genitore
Conoscendoti cristiano
T'accusò con duro cuore
Al pretore Valeriano.

 

Col tuo braccio dalle mura,
Del tuo popolo devoto
Caccia via la peste oscura
La rìa fame ed il tremoto.

 

La tua fede disvelata
Divulgata in ogni luogo
Dai leoni è rispettata
Rispettata ancor dal fuoco.

Della vita all'ultim'ore
Il tuo sguardo al ciel volgesti
E con suppliche il Signore,
Pel tuo popolo pregasti.

 

 

La stele

Un'iniziativa di rilevante significato sociale e religioso è stata l'erezione di una stele in cemento con statua bronzea a S. Vito, opera dello scultore Domenico Tudisco, per la quale nel marzo 1977 si costituì, sotto la presidenza del dott. Nello Cantarella, una comitato cittadino per raccogliere fondi al fine di concretizzare una decisione che era maturata sin dal maggio 1971, quando un fiume di fuoco incanalatosi nel torrente Cavagrande si avvicinò minacciosamente a Macchia, che venne miracolosamente risparmiata. La stele con l'artistica statua inaugurata il 27 agosto 1978 si può ammirare all'inizio del viale dello Ionio, non a caso collocata in una piazzetta accanto al torrente, per stare a significare che proprio da lì, S. Vito si compiacque di fermare con il gesto della mano la discesa della lava verso il centro urbano.  
In una lapide marmorea, alla base della stele sta scritto:

A TE
ANGELICO FANCIULLO
CHE IN TEMPI DI CRUENTA PERSECUZIONE
PER LA FEDE SOFFRISTI
GLORIOSO MARTIRIO
ONDE ALLA CONSIDERAZIONE DEL TUO EROISMO
IN TENERA ETA'
SI RIACCENDA NEI LANGUIDI CUORI
L'AFFETTO ALLA RELIGIONE
E NELLA FIDUCIA
CHE MERCE' LE TUE PREGHIERE
PORGANO GIORNI MIGLIORI PER LA CHIESA
E LA CRISTIANA SOCIETA'
QUESTE POCHE PAGINE
OFFRO