Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi...

da Camminiamo Insieme - anno 18, n.25 del 11/2/2001-

 

In ospedale ogni giorno c'è un sacerdote che visita gli ospiti dei vari reparti. In caso di emergenza si lascia tutto e si corre. Di solito la chiamata viene da medicina, ora corro in rianimazione. Un uomo nel suo lettino fatica a vivere, pur aiutato dal personale, da una serie di tubi e altri mezzi che non osservo. Prego per lui, con due infermieri, gentili e premurosi. Cerco una luce diversa in quegli occhi, un qualche segno di partecipazione su quel volto. Certo è molto grave e probabilmente in stato di totale incoscienza. Ora ha la nostra presenza. Tra poco tornerò di corsa alle mie occupazioni, come gli infermieri alle loro e lui solo a concludere la sua agonia, la sua lotta, il suo"agone". Qui è in atto in tutta la sua evidenza la battaglia tra la vita e la morte. La pietà cristiana ripropone i gesti di Gesù, che, attraverso la presenza del sacerdote, impone le mani, ripete:"Ti sono perdonati i tuoi peccati", invoca la misericordia di Dio, per uscire in salute da una simile prova , ripropone :"chi crede, anche se muore, vivrà". Ho terminato e mi fermo a guardare quella vita, esposta in piena luce, evidente nella sua infermità, ma con nell'intimo tutta una storia che nessuna luce, né radiografia o ecografia o tac può manifestare. Il gesto premuroso dell'infermiere che controlla la flebo e la sensibilità dell'infermiera che accomoda il lenzuolo, mi fanno uscire dall'ambiente asettico della sala di rianimazione con il suo silenzio, rotto solo dall'ansimare del paziente e dal ritmico procedere dei diversi macchinari, vedo l'agonia nella casa dove uno ha vissuto: il suo letto, le finestre con quello sguardo sul cielo, i familiari che alternano presenze a rapide uscite per le diverse urgenze, i rumori di sempre e il gioco spensierato del nipotino. Si muore sempre di più all'ospedale. E' doveroso affidare alla competenza medica l'infermità, perchè si risolva e si possa tornare in salute a casa. Con i ritmi di lavoro, con gli appartamenti ridotti, con il sentirsi soli e incapaci di fronte a difficoltà così gravi, non sempre è possibile curare un familiare in casa. Al fondo però stiamo rimuovendo la morte che è pure un fatto della nostra vita. C'è da essere grati a quanti per professione o missione sono ogni giorno a contatto con queste "agonie". Da parte nostra sarà importante assumere la responsabilità di accompagnare in questa lotta tra vita e morte. Non si può stare a lungo in una sala di rianimazione, ma un poco ci si può fermare per accompagnare con particolare affetto chi sta vivendo un momento difficile. Se è possibile,mettendo in conto il disagio, facciamo si che i nostri cari chiudano gli occhi nella loro casa. Così deve essere morto anche San Giuseppe che invochiamo come patrono di chi è in agonia. Aveva vicino Gesù e Maria. L'hanno aiutato in quel ritorno a dio da cui viene ogni vita e a cui ogni vita ritorna. Proprio ricordando questa vicinanza, un tempo si pregava così:"Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima mia agonia".

don giorgio


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