EROE O SOLO CRISTIANO?

di Bernard Jouanno

da Camminiamo Insieme - anno 22, n.11 del 14/11/2004

 

 

Grandjean, divenuto Gaston Dayanand (felice misericordia di Dio) nella lingua hindi e in bengali, che nel 1992 ha ottenuto la cittadinanza indiana, da ormai trent'anni dedica la sua vita ai poveri del Bengala. Gaston, ginevrino, figlio di operai, aveva sentito molto presto la chiamata missionaria al servizio dei poveri, "Fin dall'età di 6 anni - egli precisa - disegnavo spesso una macchia gialla sormontata da una croce. Alla mamma che mi chiedeva il significato del disegno, rispondevo senza esitazione: sono io nel deserto mangiato da una tigre". Charles de Foucauid, il "piccolo fratello universale", è il suo modello, sogna dromedari, deserti, romitaggi. Vuole essere missionario. A 13 anni, appena entrato nel seminario dei Padri Bianchi di Saint-Maurice, gli capita di vedere un reportage su Madre Teresa di Calcutta, ne resta colpito e in un quaderno, dove da parecchio tempo aveva cominciato ad elencare i luoghi della miseria, Calcutta è al terzo posto. Nell'ottobre del 1972 arriva a Piikhana, uno degli slum di Calcutta. Lo shock e terribile. Senza risparmio si lancia nell'avventura a favore dei poveri: apre ambulatori, consiglia, assiste, forma collaboratori, suscita associazioni e servizi di mutuo soccorso. Con pazienza e passione, Gaston, soprannominato "Dada" (fratello maggiore), impara a conoscere meglio gli uomini e le donne che incontra ogni giorno, vuole sapere come pregano gli indù, i musulmani e come sì rivolgono a Dio. Impara l'urdù (la lingua dei musulmani della regione), il sanscrito, l'hindi e il bengali. Familiarizza con i loro testi sacri: il Corano, il Bhagavad Gita..., si sforza di non rimanere uno spettatore, e neppure di lasciarsi affascinare dalle coreografie delle devozioni popolari, ma di cogliere il significato della spiritualità locale. Gaston legge, ascolta, lavora, studia, medita, prega, aiuta la gente ad organizzarsi e a difendersi; agevola incontri, suscita associazioni, incoraggia iniziative. Molto spesso ripete: "Sono venuto in India per servire". Ma la sua presenza e il suo lavoro insospettiscono i partiti politici e i poteri costituiti, che arrivano ad accusarlo di non rispettare le leggi del Paese. I cristiani non riescono a comprendere il senso della sua missione: non battezza, non costruisce chiese, non fonda opere... "non si lascia dietro nulla", lamenta un Vescovo. Vive preferibilmente dove non ci sono cristiani. Dunque, che cosa fa? "La mia vita - risponde con accenti paolini - è Gesù Cristo, la mia vita è il Vangelo. Sono un testimone del Vangelo e se il mio orologio non segna l'ora del Vangelo, qui non ho nulla da fare. Gesù durante la sua vita terrena passava facendo del bene. Io, che lo voglio seguire, come infermiere e con l'impegno nel sociale, cerco di tradurre e di testimoniare le Beatitudini. Più leggo il Vangelo e più sento che, anche se bisogna amare tutti, tuttavia esiste una categoria privilegiata a cui devo indirizzare il mio amore: i poveri". Da più di trent'anni, Gaston Dayanand apre dispensar!, accoglie gli orfani e le donne abbandonate, difende quanti sono in pericolo, mobilita e suscita risposte alle situazioni di emergenza, poiché assicura, "lo sviluppo degli Indiani non si fa a Londra, a Parigi o a Ginevra, e quello dei poveri degli slum non si pianifica negli uffuci climatizzati di Calcutta. Lo sviluppo degli intoccabili non lo fanno gli appartenenti alle caste alte, non lo realizzano gli stranieri; questi ultimi possono solo cooperare come umili servitori, come catalizzatori o innovatori, ma lo sviluppo lo fanno gli interessati: gli Indiani, i poveri, gli intoccabili...". Gaston Grandjean, quest'anno, con un gruppo di amici, ha fondato il Centro Interreligioso per lo Sviluppo (ICOD), che comprende uno spazio per la formazione, uno per le attività socioculturali e alcuni alloggi per accogliere i diseredati. Chi è impegnato nel sociale, sostiene Gaston, deve rendersi conto che il suo lavoro s'innesta in una cultura complessa che s'intreccia con la religione e la spiritualità. Vivere in mezzo ai poveri è il modo migliore per vedere come pregano gli appartenenti ad altre religioni e, allo stesso tempo, è un'opportunità per riscoprire la bellezza e la profondità del cristianesimo e apprezzare la presenza di Dio tra noi, nella sua Parola e nell'Eucaristia.

da Andare alle Genti, mensile di informazione e servizio missionario


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