E CALATO IL SIPARIO?
da Camminiamo Insieme - anno 23, n.29 del 26 marzo 2006
Annibali incide il titolo della sua opera in calce: Gesù è
deposto dalla croce, ma soprattutto scava il pannello di terracotta al punto
da ricavarne una nicchia che si arresta sul fondo davanti ad una possibile
porta.
L'ambientazione originale non è fine a se stessa, ma ottima
soluzione per collocare le figure: tre volti e tre corpi quasi completi. I
lineamenti ben curati ed evidenziati da un altorilievo manifestano una padronanza
tecnica e un'abilità che propongono questo artista come autore di porte di
cattedrali.
Sullo sfondo si allunga il palo verticale della croce da cui
il Cristo morto è staccato. Due giovani cercano con ogni attenzione di adagiare
quel corpo sulla terra. L'uno, fissato nell'abbraccio, si sta sciogliendo
dal corpo del Signore, mentre lo sguardo indugia in una contemplazione di
quel volto tanto cercato e familiare. Il resto del corpo di questo primo giovane
non conta, si perde, quasi è aspirato dal fondale, come avviene del resto
anche con il secondo giovane che trattiene con forza risoluta le gambe di
Gesù, stringendole contro il fianco, non solo per esercitare maggior presa,
ma per continuare una sorta dì contatto che possa offrire calore ad un cadavere,
ormai pervaso dal freddo della morte. Per questo giovane è più difficile arrivare
ad incrociare con il proprio volto quello di Gesù, c'è però un vigoroso tentativo
di riagganciare uno sguardo che un giorno l'aveva convinto a lasciare tutto.
Il corpo di Gesù che scende a terra o meglio sembra immergersi
nel suolo, è lavorato dai capelli alle gambe con una cura che non dice solo
una buona arte ma impone di considerare fino a che punto il Figlio di Dio
ha condiviso con noi la vita.
Il braccio destro del Cristo è sfuggito alla presa del giovane
ed ora se ne sta lì a cercare un'altra mano a cui affidare la propria. L'interpretazione
di questo braccio mi appare strana, perché solo un membro vivo e non uno morto
può assumere una simile posizione. E' la mano destra pronta ancora a chiamare
e ad alzare, a guarire e ad indicare il cammino.
Poco sopra questa mano, il capo e il collo di una donna, senza
corpo, lì rapita e fissata con lo sguardo nel vuoto, anche lei come tutti
con la bocca socchiusa: non c'è spazio per le parole che potrebbero conoscere
un'eco fastidiosa in quella nicchia, dove c'è solo lo stupore del momento.
Le teste di un uomo e di una donna, a prima vista, spettatori
d'altri tempi, possibili genitori che hanno visto il figlio scendere nella
terra sono fissate per una contemporaneità di dolore.
Amarezza d'animo e condivisione di sguardi stanno su quei volti.
Tutto sembra risolversi e racchiudersi nell'arretrarsi continuo di una scena
su cui sta per calare il sipario della vita.
Sul palcoscenico del mondo non è comparso un altro attore
che ha recitato la sua parte ed ora se ne va. C'è la percezione che in quel
fondale ci sia una porta che sta per aprirsi per collocare il tempo nell'eternità
così che l'ultima parola non sia più quella della morte. Stiamo cercando i
primi segni di una vita risorta.
don giorgio