UN FIORE ASSURDO
da Camminiamo Insieme - anno 23, n.27 del 12 marzo 2006
Non riesco a reggere l'undicesima stazione di Alessandro Romano.
Esagerata quella orizzontalità già presente nella formella,
brutalmente violata dall'enormità di quel braccio della croce che si spinge
fuori dal rettangolo e aggredisce, come un cuneo che voglia piantarsi in me,
per dilatare testa, cuore e carne.
C'è da accogliere la forma aggraziata di una mano che si propone,
un dito dietro l'altro quasi per una passerella compiaciuta. Ma è una mano
trafitta, bloccata, con le dita aperte e divaricate a causa di quell'enorme
chiodo conficcato nel palmo: fiore assurdo.
E' violento il contrasto con il tanto amore distribuito dal
calore e premura di quella mano che ha lavorato nella bottega del falegname,
ha sollevato poi tante persone dalla miseria. E' la mano sinistra quella che
è lì davanti, l'altra, la destra, la più usata, sta per ricevere il suo assurdo,
esagerato chiodo. Il triangolo dei chiodi è evidente in una successione geometrica
segnata da un'efficace prospettiva, a sottolineare che ogni tempo dell'esistenza
può sottostare ad una forzata fissità.
Al geometrico ruolo dei chiodi si contrappone il cerchio della
corona di spine che ripropone sul capo del Cristo un ripetersi esagerato di
aculei che non offre scampo.
Non solo è bloccata la possibilità di movimento, perfino il
pensiero è impossibile per un dolore che fa torcere e scuotere la testa con
un ritmo tale da lasciare impresso nei capelli il movimento. Croce, chiodi,
spine, e ancora martello sospeso in aria, pronto a calare violento, deciso
a lacerare quella carne con un chiodo che vuole andare sempre più a fondo,
nel legno della croce. La figura dell'uomo che lo impugna è composta, dignitosa,
normale, quotidiana come un lavoratore intento al proprio dovere.
Altro non c'è o meglio tutto è giocato su quell'esagerata
croce che non solo si proietta contro ma si incunea anche nella terra e deborda
in orizzontale, come grido verso l'Altissimo.
Il rosso della terracotta la fa da padrone e, senza soluzione
di continuità, colora, rende tutto uniforme, non tollera altro segno che quello
del sangue.
In questo esagerato, violento, macabro e assurdo susseguirsi
e ripetersi di elementi, c'è una speranza.
Quelle dita sembrano ancora vibrare di vita, chiamare all'esistenza,
offrire una mano disponibile e aperta, richiamare che l'amore non conosce
confini, indicare che non tutto può essere piegato e spezzato. A questa mano
si volge il volto di Gesù con uno sforzo innaturale di abbandono sereno, capace
di superare il dolore che un altro chiodo sta aprendo nella mano destra.
Papa Benedetto XVI ci ripropone la bellezza dell'amore umano
che si arricchisce dell'amore divino e mi sembra che anche il dolore umano
esagerato, ritrovi, per la grazia di Dio, la forza di diventare dolore che,
in Cristo, diventa fonte di salvezza e principio di vita nuova.
don giorgio