NATI NON FOSTE PER VIVERE COME BRUTI
da Camminiamo Insieme - anno 22, n.24 del 20 febbraio 2005
A volte, io sacerdote e quindi "uomo di Dio", mi sorprendo
a raccogliere quel "non nominare il nome di Dio invano" come invito a non
metterlo dappertutto, in ogni cosa, a non ripeterlo con insistenza pubblicitaria
quasi fosse un prodotto da reclamizzare. Il problema vero non è Dio, è la
mia vita.
Vorrei tanto essere un pittore per fissare delle immagini
che mi arrivano nitide ed evidenti: Gesù nel deserto da quaranta giorni con
una voglia di scappare da ciò che minaccia la sua sopravvivenza; eppure rimane,
scottato dalla luce del sole e dimenticato nel nero della notte, a misurarsi
con il suo essere piccolo e solo, affamato e assetato, senza forze e risorse,
con il rischio di finire lì e lasciare, dopo un po' di tempo, solo le proprie
ossa; non vuole essere un fachiro ma confrontarsi con un cielo zeppo di stelle,
con quel Padre che si ricorda o no di lui. Così vedo Gesù nel deserto e lo
trovo, pronto a osare sempre e di nuovo, ogni giorno, questo contatto.
All'inizio della storia di Pinocchio, un pezzo di legno serve
per alimentare il fuoco, mentre Geppetto da quel legno vuole un burattino
da portare con sé in giro per il mondo: come dire: "non di solo pane vive
l'uomo". E' un desiderio diverso che non mi fa prendere per realtà "un miraggio",
ma che mi pone in cammino guidato da quelle stelle che brillano nella notte,
o da quella parola che esce dalla bocca dell'Altissimo. Non c'è solo la lotta
per il pane o per il lavoro e la casa, ma anche per la vita stessa. Non è
immediato arrivare a quel: " Padre non ouello che voglio io, ma quello che
vuoi tu". Il sudore di sangue, annotato dall'evangelista, dice la lotta, tensione,
angoscia e spasimo di un simile momento fino ad arrivare a quel confidenziale
e tenero abbandono al Padre. E' approdare ad un sì che nasce da un amore libero
e proteso verso la ragione di tutto il suo esistere; non è ricercare la propria
affermazione, ma una realtà più ampia e bella, grande e sublime, che chiama:
il Regno in cui è possibile entrare solo se si è poveri.
Una frase del teologo Bruno Forte mi aiuta: "La povertà di
Gesù, frutto della sua radicale libertà, lo rende uomo della gioia, capace
di meraviglia e ringraziamento di fronte alla fedeltà sempre nuova del Padre,
povero rispetto al passato e perciò aperto all'avvenire, povero rispetto al
presente e perciò capace di cambiarlo con fantasia e coraggio. Gesù è povero
anche di fronte al futuro di cui avverte l'oscurità e la pesantezza, ma a
cui sa andare incontro, vincendo la paura, in un com- pleto abbandono nelle
mani del Padre suo".
Gesù dimostra chiaramente che il problema è la mia vita che
non può starsene ossequiente e premurosa di rispondere solo ai bisogni primari,
ma che urgente- mente reclama una ragione, un senso.
Mi ha sempre impressionato il passaggio di Dante tra gli "ignavi"
questi sciagurati che "mai fur vivi", non hanno mai scelto di vivere. Ora
sono costretti a correre dietro ad un'insegna, l'ideale grande e sublime che
è stato anche per loro, ma che non hanno accolto e seguito.
Il vangelo è lì a gridare che la vita è beata e bella quando
è conforme alle beatitudini, che sono l'autobiografia di Gesù e speriamo diventino
anche la nostra vita.
don giorgio