PORTARE FRUTTO

da Camminiamo Insieme - anno 22, n.21 del 30 gennaio 2005

Le feste di Natale sono alle spalle e l'urgenza di realizzare qualcosa che permetta di contare, avere successo, essere qualcuno, disporre di risorse, essere considerati sospinge un po' tutti dal ragazzine che torna a buttarsi lo zainetto sulle spalle, all'operaio che cerca di migliorare il proprio lavoro.

L'umanità è come un'enorme formicaio dove ciascuno è impegnato a portare con soddisfazione o meno la sua piccola o grossa conquista.

Dimentichiamo di essere vulnerabili, di essere tanto piccoli di fronte ai grandi sconvolgimenti naturali, come il maremoto nel Sud Est Asiatico. Siamo proprio formichine spazzate via da ondate colossali che non si fermano davanti a niente, anzi pronte a ributtare sulla terra corpi senza vita insieme ai rottami di un mondo dorato.

E' normale affaticarsi per realizzare, soffrire per compiere il proprio dovere, mettere insieme preoccupazioni e tensioni per arrivare a quel successo che non può mancare. Presi da questa logica, stiamo incontrando sempre meno persone e invece sempre più individui che si accaparrano ciò che serve. Perfino il matrimonio, se porta con sé questa dinamica, non arriverà mai alla vita familiare vera e propria perché, anche tra le stesse mura, ciascuno penserà solo a sé. Stupiscono certe espressioni segnate da individualismi tali da non riconoscere neanche i legami di sangue. E' certo importante non lasciare cadere la spinta per realizzare qualcosa. Ma la vera gioia e la realizzazione è dell'evangelico "portare frutto".

Ma che significa questo portare frutto?

Lo scopro nella bellezza di una vita che nasce attraverso la sofferenza perché si vuole essere genitori e lavorare per qualcuno; nella fatica di un linguaggio nuovo fatto di condivisione per fare di una convivenza una famiglia; nella serenità di un ragazzo che non parla di regali ma del fatto che ha capito la stima dei suoi che gli hanno fatto trovare un dono con parole scritte pro- prio per luì; nell'impegno di un volontario pronto a dedicare fatiche e tempo per alleviare una sofferenza; nella saggezza di un anziano solo, riconoscente per la giornata che ha davanti come occasione per un altro passo; nella pazienza di chi non sciupa il tempo, lamentando ritardi inadempienze e mancanze altrui ma si colloca con fiducia e positività, riconoscente per il tempo e le risorse che ha a disposizione. Scarso è il potere di cambiare i fatti che interessano la mia e altrui esistenza.

Mi basta considerare il flusso inarrestabile degli anni e il progressivo declino, per ricondurmi ad accogliere un modo diverso di assumere la vita, quello appunto del portare frutto, ricordando che nessun albero, mangia i propri frutti, ma li dona.

don giorgio

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