UN TEMPO INEDITO
da Camminiamo Insieme - anno 22, n.1 del 5 settembre 2004

Sono in una camera della cllnica e, nell'attesa di rivedere
mio fratello operato d'urgenza, mi ritrovo a fissare quanto mi sta succedendo
da ieri sera. Il ferragosto, è sempre occasione d'incontro tra noi familiari
rimasti sul territorio e quindi momento tanto atteso perché benefico. Ora
è segnato da questa emergenza che mi provoca un immediato senso di disappunto:
perché proprio adesso? Mi stupisce la meschinità dell'interrogativo, ben cosciente
della grave situazione di pericolo in cui si trova mio fratello. Mentre sono
in auto, con la voglia di respirare e distrarmi, mi passano per la mente le
ore interminabili di una compagnia preoccupata, di un'attesa snervante e tesa,
di trilli del cellulare con conversazioni zeppe di domande che arrivano dalle
località più disparate. Arrivo con il va e vieni di una Clinica, il suono
del campanello per una necessità, il volume sostenuto delle voci di medici
e infermieri. I passi, evidenziati dagli zoccoli, arrivano nella camera e
dicono ora la calma ora la premura del personale che collabora in sala operatoria.
E' un altro mondo, un altro tempo, è la vita di chi si trova a contatto con
malattie che nessuno vorrebbe mai presenti nella propria realtà. Ogni operatore
sanitario che incontro riveste il proprio ruolo con la certezza di essere
a tu per tu con una persona che ha problemi di salute. Le spiegazioni e le
motivazioni si intrecciano con il sorriso e la parola, tesi a rasserenare
e avviare verso un clima che invita a fidarsi, consegnarsi, mettersi nelle
mani. Un bacio e già l'infermiere spinge la barella verso l'ascensore. Non
è una bazzecola quest'operazione eppure c'è la forza di scherzare con il classico
"in bocca al lupo". A volte il cellulare mi richiama al mio "ruolo" luinese
che è ben presente, ma sfocato, non tanto per la lontananza, ma per il mio
essere qui che non ha niente da spartire con l'azione di sempre. Le parole
mi escono a fatica, a malapena le collego, la mano stringe la penna con calma
imbarazzata, non entro più in gara con il tempo che è pesante senza termine,
vibrante d'attesa. La stanza è angusta, ci sto, come un monaco nella sua cella,
a portare sofferenza e dolore, ansia e trepidazione, grido e lamento, affanno
e paura a quel Padre che accompagna i suoi figli con la tenerezza e forza
che Masaccio, con profonda intuizione e sensibilità, ha espresso in quella
crocifissione dove le mani del Padre accolgono e offrono tutto quell'amore
crocifisso. La fredda architettura della chiesa in cui entro non mi aiuta
a stare. E' la piccola fiammella, a lato del tabernacolo, a propormi calore
e pace. Anche la conversazione con il Vescovo della città mi offre una pausa
per riprendere con fiducia il mio essere lì senza poter fare, ne dire, ne
sostenere o confortare: solo essere lì ad attendere. Ora è sparita anche la
tensione nei confronti del tempo che compie il suo corso. La mente si è quietata
e non indugia più su visioni sconfortanti di tagli e sangue, coscienza e incoscienza,
salute e malattia. Sto imparando che anche il fiume, con II lento suo procedere
verso il mare, lascia nel terreno la benedizione del suo passaggio. In questo
nuovo e inedito tempo mi misuro con la debolezza e la precarietà, mi sento
alleggerito da preoccupazioni e materialità, mi osservo diverso, mi considero
nelle mani di altri. Conosco poco del mio corpo e mi compiaccio solo di star
bene, mi ritrovo spiazzato dalla presunta conoscenza del mio animo. E, proprio
qui, nello stretto spazio di questa camera, in questo giorno così strano,
avverto la Sua visita.
don giorgio