Quando i pesci piangono

da Camminiamo Insieme - anno 21, n.31 del 4 aprile 2004

Mi piacerebbe che il sole ci accompagnasse nella processione delle Palme, donando luce alle foglie del ramoscello di ulivo, quasi per un incoraggiamento alla pace tanto desiderata. Noi onoriamo questo ulivo, ponendolo in casa, per- ché la benedizione del Signore ci accompagni in ogni giorno. L'ulivo entrerà anche nelle case delle vittime di Nassiria e di Madrid, di quanti hanno perso la vita per la violenza di estranei o la follia di familiari, di quanti hanno operato per la pace, trovando la morte, di chi con la dedi- zione del proprio lavoro o durante un trasferimento con mezzi pubblici o privati ha terminato il cammino... In quelle case lo spessore dell'assenza è forte e mi fa ricordare questo detto africano: "quando i pesci piangono, nessuno vede le loro lacrime".

Il ramoscello di ulivo, che portiamo a casa, non può ridonare la presenza di tante persone importanti non solo per la loro famiglia, ma anche per la società, può però unirci tutti in una scelta di vita, in una presa di coscienza e di azione. Anche la gente di Gerusalemme si unì a Gesù, visto come speranza di bene per tutti e ciascuno. Annotano i Vangeli che la stessa folla chiederà la morte in croce per Gesù. Sotto il ritmo serrato di spieiate immagini televisive di morti e feriti devastati dalla violenza delle bombe, siamo tutti trasportati da un'onda di "rabbia" prima, e di pacifismo poi, proprio come mi confidava qualche giorno fa una ragazza delle superiori di fronte alla strage di Madrid. Le ho fatto notare che la pace ha una sua prima collocazione nel cuore, poi in una importante scelta di vita austera e generosa, essenziale e carica di premura per eliminare le ingiustizie e violenze quotidiane, per arrivare a stare davanti alla violenza come Gesù che vive l'incontro e non lo scontro, l'accoglienza e il perdono senza lasciare spazio a vendetta e maledizioni. Dallo sguardo che tradisce partecipazione sento che è pronta a iniziare questa sequela. Ci saranno debolezze e infedeltà, ma la pace non ha bisogno dì eroi. Sì compiace dì stare a lungo sulla soglia a dialogare, a far sentire la presenza, a parlare con il suo fascino costruttivo e con un linguaggio moderato, a tendere la mano. La croce, alle miglìaia di crocifissi, ne aggiunge un altro che non è diverso dai precedenti solo per la sopportazione ma è diverso perché anche in quei terribili momenti si prende a cuore la sorte del ladro, della gente, delle donne che lo compiangono, di sua Madre e di Giovanni, di Pietro e di Giuda... E ancora Lui porta su di sé il male di tutti e per tutti intercede. La croce non è più strumento di morte dolorosa e infame, diventa segno di vita e bene. Dice questo la croce che spicca sulle nostre autoambulanze, sta sulla cima delle montagne, vigila nelle nostre case, pende dalla catenina che porti al collo...

E' la piccola professione di fede che compi quando tracci sul tuo corpo il segno di croce. L'immagine che viene distribuita per la Pasqua presenta la grande croce del Monte Lema, quasi braccia aperte sul mondo, pronte a chiamare tutti per ripetere nel quotidiano il gesto dell'accoglienza e della disponibilità, dell'attesa e del perdono, della fraternità e dell' intercessione, dell'apertura e del sogno...

Croce e ulivo stanno bene nelle nostre case e in ogni luogo perché ci parlano, ci sollecitano, ci donano la gioia della pace che solo Lui può donare.

don giorgio

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