Rendersi conto
da Camminiamo Insieme - anno 21, n.27 del 7 marzo 2004

"Scimus enim amicitiam regnum Dei esse".
San Bernardo di Chiaravalle pronuncia questa frase nel discorso
per la morte del fratello Gerardo, anche lui monaco benedettino. Il legame
di sangue, la condivisione dello stesso ideale di vita dedicata al Signore,
il trascorrere di giornate gomito a gomito, non riescono ad offrire una traduzione
adeguata di questa frase, dove la parola amicizia diventa così carica di significato
e importanza, si fa così decisiva da dichiarare una conformità, un'uguaglianza,
un'idendità: l'amicizia è il regno di Dio. A questo Bernardo arriva non per
una conoscenza, un sapere, ma per un'esperienza per cui quel "scimus" non
è un generico sappiamo, ma rendersi conto, toccare con mano, proprio come
si esprime Giovanni nella sua prima lettera quando, parlando di Gesù, dice:
"quel Verbo di vita che abbiamo toccato... quello annuncio a voi". Così Bernardo
parla di un'amicizia vissuta in pienezza tanto da poter dire che il Regno
di Dio è stato sperimentato. A volte mi sorprendo a considerare la bellezza
e la forza dell'amore di due sposi, l'uno per l'altra, tutta un'esistenza
messa nelle mani di un tu, ma, se non c'è amicizia, non c'è comunicazione,
intimità, intesa e trasparenza. Siamo abituati a distinguere, a precisare
e così sembriamo degli adolescenti catturati da un sentimento che fa esclamare:
la nostra non è solo amicizia, è qualcosa di più. Eppure è bellissimo entrare
nella logica dell'amicizia perché è aperta e solidale, desiderosa di relazioni
al punto che altro è l'amicizia con una persona a cui mi lega una particolare
sintonia di gesti o idee e altro è l'amicizia con chi mi sta simpatico e altro
quella con un fratello o con una persona conosciuta per caso. E' stupido essere
gelosi di un amico, si è gelosi giustamente del marito e della moglie, ma
dell'amico, no. Non è tua proprietà, è con lui che in questo momento avviene
l'incontro, ma, quando lo lascio per andare altrove, sento che è un lasciare
in attesa del prossimo incontro che non sarà ripetitivo e stanco proprio perché
di mezzo c'è stata la vita. Qualcuno potrebbe dire che non si può essere amici
di tutti, certo, se parlo di un'amicizia segnata dal possesso, ma se è aperta
al dialogo e al confronto e all'arricchimento con un tu già frequentato o
stranamente improvviso e nuovo è certo che l'amicizia è per tutti. Una voce
imperiosa reclama attenzione e prudenza per non vivere le tanto temute "fregature",
capaci di bloccare sulla soglia tante possibili amicizie. Proprio perché l'amicizia
è una cosa del cuore, per poterla vivere occorrerà sempre un cuore vivo e
vibrante, caldo e tenero, pronto a tutto anche alle delusioni, ben sapendo
che fanno male, ma saranno anche motivo per constatare che il cuore che sanguina
non è ancora diventato di sasso. Ricordo di avere fatto una promessa: non
voglio più avere un cane. Ho detto questo quando anni fa ho visto soffrire
il mio cane, non mi pareva possibile affrontare una simile prova. Nell'amicizia
l'incontro con una sofferenza è l'occasione per asciugare una lacrima o per
versarla: questa è la vita, almeno così la sento. Mi fa paura conservare gelosamente
il mio metro quadro di spazio, alzare le difese, rifiutare il contatto, stare
sulle mie.
E questo non perché voglio essere estroverso o ottimista ad
oltranza ma perché questo mondo ha bisogno di relazioni vive e vere che rendano
più vicina una civiltà dell'amore che l'attuale Papa a piena voce invoca e
testimonia con il suo stare lì per tutti, nonostante la voglia di pensare
a sé e alla propria salute.
don giorgio